Come da segnale operativo inviato poco fa, acquistiamo il BOT scadenza maggio 2024 per un 10% del portafoglio (ovvero 10k nominali pari ad una spesa di circa 9.800 euro) che assorbirà tutta la nostra liquidità residua. Il titolo in questione, complici i continui allargamenti dei rendimenti anche sulla parte a breve della curva, offre oggi un rendimento netto del 3,55% per nulla disprezzabile nella nostra ottica di portafoglio.
La scelta a favore di questo Bot rispetto al nuovo Btp Valore in collocamento è dovuta al fatto che la convenienza della nuova emissione, di fatto, è quasi tutta nel premio finale che sarà corrisposto a scadenza. Infatti, se non consideriamo l’opzione CUM dello 0,50% lordo a scadenza, il margine di sconto rispetto ai Btp tasso fisso quotati e di pari scadenza si aggira ad una manciata di basis points.
Questa differenza, a nostro modo di vedere, non è sufficiente per posizionarsi oggi su una scadenza a 5 anni vista la volatilità dei rendimenti e l’impostazione generale del mercato obbligazionario, ancora ben impostato al ribasso sotto il profilo dei prezzi.
La scelta di posizionarsi ancora sul breve termine dipende anche da altri fattori che abbiamo considerato e che qui di seguito andiamo a spiegare.
Nelle ultime settimane i rendimenti dei titoli di Stato, come i T-bond e i Bund sono stati oggetto di rialzi di circa 40/50 punti base, portando il rendimento decennale americano al 4,7%, mentre il suo omologo tedesco è arrivato al 3%.
Ora, a nostro modo di vedere, la situazione attuale è insolita: i rendimenti dei titoli di Stato a breve termine sono di fatto allineati a quelli dei titoli corporate americani investment grade e addirittura agli utili aziendali, considerando una distribuzione completa in dividendi.
Come a dire che, se ragioniamo in termini di premio al rischio, è come se fosse del tutto indifferente investire in uno qualunque di questi tre asset. La realtà, però, è che questi tre asset non dovrebbero equivalersi in termini di rapporto rischio/rendimento, poiché comportano oggettivamente livelli di rischio molto diversi.
Mentre i titoli di Stato a breve termine sono generalmente considerati privi di rischio, i titoli corporate investment grade e gli utili aziendali sono soggetti a maggiori gradi di incertezza. Poi è vero che noi ben sappiamo che il free risk esiste solo sui manuali di economia, per cui è più corretto considerare solo molto basso il rischio dei titoli di Stato a breve termine.
Per ciò che riguarda le società con buon rating si può ragionevolmente considerare come piuttosto probabile sia il pagamento dei flussi cedolari sia la restituzione del capitale (pur con qualche doverosa differenza in termini di Credit Risk), mentre gli utili aziendali presentano molte più variabili e questioni aperte che dipendono da fattori sia micro che macro.
Ciò ci porta, quindi, a dover considerare diversi potenziali scenari per i prossimi mesi.
Nel primo scenario, i tassi a breve termine iniziano a calare, prezzando quindi un rischio inferiore agli altri asset, anche se questo sembra piuttosto improbabile stando a quanto dichiarato recentemente da Powell e stando alle manifeste intenzioni della Fed.
Nel secondo scenario, i rendimenti dei titoli corporate investment grade salgono ulteriormente, spingendo anche i titoli con rating inferiore a rivedere al rialzo i loro rendimenti, per prezzare più correttamente il rischio rispetto ai governativi a breve termine.
Nel terzo scenario, gli utili aziendali americani devono crescere in modo significativo, cosa anche questa non molto probabile visto il rallentamento in atto.
L'ultimo scenario, quello che a noi pare più verosimile, è una sostanziale stabilità dei tassi a breve su livelli elevati, come anche mostrato dai forward su Euribor, con il proseguimento dell’allargamento dei rendimenti per i bond a medio e lungo termine.
Questo a livello strutturale e strategico. Poi, certo, sappiamo bene che, come dimostrano gli eventi del passato, i mercati finanziari non sempre rispettano i fondamentali a breve termine, salvo poi assistere ad eventi che riportano tutti con i piedi per terra.
Basta pensare agli eventi storici come il Black Monday del 1987, oppure la crisi delle casse di risparmio americane nei primi anni ’90 o ancora alla bolla delle dotcom per proseguire con la bolla immobiliare del 2007 e per finire con la bolla del reddito fisso figlia del QE selvaggio delle banche centrali.
Sono quindi tutti questi i motivi per cui preferiamo rimanere prudenti, beneficiando degli interessi ora per nulla disdicevoli dei titoli di Stato a breve termine, piuttosto che allungare la duration di portafoglio per rendimenti, in rapporto, meno allettanti.
Tornando al nostro portafoglio, all’ultimo close disponibile valorizziamo un NAV a 104,77 in lieve contrazione rispetto all’ultima valorizzazione. La performance storica su base annua si attesta in area +1,37%, portando quella cumulata al +4,77%. In lieve diminuzione la volatilità totale, ora all’1,92%, mentre sale un po’ quella negativa che va all’1,31%.
Portafoglio aggiornato nella sezione consueta.