Venerdì Wall Street aveva sorpreso tutti andando esattamente nella direzione opposta a quella della logica più triviale: economia bene, tassi al rialzo, prezzi di Borsa al ribasso. Niente da fare. E’ successo l’opposto.
Noi avevamo scritto del supportone a cui ogni speranza era attaccata ebbene il supportone ha retto o almeno aveva retto fino alla chiusura di venerdì.
Poi sabato l’attacco di Hamas ha colto tutti di sorpresa e il mazzo di carte è stato di nuovo tagliato e una nuova mano è iniziata.
La pressione si fa sentire in Borsa in questo lunedì mattina, con i prezzi del petrolio in salita, a seguito della massiccia offensiva lanciata sabato da Hamas, su suolo israeliano. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha promesso di vendicare "un giorno nero" per il suo paese ora ufficialmente in guerra, mentre gli Stati Uniti hanno iniziato domenica a inviare aiuti militari in Israele.
Se le tensioni in Medio Oriente e sul mercato petrolifero dovessero protrarsi ciò potrebbe confermare la posizione della Fed sul mantenere i tassi d'interesse "più alti per più tempo", un scenario poco favorevole per le azioni globali. La paura di interruzioni nell'approvvigionamento di petrolio è ora abbastanza forte tanto da far salire il Brent del 3% a 87,3 dollari, dopo aver toccato un picco giornaliero di 89 dollari. Il petrolio grezzo americano è salito fino a 87,2 dollari.
I futures di Wall Street sono in calo di almeno lo 0,8% e i mercati cinesi, riaperti dopo una settimana di pausa per la "Golden Week", hanno chiuso in leggera flessione. Le valute rifugio come lo yen e il dollaro si sono rafforzate nel mercato dei cambi, a differenza dello shekel, la valuta israeliana, che è crollata al suo livello più basso in sette anni contro il dollaro.
I mercati sostanzialmente temono che le tensioni in atto e i rischi di una propagazione del conflitto ad altri stati dell’area mediorientale possano far aumentare il prezzo del greggio con effetti inflazionistici negativi e spingere quindi la Fed e le altre banche centrali a mantenere i tassi di interessi alti per un periodo di tempo più lungo. La pubblicazione venerdì scorso del rapporto non farm payroll, che ha registrato un numero di posti di lavoro creati ben superiore alle aspettative, ha spinto i rendimenti obbligazionari ai nuovi massimi dal 2007, alimentando le speculazioni su un possibile ulteriore aumento dei tassi da parte della Fed.
La pubblicazione questa settimana degli ultimi dati sull’inflazione, con i prezzi alla produzione mercoledì prossimo e quelli al consumo giovedì prossimo, rappresenterà un punto cruciale per la futura direzione dei mercati obbligazionari e azionari, in vista della riunione della banca centrale del 31 ottobre e 1 novembre.
Per il momento il sentimento prevalente è l’attesa e sicuramente dovremo vedere la fine della giornata per capire se il supportone tiene oppure no.
A naso mi sembra una bella buy opportunity.