Nel nostro ultimo aggiornamento avevamo considerato come azioni e obbligazioni fossero totalmente decorrelate e di come le azioni paressero infischiarsene dei moniti delle Banche Centrali in merito al regime di politica monetaria restrittiva.
Ora, da qualche seduta a questa parte pare che anche i mercati azionari abbiamo compreso la piena portata delle parole dei governatori di Fed e Bce, che sono stati ulteriormente molto chiari in merito al fatto che da qui in poi saranno i dati macro a guidare il ritmo dei rialzi dei tassi.
Attenzione: ritmo dei rialzi, non eventualità dei rialzi. Quindi, come si dice, occhio alla penna, perché Fed e Bce hanno in valutazione solo l’entità dei futuri aumenti non la loro attuazione.
Oggi per le 14:30 sono attesi due dati importantissimi dagli USA: la richiesta di buste paga non agricole riferite al mese di febbraio, cioè i noti Non Farm Payroll, attese a 205.000 unità con tasso di disoccupazione fermo al 3,4%. Altro dato molto importante sarà, sempre alle 14:30, quello delle retribuzioni medie orarie, previste in aumento al +4,7% rispetto al mese precedente.
Dati peggiori delle aspettative, chiaramente inflazionistici, sposteranno decisamente il baricentro delle prossime decisioni Fed e Bce, con un molto probabile approfondimento al ribasso per azioni e bond a lunga scadenza.
E se dal fronte Usa ormai le proiezioni vedono a oltre il 70% le probabilità di un aumento di 50 basis points, in Europa è ancora scontro tra “falchi” e “colombe”, con i primi che premono per aumenti decisi e i secondi che sono recalcitranti. Infatti, anche se al momento l’esito della riunione appare scontato, in seno alla Bce i toni si alzano in vista del board di giovedì prossimo.
In questa fase è sempre l’Italia a reclamare prudenza sull’aumento dei tassi, e ci sta visto che la nostra posizione debitoria non è delle più specchiate. Di fatto, Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia ha attaccato i colleghi del Nord Europa sul fatto che abbiano messo le mani avanti circa il rialzo dei tassi d’interesse dopo marzo. Visco ha spiegato di non condividere questo atteggiamento, che contraddice le decisioni adottate dall’ultimo board e impostate su valutazioni dipendenti dall’evoluzione dei dati macro.
Ma quali sono le posizioni degli esponenti del Nord? Il governatore austriaco Robert Holzmann sostiene che la Bce debba aumentare i tassi sui depositi bancari per altre quattro volte al ritmo dello 0,50%; il tedesco Joachim Nagel sostiene invece che i tassi d’interesse debbano salire anche a maggio qualora l’inflazione di fondo non scenda.
Ora, se la BCE sposasse la visione di Holzmann, i tassi d’interesse arriverebbero al 4,50% sui depositi e al 5% per i prestiti di riferimento alle banche commerciali nell’Area Euro, mentre ad oggi il mercato sconta che i primi si portino in area 4% - 4,25%. Chiaro che per i Paesi molto indebitati come l’Italia questo potrebbe (tanto per cambiare…) essere un problema per i conti pubblici.
Pare che i “prudenti” come Visco e Panetta siano in netta minoranza nel board, e pare anche che non abbiano particolari assi nella manica da giocarsi. L’inflazione a febbraio nell’Area Euro è scesa di appena uno 0,1% passando all’8,5%. Il dato “core”, al netto di energia e alimentari freschi, è salito invece dal 5,3% al 5,6%.
È innegabile, la stretta farà male all’economia ed è rischiosa per i soggetti pubblici e privati iper-indebitati. Tuttavia, non è questo il mandato della Bce, che è invece tenuta a garantire la stabilità dei prezzi. In realtà, a dirla tutta, la verità è che dopo oltre un decennio dal famoso “wathever it takes” di Draghi, è ancora irrisolto il nodo della tutela dei titoli di Stato dagli attacchi speculativi.
Il piano anti-spread varato nel luglio 2022, noto come TPI, è semplicemente inutile: limitato, non automatico e fortemente condizionato. La scarsa fiducia tra Nord e Sud Europa continua a tenere lontano un accordo che renderebbe possibile per la Bce intervenire più tempestivamente e appropriatamente per garantire la forza dell’euro e la stabilità dei prezzi.
Tornando al nostro portafoglio, all’ultimo close disponibile, valorizza un NAV a 103,95 in lieve contrazione rispetto all’ultima valorizzazione. Scende un po’ anche la performance storica su base annua ora al +1,35%. Scende anche la volatilità totale, ora al 2,06%, così come quella negativa che passa all’1,36%.
Portafoglio aggiornato nella sezione consueta.