Mercato obbligazionario: la Francia manda in fibrillazione l’Europa


Digeriti gli esiti delle riunioni di Fed e Bce, con chiare indicazioni sul prosieguo delle scelte di politica monetaria, senza troppi giri di parole sia da parte di Lagarde sia di Powell, i mercati obbligazionari hanno reagito con un colpo di reni e hanno riconquistato diverse posizioni cedute in precedenza.

Ora, però , si trovano a dover valutare il terremoto delle elezioni europee, con la Francia ormai prossima al voto dopo la batosta incassata da Macron. Terremoto che ha già portato dei disequilibri sui debiti governativi che hanno visto gli spread aumentare.

Come sempre, quelli che pagano il conto più salato siamo noi italiani, anche se l’epicentro della crisi è altrove. E alcuni, sotto questo profilo, stanno iniziando a valutare numeri economici che quasi mai vengono presi in considerazione quando si tratta di stabilire il credit risk di uno Stato.

Li vediamo rapidamente, perché delineano una concreta situazione di criticità per il debito francese, a dispetto del rating di ancora gode rispetto al nostro, che a ben guardare è messo meno peggio di quanto il mainstream ci propina ormai da anni.

Come sappiamo, la Francia gode di un rating pari ad AA- rispetto al BBB dell’Italia, ma alcuni dati ne mettono in dubbio l’effettiva solidità. Sia chiaro, non stiamo dicendo che la Francia sia un Paese a rischio (per lo meno non più degli altri europei), ma stiamo dicendo che forse le differenze di solidità con il debito italiano non sono così marcate.

Infatti, sono davvero pochi ad oggi quello che hanno messo in evidenza le similitudini tra il debito pubblico francese e quello italiano. Come sappiamo, la narrazione imperante è che l’Italia sia un Paese molto indebitato e in balia dei mercati, mentre la Francia sia quasi alla pari con la Germania.

È noto che il dato che viene sempre preso in esame il rapporto debito/Pil: per il debito francese a fine 2023 era pari al 110,60% contro il 137,30% dell’Italia. E fin qui è innegabile che il nostro sia più elevato, per una differenza però di appena 238 miliardi di euro (pari al -7,67%) a favore della Francia.

Tuttavia, se non ci limitiamo al solo rapporto debito/Pil ma allarghiamo il nostro campo di valutazione anche alla composizione del debito governativo d’oltralpe scopriamo che, sempre alla fine dello scorso anno, gli investitori stranieri detenevano circa 1.600 miliardi di euro di debito francese contro i 789 miliardi in Italia. In pratica, il 51% delle passività di Parigi erano in mano a non residenti contro il 27,6% per l’Italia.

L’interpretazione di questo dato è sempre stata a senso unico, e cioè è sempre stato letto come espressione della solidità del debito francese. Essedo percepito poco rischioso, gli investitori stranieri si mostrano ben disponibili a finanziarlo.

Certo, questo è indubbiamente vero, posto che anche il debito italiano fosse sino al 2010 in mano per oltre la metà agli investitori stranieri nel 2010, poco prima che esplodesse la crisi pilotata dell’euro e dello spread. La forza mediatica prezzolata ha poi fatto il resto, portando alla riduzione sistematica di questa quota.

Però, questa è solo una delle due facce della medaglia, come noi tutti ben ci ricordiamo perché è passato sulla nostra pelle proprio nel 2010. In caso di shock, questo obiettivo punto di forza rischia di trasformarsi in un punto pericolosamente debole. Pensiamo proprio agli eventi di questi giorni. I mercati temono che alle elezioni anticipate di fine giugno la destra di Marine Le Pen vinca, prova ne sia che i rendimenti degli Oat sono risaliti e lo spread contro i Bund si allarga, pur restando contenuto.

Cosa accadrebbe se quanto temuto dai mercati si concretizzasse? I capitali stranieri scapperebbero da Parigi con la stessa velocità con cui abbandonarono Roma quattordici di anni fa. E questo si tradurrebbe con una Francia alle prese con più della metà del suo debito da rifinanziare con incognite sulla relativa domanda non trascurabili.

Se il testimone dovesse passare dagli investitori stranieri, nel loro complesso, ai soli investitori domestici sarebbe molto complicato nel breve termine rimpiazzare i primi per finanziare il loro stesso governo. Queste sono operazioni di lunghissimo respiro che richiedono anni e un importante riposizionamento dei portafogli interni.

L’Italia, per contro, sta portando ormai avanti la strategia per allentare la dipendenza dai capitali esteri in modo netto ed esplicito, consapevole del fatto che i capitali stranieri si mostrano più volatili di quelli domestici. E questa, che sia come sia, è una lezione che abbiamo imparato nel 2010, e che forse ci ha aperto un po’ gli occhi.

Il piano, se così lo vogliamo chiamare, pare stia funzionando, anche perché non va dimenticato il ruolo dei nostri istituzionali in merito all’elevato livello di quote detenute di Btp.

Inoltre, un altro dato potrebbe mettere in dubbio la solidità del debito francese così come ci viene proposta dai media e dai mercati. Facciamo un salto indietro di qualche anno e andiamo a prima del Covid. La Francia prima del Covid era in deficit primario strutturale, l’Italia in avanzo primario strutturale.

Cosa significa? Significa che la Francia spendeva regolarmente più di quanto incassava, ovviamente al netto degli interessi, mentre l’Italia, sin dall’inizio degli anni Novanta ha speso sistematicamente di meno, penalizzata però dal peso degli interessi.

E da qui arriviamo alla posizione netta dei due Stati: al 31 dicembre 2023 la Francia aveva una posizione netta degli investimenti con l’estero negativa per il 29,40% del Pil, mentre l’Italia aveva una posizione positiva pari al 7,40%. Ovvero, il “sistema Italia” detiene all’estero asset in misura maggiore di quanti ne detengano gli stranieri nel nostro Paese.

Per capire a fondo l’importanza di questo dato dobbiamo prendere a paragone il debito giapponese. Debito che, come sappiamo, è considerato molto affidabile (rating A+) pur con un rapporto debito/Pil pari al 265%. Ebbene, a dispetto di un peso del debito pubblico più che doppio rispetto al caso francese, la sua posizione netta positiva con l’estero è pari all’80% del Pil.

Ne deriva quindi che, a differenza dell’Italia (e in misura ben maggiore del Giappone), per la Francia all’occorrenza i residenti non disporrebbero di sufficienti risorse per rimpiazzare i capitali esteri nel finanziare il debito francese. Quindi, mettendo tutti questi elementi insieme, potrebbe non essere così azzardata l’ipotesi che i rating per la Francia siano ingiustificatamente generosi e i nostri ingiustificatamente severi.

Staremo a vedere, e ora passiamo ai numeri e ai grafici.

Analisi ZC-Yield Curve Eur
La lettura della ZC-Yield Curve Eur mostra una contrazione dei rendimenti su tutto il tratto della curva, come se i mercati avessero resettato la delusione per una politica monetaria meno accomodante da parte della Bce. Infatti, rispetto alla scorsa lettura il rendimento della scadenza a 10 anni va in area 2,77%, mentre la scadenza trentennale sale in area 2,36%.

Stabile nella sua immobilità la conformazione della curva, con l’inclinazione negativa particolarmente accentuata nella parte a breve e in quella a lunga e sostanzialmente piatta nella parte centrale. In leggero restringimento il differenziale 10Y-2Y, ora sui -44 bps.

Sempre molto nervoso il tratto a breve, con la curva che esprime ora un massimo di rendimento sulle scadenze corte per fine 2024 in un’area indefinita compresa tra il 3,75% e il 3,85%.

Restano stabili le previsioni fornite dai tassi forward su Euribor 6 mesi sulle scadenze a breve, con tassi attesi sempre nell’intorno di area 3,75% per fine 2024. Sulla parte a medio e lungo, nel suo complesso, la curva scende sempre repentinamente e si conferma nell’intervallo di area 2,60% - 2,50% per le scadenze 2028-2033. Si sposta un po’ in avanti la previsione di risalita dei tassi, vista ora a partire da metà 2033, con un picco in area 3,00% al 2034 per stabilizzarsi poi poco nell’intorno di area 2,75% sulle scadenza a lungo termine.

Analisi Integrata Trendycator
Analizzando con il Trendycator le curve dei rendimenti su scala settimanale dei principali benchmark decennali si nota chiaramente il momento di forte indecisione e tensione sui mercati.

L’area UK, infatti, vede il rendimento per il GILT scendere in area 4,05% con Trendycator però che conferma lo stato LONG. Forte correzione anche per i rendimenti del BUND che si portano ora in area 2,35% con Trendycator che anch’esso si conferma in stato LONG. Più sotto pressione i rendimenti del nostro Btp decennale, ora in area 3,92% con uno spread ancora in salita e ora in area 150 bps; il modello Trendycator passa a LONG fornendo un’indicazione che andrà valutata nelle prossime sedute. Infine, l’area USA con i rendimenti del Treasury decennale che scendono vistosamente e si portano in area 4,22% con Trendycator che per ora mantiene lo stato NEUTRAL.

Rendimenti bond governativi benchmark mondiali
Tabella dei rendimenti, su base settimanale, delle obbligazioni governative mondiali con qualunque rating.

Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.

In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo.