Mercato obbligazionario: Powell mostra i muscoli...


Dopo la pausa agostana riprendiamo le nostre consuete analisi sui mercati del reddito fisso, cercando di mettere insieme i diversi pezzi del mosaico che è andato componendosi in queste ultime settimane. Sono due i fili rossi che legano le sorti delle obbligazioni in questo finale di estate, e molto probabilmente gli stessi temi terranno banco anche per i prossimi mesi.

A dare la sveglia ci ha pensato Powell, che nel suo intervento a Jackson Hole non ha lasciato dubbi sul percorso che intende seguire la FED in tema di politica monetaria. Per capire l’importanza delle dichiarazioni di Powell e del loro impatto sui mercati, dobbiamo considerare che la piccola cittadina nel nord-ovest del Wyoming a fine agosto diventa il centro delle attenzioni di tutta la finanza internazionale. E questo avviene perché a Jackson Hole si tiene il simposio delle Banche Centrali organizzato dalla Federal Reserve.

Bene, facciamo un piccolo passo indietro e andiamo all’ultimo dato sull’inflazione USA che ne ha visto una discesa – che rappresenta un fatto positivo – e che pareva confermare l’ottimismo degli investitori di queste ultime settimane. Invece, le parole dure di Powell hanno fatto girare prontamente in negativo i mercati mondiali, con significativi cali nella giornata di venerdì 26 agosto scorso.

Infatti, nell'atteso intervento nella cittadina del Wyoming, Powell ha affermato che “l'economia Usa avrà bisogno di una politica monetaria restrittiva per qualche tempo prima che l'inflazione sia sotto controllo, un fatto che significa crescita più lenta, mercato del lavoro più debole e un po' di sofferenza per famiglie e imprese. Il passato mette fortemente in guardia contro l'allentamento prematuro della politica. Dobbiamo continuare fino a quando il lavoro non sarà terminato".

E così, Powell è stato il più diretto possibile: i tassi resteranno elevati nell’immediato futuro, ed ha anche ribadito che la FED si baserà sui dati, anziché dare una guidance. Quindi, come fatto anche dalla BCE, viene sospeso un altro strumento di politica monetaria come la Forward Guidance, che per lungo tempo ha fatto parte integrante delle strategie comunicative delle Banche Centrali.

Così ora, in base alle proiezioni sui Fed Funds i mercati si attendono un rialzo dello 0,75% nella riunione di settembre con un tasso finale atteso al 4% alla fine del 2022. Tasso finale che sembra davvero il livello più probabile soprattutto alla luce delle probabilità raddoppiate dopo il discorso di Powell.

In tema di relazioni ed equilibri finanziari tra USA ed Europa, le dichiarazioni di Powell non hanno fatto altro che allargare ancora di più il divario tra dollaro ed euro, facendo volare la valuta USA ai massimi da 20 anni. E l'euro resta debole, nonostante i recenti commenti “hawkish” giunti da Francoforte abbiano incrementato le aspettative per un aumento dei tassi di 75 bps a settembre.

La sensazione molto netta è che i mercati stiano quasi scommettendo che la debolezza strutturale dell’Europa prima o poi, complici le elezioni anticipate in Italia, diventi definitivamente insanabile. Ma stavolta non c’è Draghi con il suo “wathever it takes” a frenare le mire speculative di chi sta shortando euro e debito soprattutto italiano.

La FED ha già alzato i tassi d’interesse quattro volte quest’anno: 25 bps a marzo, 50 bps ad aprile e 75 bps sia a giugno sia a luglio, portandoli così portati al 2,50%. Come detto, a settembre è quasi certo un aumento di altri 75 bps, portando quindi i tassi al 3,25%. Contemporaneamente, la FED sta già diminuendo il proprio bilancio dai 9.000 miliardi di dollari a cui si era attestato nella primavera scorsa.

Quindi, il mercato giudica il differenziale dei tassi tra USA ed Europa ormai insostenibile, sapendo che obtorto collo la BCE è ad un bivio: ignorare le parole pronunciate da Powell oppure reagire inasprendo la propria linea “hawkish”. Nel primo caso, ovviamente, il cambio EUR/USD collasserebbe ulteriormente, accentuando ulteriormente l’inflazione derivante dall’aumento dei costi per i prodotti importati. Nel secondo caso, invece, le vittime designate della linea più aggressiva di Francoforte sarebbero i titoli di stato italiani e spagnoli.

Infine, un altro bel problema per Europa e BCE è la difficile situazione economica in Germania, paralizzata dalla crisi energetica. Dopo un lungo decennio di crescita economica impermeabile alle condizioni precarie dei vicini dell’Eurozona, la Germania rischia di cadere in recessione prima e più di tutti nell’area. E per quanto possa sembrare paradossale, potrebbe essere proprio la Germania ad arrestare prematuramente il rialzo dei tassi BCE.

Con l’economia tedesca avviata verso la recessione, la BCE ha poco spazio di manovra e al massimo potrebbe effettuare da qui a fine anno solo piccoli rialzi sui tassi. Anche perché è abbastanza plausibile che se l’economia nell’area si deteriorasse significativamente, la BCE non avrebbe modo di proseguire sul percorso della politica monetaria restrittiva.

E qui giungiamo al paradosso conclusivo della storia economica e finanziaria di questi anni ’20 del secondo millennio. E il paradosso è che, seppur sottovoce, si invoca la recessione e la si dipinge come una cosa buona per combattere la spirale inflazionistica. D’altra parte, quando la principale arma per combattere l’aumento dei prezzi non può essere utilizzata non resta altro che far ripiegare l’inflazione con il crollo dei consumi e quindi della domanda.

Di fatto, la BCE accetterà una crisi di proporzioni moderate contro l’inflazione e contro le ritorsioni in termini di forniture energetiche da parte di Putin. E questa è la vera novità: la BCE non solo non avrebbe paura di tale scenario, ma anzi lo considera necessario per non rischiare un’inflazione fuori controllo in assenza della leva dei tassi. La recessione economica avrebbe la forza immediata di far ripiegare i prezzi delle materie prime, i quali già da qualche settimana indietreggiano proprio in previsione di una crisi globale.

Che sia come sia, vedremo quello che accadrà ma sono due gli aspetti che non andrebbero trascurati e che, a prescindere dagli esiti, rischiano davvero di far uscire l’Europa piuttosto malconcia da questa pesante congiuntura. La prima, in caso di marcia indietro della BCE in tema di aumento dei tassi concretizzerebbe in realtà lo scenario di stagflazione di cui da tempo si parla, e non come spera la BCE solo in una riduzione dell’inflazione. La seconda, a livello generale, è che i mercati stanno traendo i segnali di debolezza strutturale della BCE, sia sotto il profilo della politica sia sotto il profilo della “difesa” degli equilibri finanziari dei singoli Stati e della moneta unica rimanendo passiva e inerte nei confronti degli attacchi speculativi della finanza internazionale.

Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve mostra un balzo dei rendimenti sul tratto a breve e medio della curva, mentre sul tratto a lunga l’aumento è più contenuto. Infatti, rispetto alla scorsa analisi il rendimento della scadenza a 10 anni cresce decisamente portandosi ora in area 2,45% rispetto al 2,08% precedente, mentre la scadenza trentennale si porta ora in area 2,00% rispetto all’1,91% precedente. Si accentua ulteriormente l’inclinazione negativa nella conformazione della curva, che sulla parte a breve mostra sempre un’accelerazione verticale dei rendimenti, e sulla parte a lunga si inclina negativamente per le scadenze dal 2037 in poi. Non possiamo dire che anche la curva EUR sia invertita come quella USD, poiché per l’euro differenziale sulle scadenze a 10 e 2 anni è ancora positivo e si attesta ora intorno allo 0,35%; tuttavia, anche la nostra curva inizia a prendere in seria considerazione l’ipotesi di una recessione. La curva evidenzia ora un massimo di rendimento sulle scadenze 2035-2036, in aumento rispetto alla scorsa analisi, passando attualmente in area 2,54% dal precedente 2,20% di rendimento. Stabili le previsioni dei tassi forward su Euribor 6 mesi, sia sul tratto a breve sia su quello a lunga. La curva rimane impennata sulla parte a breve e vede tassi all’1% già per il 2023. Stasi per il tratto a lunga, fermo poco sotto area 3,00% per le scadenze 2034-2035.

Analisi Integrata Trendycator
Osservando – a livello di analisi integrata – le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali, si nota la decisa prosecuzione della salita dei rendimenti. L’area UK sfonda i massimi precedenti e si porta ora sopra area 2,60% di rendimento per il GILT con Trendycator sempre in stato LONG. Meno evidente la salita dei rendimenti sul BUND, che comunque dopo la correzione sotto l’1% di fine luglio ha ora un rendimento poco sotto area 1,40% con Trendycator ancora in stato LONG. Deciso rialzo anche per i rendimenti del nostro Btp decennale, con momenti di nervosismo dovuti alle ormai prossime elezioni politiche, ora in area 3,55% con Trendycator sempre LONG. Infine, l’area USA con i rendimenti del Treasury decennale che mostrano ancora sostanziale stabilità in una sorta di trading range (nonostante le parole decise di Powell), ancorati nei pressi di area 3,00% con Trendycator sempre LONG.

Bond Governativi Mondo Weekly Ranking
Consueta sezione dell’analisi sui mercati obbligazionari, con l’introduzione sotto forma di ranking dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.

Analisi in evidenza
Proseguiamo la nostra consueta analisi del cambio EUR/USD, importante valuta di riferimento per gli investimenti sul reddito fisso, vista la grande varietà di bond denominati in questa valuta.

Decisa accelerazione della valuta USA contro euro, corroborata dalle dichiarazioni di Powell a Jackson Hole, anche se a ben guardare, le premesse c’erano già tutte quando lo stesso Powell dichiarò al Congresso che la sua battaglia in questa fase sarebbe stata contro l’inflazione e che intendeva vincerla.

Inoltre, altre evidenze ci venivano anche dal modello Trendycator che non ha mai battuto ciglio sulle temporanee riprese di fiato dell’euro, rimanendo SHORT e indicando quindi che il trend era nettamente a favore della valuta statunitense.

Ora, con la rottura del livello a 1,03 siamo andati dritti sotto la parità, per poi assistere in queste sedute ad un assestamento nei pressi di area 1,00 che è altro livello tecnico e psicologico di indiscutibile rilevanza. Siamo di fatto ai minimi degli ultimi vent’anni, considerando che i minimi storici si trovano poco sopra area 0,80 registrati tra la fine del 2001 e l’inizio del 2002, agli albori della moneta unica.

Ci attendiamo volatilità elevata nelle prossime settimane, soprattutto in concomitanza con le date delle riunioni delle Banche Centrali e con il rilascio di importanti dati macroeconomici che potrebbero spostare gli equilibri molto precari su cui da mesi ci stiamo muovendo.