Ormai è assodato: il sistema bancario è nuovamente in crisi.
Che poi la crisi non sia uguale per tutti e che alcune banche non siano davvero in crisi, ma solo prese nel mucchio come facile bersaglio, è tutto un altro discorso.
In realtà quello che stiamo vedendo ha tanto la faccia della punta dell’iceberg e, se facciamo attenzione ad alcune dinamiche viste sui mercati in queste ultime sedute, non possiamo ignorare il fatto che almeno in linea di principio si stanno gettando le premesse per un cambio di strategia.
Di quale cambio di strategia sto parlando? La strategia delle Banche Centrali in termini di politica monetaria.
Il ragionamento prende le mosse da quanto visto sui mercati, da quanto letto su alcuna stampa specializzata nel week end e dal fatto che facendo due calcoli è un po’ tutta la finanza ad essere in crisi. E potenzialmente a rischio.
Andiamo con ordine.
L’ultima “vittima” in ordine di tempo, a livello di vendite copiose sul mercato, è stata Deutsche Bank che nella seduta di venerdì ha preso una bella batosta e ha visto i suoi CDS schizzare da 132 bps a oltre 170 bps.
Su queste colonne, a più riprese io e altri colleghi redattori abbiamo in passato spesso considerato come DB fosse effettivamente messa male e potenzialmente sull’orlo del fallimento. Infatti, non è assolutamente un mistero che già negli anni passati la banca tedesca sia stata al centro di forti tensioni finanziarie; tensioni che portarono (tra il 2019 e il 2020) alla riorganizzazione sotto nuovi vertici.
Ora, prendendo per buoni i dati di bilancio comunicati, è da dieci trimestri consecutivi che Deutsche Bank chiude i bilanci in attivo e nel 2022 ha riportato addirittura un utile netto di 5,7 miliardi di euro, dato massimo dal 2007.
Quindi, non proprio la fotografia di una banca che sta per andare a gambe all’aria.
E allora come si può spiegare questo improvviso terrore nei suoi confronti? Con un po’ di fantasia (forse fantafinanza?) se mettiamo insieme alcuni pezzi del puzzle apparentemente slegati tra loro, possiamo trovare una possibile risposta, per quanto possa sembrare bizzarra.
Facciamo un passo indietro e torniamo alle ultime riunioni delle Banche Centrali, in particolare a quella della Bce. Come noto il board ha deliberato un aumento dei tassi di 50 bps, mantenendo quindi la linea restrittiva, in accordo con le posizioni più intransigenti che, guarda caso, sono quelle tedesche.
Non è un mistero che sino a venerdì scorso, cioè proprio al crollo di Deutsche Bank iniziato, il governatore della Bundesbank, Joachim Nagel, si spendeva pubblicamente per continuare ad alzare i tassi d’interesse e solo il giorno prima una sua dichiarazione invitava il resto del board della Bce ad essere più “testardo” dell’inflazione.
E, sotto il profilo squisitamente macroeconomico, la posizione tedesca sui tassi non è così sbagliata, visto che l’inflazione sta rallentando la sua discesa nell’Area Euro, con un’economia che si rivela più resistente delle attese a crisi energetica e rialzo dei tassi. Quindi, tutti aspetti a favore di una prosecuzione della stretta monetaria, come dovrebbe essere logico.
Ma i mercati, soprattutto azionari e la finanza in generale, da tempo stanno cercando di mandare “messaggi” sia alla Fed sia alla Bce: fermate il rialzo dei tassi. E quanto successo venerdì ha un po’ il sapore di un ulteriore messaggio ai “falchi” tedeschi in seno alla Bce: basta aumentare i tassi.
Per carità, molto probabilmente questa è solo una suggestione, ma abbiamo imparato che spesso la fantasia supera la realtà. Basti pensare a cosa successe nel 2011 quando i mercati mandarono sull’orlo del fallimento il nostro Paese per instaurare il governo Monti.
E scavando un po’ a fondo possiamo anche capire le motivazioni che potrebbero stare alla base di una presa di posizione forte della finanza contro la prosecuzione del rialzo dei tassi. Rialzo che sta mettendo alle corde i bilanci di molti istituti e, cosa molto preoccupante, le consistenze dei fondi pensione e della previdenza complementare in generale.
E quindi, sotto questo profilo, è normale che la finanza non apprezzi, perché dopo anni di tassi a zero e liquidità a fiumi (come dimostrano i crac bancari americani), il rischio è che il valore degli asset in portafoglio sprofondino al punto da trasformarsi in perdite reali e infliggere un colpo durissimo ai bilanci di banche, assicurazioni e fondi d’investimento.
Nel 2022, infatti, i risultati dei fondi pensione hanno risentito del rialzo dei tassi di interesse, che a sua volta ha determinato un calo dei prezzi dei titoli obbligazionari. I rendimenti netti sono così risultati negativi a -9,8% per i fondi negoziali e a -10,7% per i fondi aperti; addirittura, a -11,5% nei PIP di ramo III. Nel frattempo, il Tfr si è rivalutato dell’8,3%.
Numeri preoccupanti, che potrebbero anche dare il via (ove possibile) ad un fiume di riscatti di risparmiatori delusi e giustamente preoccupati per i fondi destinati alla loro pensione.
Letta in questo modo, tutta la faccenda inizia ad acquisire contorni più vasti ma più delineati su diverse apparenti incongruenze che hanno caratterizzato l’andamento dei mercati di questi ultimi mesi.
E il sentiment pare davvero in via di cambiamento. Venerdì scorso le probabilità di un aumento dei tassi Bce a maggio dello 0,25% sono crollate. E già per luglio il mercato si aspetta che la Fed addirittura tagli i tassi di mezzo punto percentuale portandoli al 4,50%.
Per capirne di più e per vedere quanto queste siano ipotesi campate per aria, basterà prestare molta attenzione alle varie voci e dichiarazioni che da qui in poi usciranno dalla bocca dei membri delle Banche Centrali, visto che non mancheranno interviste, convegni e dichiarazioni “social” a cui ormai anche i politici si sono assuefatti.
Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve mostra un’ulteriore contrazione dei rendimenti su tutto il tratto della curva rispetto alla scorsa analisi. Infatti, rispetto alla scorsa lettura il rendimento della scadenza a 10 anni scende in area 2,89% rispetto al 3,02% precedente, mentre la scadenza trentennale si porta ora in area 2,29% rispetto al 2,42% precedente. Sostanzialmente stabile la conformazione della curva anche se si inizia a percepire qualche cambiamento. Per ora rimane invertita ma si restringe decisamente il differenziale 10Y-2Y che è passato agli attuali -32 bps da precedenti -70 bps. In discesa anche il tratto a breve, con la curva che evidenzia ora un massimo di rendimento sulle scadenze di inizio 2024 in area 3,60% rispetto al 4,00% della scorsa analisi. Si modificano anche le previsioni dei tassi forward su Euribor 6 mesi in particolare sulle scadenze a breve. La curva rimane impennata sulla parte a breve ma vede ora tassi verso un massimo in area 3,80% per inizio 2024 rispetto alla precedente lettura al 4,50%, per poi scendere nell’intervallo 2,80% - 2,60% a partire da fine 2024.
Analisi Integrata Trendycator
Osservando – a livello di analisi integrata – le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali si notano i primi segnali di potenziale cambiamento in particolare sull’area sterlina e dollaro Usa. L’area UK vede ora il rendimento per il GILT in area 3,37% in discesa dal precedente 3,77% e con Trendycator ora in stato NEUTRAL. In contrazione anche i rendimenti del BUND, che si porta ora in area 2,18% rispetto al precedente 2,63% e con Trendycator che per ora resta ancora in stato LONG. Calano anche i rendimenti del nostro Btp decennale, ora in area 4,05% rispetto al precedente 4,40%, con uno spread in miglioramento ora poco sotto area 180 bps; Trendycator ancora LONG anche su questo mercato. Infine, l’area USA con i rendimenti del Treasury decennale che scendono in area 3,40% rispetto al precedente 3,90% e con Trendycator che cambia stato e passa ora a NEUTRAL dal precedente LONG.
Bond Governativi Mondo Weekly Ranking
Consueta sezione dell’analisi sui mercati obbligazionari, con l’introduzione sotto forma di ranking dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.
Bond in evidenza
Per ora, nessun bond in particola da evidenziare, anche perché sino a che non sarà più chiara la dinamica delle politiche monetarie, alla luce dei recenti avvenimenti, non è prudente prendere posizioni particolarmente rilevanti.
Ad ogni buon conto, se il vento sta davvero per cambiare, e il rialzo dei tassi dovesse davvero vedere uno stop, la reazione dei bond a lunga scadenza potrebbe essere molto importante. Ne consegue che una strategia al tempo stesso prudente e in prospettiva molto fruttuosa potrebbe essere (per chi ha liquidità) quella di iniziare ad accumulare bond a medio lungo con un occhio di riguardo a quelli che hanno un buon ratio di rendimento immediato, come suggerito nello scorso articolo.