Inizia una settimana molto importante per le Banche Centrali e per i mercati. Martedì 31 gennaio e mercoledì 1 febbraio si terrà il primo board dell’anno della Fed, che da previsioni dei mercati dovrebbe alzare i tassi d’interesse di un altro 0,25% portandoli al 4,75%; il giorno seguente, giovedì 2 febbraio, sarà la volta della Bce. Nel caso di Francoforte, la stretta prevista è dello 0,50% che farà salire il tasso ufficiale di sconto al 3%.
Gli analisti e i mercati si aspettano tassi d’interesse in salita per altre due volte dello 0,50%, portandosi al tasso finale del 3,50% ma credono anche che se nel frattempo l’inflazione nell’Eurozona continuasse a scendere la BCE arresterebbe la stretta. Anche se al momento i forward su Euribor 6 mesi, impliciti nella ZC Yield Curve, fotografano una situazione diversa come vedremo tra poco.
Intanto il dato di dicembre 2022 sull’inflazione, diffuso da Eurostat, vede un incremento annuale del 9,2%, rispetto al +10,1% di novembre e al +5,0% dello stesso mese del 2021, confermando l'indicazione preliminare e le attese. Su base mensile i prezzi al consumo nell'area euro hanno registrato una contrazione dello 0,4%. Pare quindi che il caro vita nella UE inizi a dare segni di rallentamento, e sarà interessante vedere il prossimo dato.
Questo perché, come sappiamo, il peso della componente energetica è piuttosto importante e con il fortissimo ridimensionamento del gas, crollato di oltre l’80% (da 340 euro a 57 euro sulla Borsa di Amsterdam) e di quasi il 70% (da 9,74 dollari a 2,93 dollari a New Yor4k) rispetto ai massimi di agosto scorso, il dato inflattivo di gennaio potrebbe essere particolarmente ridimensionato, anche se ancora ben lontano dal target del 2% a cui punta la Bce.
Anche negli USA il dato sull’inflazione di dicembre 2022 ha segnato una diminuzione e rispettando le attese. I prezzi al consumo si sono portati ad un +6,5% su base annua, il dato più basso da quattordici mesi a questa parte. Nel dettaglio, il dato “core”, ovvero quello depurato dalla componente dei prezzi dei beni alimentari ed energetici, è cresciuto dello 0,3%. Su base annuale, quindi, il dato «core» è cresciuto del 5,7%, anche in questo caso in linea con il consensus, dopo il +6% di novembre.
Questo dato, unito a quelli sul mercato del lavoro potrebbero dare una mano a Powell nel proseguire l’aumento dei tassi in modo misurato. Soprattutto il dato sul PIL fa da sponda al prosieguo dell’innalzamento del costo del denaro, come per altro ampiamente dichiarato dalla Fed nelle ultime settimane.
Occhi puntati, quindi, sulla ormai imminente riunione del board Fed, nella quale il mercato si attende che il costo del denaro sarà alzato dello 0,25%. Infatti, alla luce dei dati sul PIL nel quarto trimestre non esisterebbe alcun motivo per non proseguire con la stretta monetaria, posto che oltretutto il dato ufficiale ha battuto le attese. L’economia americana è cresciuta del 2,9% su base annua tra ottobre e dicembre, in rallentamento dal 3,2% del terzo trimestre ma sopra le previsioni degli analisti del 2,6%.
Contestualmente, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione sono diminuite di 6.000 unità portandosi a 186.000, ben sotto le 205.000 attese dal mercato. Questo significa che l’economia americana, cresciuta del 2,1% nel 2022, sta rallentando senza impattare negativamente, per ora, sul mercato del lavoro.
E così, mentre le Borse hanno reagito positivamente a questi dati, il mercato obbligazionario è stato caratterizzato da vendite che hanno riguardato i titoli di stato, e se questo è logico poiché gli investitori temono (giustamente) che il quadro macro sostanzialmente positivo giustifichi una stretta più dura delle attese, è molto meno logico il comportamento dell’azionario.
Una cosa è però abbastanza evidente, anche se stride con le logiche macroeconomiche: i mercati azionari stanno scommettendo che se entro febbraio l’inflazione dovesse scendere sotto il livello dei tassi Fed, Powell stopperà i successivi rialzi. I mercati obbligazionari, invece, la pensano diversamente, con i rendimenti che hanno ripreso ad allargarsi da metà gennaio in poi.
Chi avrà ragione? Come sempre lo scopriremo solo alla fine, ma intanto possiamo provare ad orientarci con le nostre consuete curve.
Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve mostra una contrazione dei rendimenti sul tratto a medio della curva rispetto alla scorsa analisi. Infatti, rispetto alla scorsa lettura il rendimento della scadenza a 10 anni scende in area 2,85% rispetto al 3,36% precedente, mentre la scadenza trentennale allarga e si porta ora in area 2,22% rispetto al 2,08% precedente. Stabile la conformazione della curva, sempre chiaramente invertita con il differenziale 10Y-20Y che è ora stabile intorno ai -39bps. La curva evidenzia sempre un massimo di rendimento sulle scadenze di inizio 2024 ora verso area 3,50% di rendimento rispetto al 3,36% della scorsa analisi. Ancora in aumento le previsioni dei tassi forward su Euribor 6 mesi, sempre sul tratto a breve. La curva rimane impennata sulla parte a breve e vede ora tassi verso un massimo poco sotto area 4,00% per fine 2023 inizio 2024, per poi indicare una brusca discesa in area 2,50% per il 2025.
Analisi Integrata Trendycator
Osservando – a livello di analisi integrata – le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali, si nota una fase di lateralità per i rendimenti su tutte le aree valutarie. L’area UK vede ora il rendimento per il GILT in area 3,27% in discesa dal precedente 3,31% con Trendycator sempre in stato LONG. In altalena anche i rendimenti del BUND, che si porta ora in area 2,21% dopo aver toccato area 2,50% di rendimento nella scorsa analisi, con Trendycator ancora in stato LONG. Si ridimensionano un po’ anche i rendimenti del nostro Btp decennale, con uno spread ancora in riduzione e ora sotto i 190 bps per un rendimento ora in area 4,16% rispetto alla precedente lettura al 4,40%, con Trendycator sempre LONG. Infine, l’area USA con i rendimenti del Treasury decennale che ritoccano sensibilmente attestandosi ora al 3,50% con Trendycator sempre LONG.
Bond Governativi Mondo Weekly Ranking
Consueta sezione dell’analisi sui mercati obbligazionari, con l’introduzione sotto forma di ranking dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.
Analisi in evidenza
Torniamo a parlare del cambio EUR/USD, importante valuta di riferimento per gli investimenti sul reddito fisso, vista la grande varietà di bond denominati in questa valuta.
Rimane improntato alla forza il nostro euro nei confronti del dollaro, con il movimento iniziato sul BOTTOM di fine settembre registrato in area 0,95. Il cambio EUR/USD è da diverse sedute saldamente ancorato alla fascia di resistenza tra 1,08 e 1,09.
Il Trendycator è stabile in posizione LONG e l’impostazione tecnica, rimane favorevole all’euro. Un deciso superamento dell’area 1,10 confermerà l’impostazione al rialzo per la nostra valuta e quindi l’inversione di tendenza che ci ha accompagnati con un dollaro in rafforzamento da due anni a questa parte.
Naturalmente, la variabile Banche Centrali e i dati macro saranno ancora il filo rosso da seguire per gli sviluppi dell’andamento del cross valutario.