Perché la cautela sul semestre maggio/ottobre non va ironizzata sugli indici azionari.


Negli anni '70, di ritorno da Londra, ero stato tra i primi a scrivere in Italia su il Globo e il Settimanale (ovviamente quotidiani e riviste  allora conosciute e ora fallite....) sulla strana peculiarità borsistica del semestre che iniziava in maggio e terminava in ottobre. Avevo infatti letto in Inghilterra (e scopiazzato) che tale semestre mostrava risultati molto deludenti, come indice azionario mondiale, rispetto al successivo semestre novembre/aprile. Al punto che già allora circolava in Inghilterra e in America la frase del "sell in may". Frase giustificata da una media degli indici azionari che sarebbe rimasta più o meno invariata anche negli anni successivi al punto che proprio Borsa Italiana in un suo scritto ricordava che tra il 1969 ed il 2013 il semestre estivo vedeva una progressione media dell'indice  del 2,1% mentre il semestre invernale lo surclassava con un rialzo dell'11,9%. Borsa Italiana ironizzava nel suo interessante articolo sulla fragilità di questi dati, ma noi ci crediamo ancora. Ovvio che come laureato in statistica ben conosco le eccezioni a tali proverbi. La famosa eccezione che conferma la regola. Tutto cambia nel mondo specialmente nel settore finanziario. Ma rimane attuale un progressivo continuo lento miglioramento dell'economia mondiale in atto da oltre 70 anni che si sostanzia in risultati reddituali, comunicati in primavera, solitamente positivi con l'ovvia conseguenza di vendere i titoli (sell on news).

Questa strana regola seguita da molti gestori potrebbe trovare una nuova possibilità di conferma poiché le borse sono sui massimi storici. Più facile, quindi, che questa situazione aumenti i rischi di uno sfacciato ipercomprato. Nel dubbio stop loss in funzione e ricordarsi che gli utili si fanno quando si vende. Sulla "carta" sono solo teorici.

(L'autore del presente articolo non è iscritto all'ordine dei giornalisti e potrebbe detenere i titoli oggetto dei suoi articoli)