Mentre i dati macro in uscita confermano una certa stabilità per l’inflazione e l’ultima riunione della Bce ha aperto ad un possibile taglio dei tassi per giugno, i riflettori si spostano sul comparto bancario europeo.
Infatti, sono tornati a far parlare di loro i “falchi” della Bce capeggiati dalla Bundesbank, i quali premono per aumentare il coefficiente di riserva obbligatoria delle banche dall’1% attuale. Solo pochi mesi fa il governatore austriaco Holzmann avanzò l’ipotesi di aumentarlo al 5-10%. E, chiaramente, il collega tedesco Nagel si era detto favorevole a una simile decisione.
Ora, il coefficiente di riserva obbligatoria è un accantonamento imposto dalla Bce agli istituti di credito in base a certe passività. Sino al 2011, le banche europee erano tenute a detenere almeno il 2% delle proprie passività presso la Bce in qualità di riserve minime obbligatorie. Dal 2012, quella percentuale è stata ridotta all’1%.
Perché la proposta (boutade?) di Holzmann può mettere in crisi il sistema creditizio? Perché per le banche europee il coefficiente di riserva obbligatoria si traduce in minore liquidità da investire, cioè in margini d’interesse mancati.
Quindi, aumentarne la percentuale si traduce implicitamente in un calo di tali margini di profitto, con probabili conseguenze per l’economia, visto che verosimilmente famiglie e imprese riceverebbero minori prestiti.
Riappare quindi il rischio di credit crunch, di cui già tanto si era parlato quando la Bce era stretta nella morsa dell’inflazione che esplodeva e i timori di aumentare i tassi causando uno tsunami sul fronte del debito dei Paesi dell’Eurozona considerati meno virtuosi.
E tale rischio, nel caso specifico di cui stiamo parlando, esiste e non è trascurabile nel caso in cui la Bce dovesse seriamente prendere in considerazione e approvare la proposta dei “falchi” in seno al board della banca centrale.
È abbastanza evidente che passare di botto dall’1% attuale al 5% o 10% sarebbe uno shock per l’economia nel su complesso. Naturalmente, le banche europee stanno facendo forti pressioni per convincere il board a desistere da una simile scelta. Lo stesso Nord Europa appare diviso, con il belga Wunsch che ritiene di non vedere solide ragioni per prendere in considerazione un aumento delle riserve minime.
Al momento pare quindi piuttosto probabile che le riserve obbligatorie restino fissate all’1%, pur considerando che tale percentuale rappresenta lo strascico delle manovre eccezionali e d’emergenza varate oltre dodici anni fa con la crisi dei debiti sovrani.
Passando al nostro portafoglio, facciamo il consueto aggiornamento e registriamo il raggiungimento di un nuovo massimo storico. Infatti, all’ultimo close disponibile, valorizza un NAV a 107,62 in buon aumento rispetto all’ultima valorizzazione di 107,32. La performance storica cumulata vola così al +7,62%, con la volatilità totale in discesa all’1,90% così come quella negativa che cala all’1,25%.
Portafoglio aggiornato nella sezione consueta.