Come da attese, la Bce ha tagliato i tassi di interesse di 25 punti base, portando il costo del denaro al 4,25%. Taglio ampiamente annunciato e ampiamente scontato dai mercati, per cui fin qui nulla di particolarmente eclatante. La vera novità, semmai, è che la Bce abbia tagliato i tassi prima della Fed per la prima volta in 25 anni.
Certo, è una circostanza che lascia il tempo che trova, ma l’enfasi datale da diversa stampa specializzata non ci è passata inosservata. Poi, ben più importante – a mio modo di vedere – ciò che ha dichiarato Christine Lagarde, riprendendo la consuetudine della forward guidance, utile per orientare le aspettative dei mercati.
E siccome repetita iuvant, anche sul blog ufficiale della Bce Lagarde scrive: “I tassi di interesse dovranno restare restrittivi finché sarà necessario per assicurare la stabilità dei prezzi”, ripetendo esattamente e con fermezza le parole già pronunciate in sede di conferenza stampa dopo la riunione del Board e il taglio dei tassi.
Per cui, una volta tanto, un plauso alla Bce che in perfetto stile Fed non vuole fraintendimenti, equivoci o zone grigie. Infatti, dovrebbe essere ben chiaro ai mercati che dopo questo taglio non è automatico che ne arrivino altri, anzi. La Bce guarderà i dati macro prima di decidere nuove mosse, ovvero, la politica monetaria in un certo senso resta restrittiva.
O, perlomeno, non diventa espansiva come i mercati desideravano e come la loro pressione sulla Bce e le loro ripetute scommesse su tagli dei tassi imminenti e corposi hanno tenuto banco da molti mesi a questa parte.
Nello specifico, le parole della Lagarde non potrebbero essere più nette: “I tassi di interesse dovranno restare restrittivi finché sarà necessario per assicurare la stabilità dei prezzi su base duratura. In altre parole, per un po’ dovremo ancora tenere il piede sul pedale del freno, pur non spingendo forte come prima”.
Per maggior chiarezza ha poi aggiunto: “Le nostre future decisioni di politica monetaria dipenderanno da tre cose: se continueremo a riscontrare un tempestivo ritorno dell’inflazione all’obiettivo, se assisteremo a un allentamento delle pressioni complessive sui prezzi nell’economia e se riterremo ancora altrettanto efficace la nostra politica monetaria nel contenere l’inflazione. Tali fattori determineranno quando potremo sollevare ulteriormente il piede dal freno”.
La Bce non ha avuto timore di affermare che sono stati compiuti progressi importanti, ma che la lotta all’inflazione non si è ancora conclusa. E quindi, le dichiarazioni e la forward guidance post riunione sono perfettamente coerenti al mandato della Banca Centrale europea, cioè l’impegno ad assicurare un’inflazione bassa e stabile.
Bene, la situazione e le prospettive di politica monetaria per l’area euro sono ben chiare, ma oltreoceano come si muoverà la Fed?
In realtà, anche negli Usa la situazione è abbastanza chiara e, sia i dati macro, le evidenze grafiche e l’analisi della struttura a termine dei tassi di interesse, indicano che i tanto agognati tagli dei tassi potrebbero non arrivare tanto presto.
Il dato che ha nuovamente fatto saltare le scommesse dei mercati è stato, senza dubbio, il dato dei nonfarm payrolls nettamente sopra le attese, indicando un mercato del lavoro robusto che naturalmente tende ad allontanare il taglio dei tassi da parte della Fed.
Infatti, a maggio le nuove buste paga nel settore non agricolo si sono attestate a 272.000, ben al di sopra delle 180.000 previste dal consensus. A questo, poi, si è aggiunto il dato sul fronte delle pressioni inflazionistiche provenienti dal mercato del lavoro, con una crescita annua dei salari medi orari che ha accelerato al 4,10% dal 4,00% del mese precedente.
Poi, è vero che il tasso di disoccupazione è salito dal 3,90% al 4,00%, ma è chiaro che, nel complesso, i dati del Bureau of Labor Statistics mostrano un mercato del lavoro piuttosto tonico.
E così, chi si attendeva dati più soft, che potessero giustificare un taglio dei tassi di interesse da parte della Fed già a settembre, non solo sarà rimasto deluso da questi dati, ma avrà dovuto (o dovrà) rivedere le proprie aspettative e le proprie strategie sui portafogli obbligazionari.
D’altra parte, è evidente che il Board della Fed attenderà con ogni probabilità maggiori segnali di raffreddamento dell’economia, da comparare con quelli emersi in settimana da altri indicatori, prima di decretare un abbassamento del costo del denaro.
E ora, gli occhi sono puntati sull’ormai imminente riunione dell’11 e 12 giugno prossimi, nella quale la Banca centrale americana comunicherà le proprie decisioni il 12 giugno, appena dopo la pubblicazione dei numeri più aggiornati sui prezzi al consumo di maggio, in calendario il giorno stesso.
E non a caso, le attese sono ora per tassi fermi. Passiamo quindi ai numeri e ai grafici.
Analisi ZC-Yield Curve Eur
La lettura della ZC-Yield Curve Eur mostra una lieve risalita dei rendimenti su tutto il tratto della curva, in funzione di quanto descritto poco sopra. Infatti, rispetto alla scorsa lettura il rendimento della scadenza a 10 anni va in area 2,87%, mentre la scadenza trentennale sale in area 2,48%.
Sempre immutata la conformazione della curva, sempre inclinata negativamente come ormai da molto tempo a questa parte, particolarmente accentuata nella parte a breve e in quella a lunga, quasi piatta nella parte centrale. In leggero allargamento il differenziale 10Y-2Y, ora sui -53 bps.
Ancora decisamente nervoso il tratto a breve, con la curva che esprime ora un massimo di rendimento sulle scadenze corte per la seconda metà del 2024 in un’area indefinita compresa tra il 3,75% e il 4,00%.
Un po’ più stabili le previsioni fornite dai tassi forward su Euribor 6 mesi sulle scadenze a breve, con tassi attesi sempre nell’intorno di area 3,75% per fine 2024. Sulla parte a medio e lungo, nel suo complesso, la curva scende sempre repentinamente e si stabilizza ora poco sopra area 2,50% per le scadenze 2028-2031. Come già osservato nel report della scorsa settimana, questo ci conferma le attese di minore incisività della Bce in merito al taglio dei tassi. Si sposta un po’ in avanti la previsione di risalita dei tassi, vista ora a partire da fine 2031, con una progressione graduale sino al 2034 per stabilizzarsi poco sopra area 2,75% sulle scadenza a lunghissimo termine.
Analisi Integrata Trendycator
Analizzando con il Trendycator le curve dei rendimenti su scala settimanale dei principali benchmark decennali si confermano le variazioni osservate dalla scorsa settimana.
L’area UK, infatti, vede il rendimento per il GILT portarsi in area 4,19% con Trendycator che ora si conferma in stato LONG, ad indicare che potenzialmente sta per iniziare una nuova fase di salita strutturale dei rendimenti. Correggono un po’ i rendimenti del BUND che si portano ora in area 2,54% con Trendycator che anch’esso si conferma in stato LONG. Si ridimensionano un po’ anche i rendimenti del nostro Btp decennale, ora in area 3,86% con uno spread in salita in area 139 bps; anche per i governativi italiani il modello Trendycator conferma il cambiamento di stato su NEUTRAL rispetto allo stato SHORT che ci accompagnava da fine 2023. Infine, l’area USA con i rendimenti del Treasury decennale che si portano in area 4,29% con Trendycator che si per ora mantiene lo stato NEUTRAL.
Rendimenti bond governativi benchmark mondiali
Tabella dei rendimenti, su base settimanale, delle obbligazioni governative mondiali con qualunque rating.
Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.
In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo.