Un'altra guerra! – Volatilità, come gestirla e soprattutto come evitare di fare errori


Torna violentemente o non torna? Dopo aver spiegato con parole semplici cos’è, vediamo come proteggersi da questo fattore di variabilità dei prezzi, che a certe condizioni può trasformarsi in un’opportunità di migliori performance nel medio-lungo periodo.

Buy or sell

Foto di Advantus Media Inc. and QuoteInspector

Come muoversi in presenza delle nuove drammatiche vicende mediorientali? È la domanda più frequente che i lettori di LombardReport pongono di fronte a mercati complessi e incerti nelle evoluzioni. Ciò vale sia in ambito azionario sia in quello obbligazionario. Con un timore di fondo: che la volatilità torni a essere regina. Spazio allora oggi a un argomento spinoso, cui pochi riescono a dare una risposta soddisfacente. È appunto quello della volatilità, concetto ostico che i professionisti della finanza possono gestire con strumenti specifici ma che i piccoli e medi investitori/trader subiscono invece quasi sempre in maniera passiva. Tante domande perciò e tante risposte a quella che potrebbe diventare una costante dei prossimi mesi.

Partiamo da un quesito di base: cos’è la volatilità?

Con questo termine si intende l’andamento dei prezzi in un determinato arco temporale, che può essere corto o anche lungo, al contrario di quanto alcuni sostengono. Nello specifico si parla di alta volatilità quando le oscillazioni sono violente in precisi periodi di tempo. Inoltre, possiamo dire che la volatilità non considera soltanto l’arco transitorio e l’entità dell’oscillazione ma dipende anche dal tipo di investimento. E’ evidente che una criptovaluta subisce variazioni molto maggiori rispetto per esempio a un titolo di Stato corto in euro.

Quindi più cresce e più comporta rischi?

Sì, poiché aumenta l’incertezza rispetto al rendimento che si può ottenere.

Quando ci si prepara all’alta volatilità? Ci sono degli indicatori specifici?

Il tema – l’abbiamo detto – è vasto. È indubbio che valutando la volatilità del singolo asset o della singola azione si capisce se comporta minori o maggiori rischi congeniti. I dati sono reperibili su alcuni siti ma il problema è che quasi sempre il periodo di riferimento è uno solo: per esempio 30 o 90 sedute o su dodici mesi. Sarebbe interessante ottenere dei numeri riferiti a intervalli cortissimi, per meglio leggere il comportamento dello strumento sotto analisi con il passare delle sedute. Inoltre non sempre c’è corrispondenza fra le diverse fonti di informazione, sebbene le differenze talvolta non siano significative.

La domanda era però: quando ci si prepara alla volatilità?

Riprendiamo questo tema importante: da un punto di vista di analisi tecnica ci si prepara quando ci sono dei segnali di mercati arrivati al termine di una prolungata fase rialzista. Lo si fa per esempio seguendo l’Rsi - indicatore di forza relativa – tarato a 7 periodi su base settimanale (o addirittura mensile) di un indice che può essere, a seconda dei casi, il Ftse Mib o il Nasdaq. Al superamento delle prime barriere di iperacquistato si inizia a operare con un piano difensivo o all’opposto in presenza di segnali di ipervenduto.

Di falsi segnali se ne sono visti però tanti negli ultimi anni. Il cane ha abbaiato ma poi non ha morso!

Le valutazioni in merito dovrebbero essere anche altre, sebbene una verifica dimostri che la modalità consigliata ha sempre colto l’entrata in scena di fasi ad alta volatilità.

Questo dal punto di vista dell’analisi tecnica. In termini più generali c’è da chiedersi però se con azioni, per esempio, a bassa volatilità si rischia di perdere in fasi rialziste dei mercati ma di perdere meno in quelle ribassiste?

Non è così! Si può per esempio strutturare una strategia a bassa volatilità puntando su azioni con ottimi fondamentali e con business stabili, che non subiscono oscillazioni violente ma proseguono regolarmente nel trend rialzista. Si osservino i grafici della francese L’Oréal o della svizzera Nestlé. Evidenziano anni e anni di una crescita continua e alla fine hanno consentito performance maggiori rispetto a quelle di titoli molto volatili.

Si possono avere altri dettagli in merito?

Diceva di recente un analista: “Azioni come queste possono aiutare le strategie a bassa volatilità a limitare la partecipazione ai ribassi, ossia l'esposizione alle flessioni dei mercati, pur continuando a beneficiare delle fasi di rialzo, anche se in misura solo parziale. Proprio come scalare una collina è più facile se si parte da metà strada, così i titoli che registrano minori perdite nelle fasi di ribasso hanno meno terreno da recuperare quando il mercato riprende quota. Di conseguenza, si trovano in una posizione migliore per accumulare rendimenti più elevati durante i successivi rally, realizzando una migliore performance a lungo termine”.

In altre parole meglio escludere i titoli della tecnologia?

Non è detto. Anzi l’esperienza dimostra che certe azioni della tecnologia, meno esposte alle variabili della domanda, possano essere difensive nelle fasi ribassiste ma allo stesso tempo partecipare meglio a quelle rialziste. Di qui una visione che sta cambiando nel concepire i titoli da attacco e quelli da difesa rispetto agli andamenti generali dei mercati.

Adesso diamo dei consigli sull’impostazione di un portafoglio in presenza del rischio volatilità. Quali possono essere?

Sono vari. Per esempio investire ogni mese un importo fisso su indici (o anche titoli) azionari, sia che salgano sia che scendano. Ancor meglio se scendono. Il problema è che occorre avere costanza e non spaventarsi se si riscontrano dei segni meno. Questo vale perché il cosiddetto market timing - cioè entrare al momento giusto e uscire pure a quello giusto – non riescono a centrarlo nemmeno i gestori professionali. Decisiva è poi la diversificazione azionario-obbligazionario, poiché solo in poche fasi si è vista una coincidenza di trend. È successo in presenza dei Quantitative Easing ma poi si è tornati alla normalità. Si può infine consigliare di farsi seguire da uno specialista finanziario se non si ha la conoscenza della materia. Convincendolo però ad adottare strategie molto chiare e che tengano sempre conto del rischio massimo che si vuole correre. Logicamente ci sono poi strumenti evoluti per limitare gli effetti della volatilità ma questo è un discorso più complesso.

Non si è parlato degli Etf/Etn relativi al Vix. E’ solo una dimenticanza?

No, non lo è. I numeri dimostrano che dal loro esordio sul mercato non hanno funzionato, per motivi complessi che probabilmente tedierebbero il lettore. Il grafico qui sotto si riferisce all’Etf Lyxor S&P500, la cui denominazione precisa è Lyxor S&P500 Vix Fut En Rol (Isin LU0832435464). Quota su Borsa Italiana.

È evidente come dopo il rimbalzo del 2020 abbia innestato una retromarcia, difficile da gestire in ottica di hedging di un portafoglio. Il Vix è l’indice che replica la volatilità implicita delle opzioni a 30 giorni sull’S&P 500. Chi segue i mercati ha dei precisi riferimenti in relazione ai valori del Vix: ● sotto 20 la volatilità è bassa ● fra 20 e 30 accede a un quadro di “alert” senza implicazioni di rischio ● oltre 30 si entra nel rischio. C’è da notare che questi movimenti possono essere molto veloci.

Un Etf solo per l’S&P 500? E sul Ftse Mib non c’è nulla?

Esiste un indice specifico. Pubblicato da Borsa Italiana. E’ il Ftse Mib IVI 90 Days (https://www.borsaitaliana.it/borsa/indici/indici-di-volatilita/dettaglio.html?indexCode=IVMIB90&lang=it), che non ha però strumenti di replica.

Torniamo all’Etf sul Vix relativo all’S&P 500 e approfondiamo i motivi per cui non è uno strumento protettivo di lungo periodo?

Se lo si può utilizzare su trading di brevissimo o di breve periodo all’opposto sul medio e lungo non protegge a causa di un insieme di variabili quali l’effetto contango (che è una variabile del prezzo dei future sottostanti), il peso delle commissioni, il fattore della componente valutaria e per altro ancora. Ciò è ancor più presente nell’Etf a leva 2,25 sempre sul Vix dell’S&P 500 (Wisdomtree S&P 500 Vix 2.25x Daily Lev – Isin IE00BLRPRH06): venerdì ha svettato con un +24,67%, perché il Vix è salito e non di poco ma è uno strumento solo da “intraday” per l’impatto appunto della leva.

In sostanza cosa si può dedurre da tutto questo?

Che gli Etf sulla volatilità non sono efficienti nel lungo termine. Questo perché i loro gestori acquistano di fatto future a prezzi alti e li vendono a prezzi bassi. Meglio allora – per chi lo può e lo sa fare – utilizzare future e opzioni.

In conclusione dalla volatilità ci si protegge meglio impostando un portafoglio con azioni a bassa volatilità e dai fondamentali extra solidi?

L’esperienza lo conferma e ciò vale ancor più se si riesce a entrare su minimi di lungo periodo. Quanto sta accadendo sul fronte medio orientale potrebbe determinare una situazione di questo tipo nel breve-medio periodo. Si legga quindi l’andamento del Vix nelle sue diverse versioni (esiste anche quello sull’EuroStoxx 50) come termometro dei mercati e lo si cavalchi con strumenti correlati soltanto se si ha una perfetta e sperimentata conoscenza del loro funzionamento.

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