Reassessing constraints on the Economy and Policy: questo è il titolo del simposio 2022 di Jackson Hole, il consueto ritrovo dei banchieri centrali, dove vengono affrontati temi di natura macroeconomica, con particolare riferimento alle dinamiche dell'inflazione, dei tassi di interesse e delle politiche monetarie più adeguate a gestire l'evoluzione del quadro. Lo scorso anno il chairman della Fed, Jerome Powell, con un tasso di inflazione annua poco al di sopra del 4%, l'aveva definito come un fenomeno "transitorio", che si sarebbe aggiustato automaticamente. Mai previsione fu più errata, visto che ora siamo al 9% negli USA, sui massimi degli ultimi 40 anni.
Certamente il conflitto in Ucraina ha contribuito negativamente ma le cause profonde delle dinamiche inflazionistiche sono responsabilità proprio delle politiche monetarie e fiscali ultra-espansive adottate da Banche centrali e governi. L'inflazione in senso tecnico, infatti, non è "aumento dei prezzi", ma aumento della liquidità circolante, effettuata dalle Banche centrali manipolando al ribasso i tassi di interesse e comprimendo artificialmente i rendimenti obbligazionari con il quantitative easing, e dal sistema delle Banche commerciali che operano a riserva frazionaria aumentando virtualmente gli impieghi decine di volte al di sopra della massa dei depositi. L'aumento dei prezzi, degli asset finanziari, degli immobili, delle materie prime e dei beni e servizi, è solo una conseguenza di tale inflazione del denaro circolante. L'aumento vertiginoso dei prezzi al consumo è causato quindi innanzitutto dalla politica monetaria delle banche centrali che hanno pompato denaro irresponsabilmente, dalla grande crisi finanziaria del 2008-2009 ad oggi, in modo esponenziale in occasione della pandemia di Covid. I governi, dal canto loro, hanno imposto dei rigidi lockdown andando a frammentare le catene produttive e distributive, aumentando contemporaneamente la spesa pubblica in deficit alimentando così una domanda artificiale proprio in presenza di strozzature lato offerta. E poi, ciliegina sulla torta, è arrivata anche la guerra che ha contribuito a strozzare ulteriormente l'offerta, a partire dalle materie prime energetiche e alimentari.
Ma l'inflazione, intensa nel senso comune di rialzo dei prezzi di produzione e consumo, è in realtà in forte rialzo già dalla primavera-estate del 2021 e non è quindi destinata a rientrare neppure se terminasse il conflitto e si risolvessero d'incanto i problemi di supply chain disruption provocati dai lockdown, prima, e dalle politiche di sanzioni alla Federazione Russa e di "taglio delle forniture di gas" adottate da Putin in reazione alle sanzioni.
Questo lungo preambolo serve per capire che anche rialzando i tassi di interesse l'inflazione non si sgonfierà facilmente, a meno che le Banche centrali non decidano di ridurrre drasticamente i propri bilanci e i governi di tagliare la spesa pubblica: ciò avrebbe ovviamente effetti pesanti sui mercati finanziari, manderebbe in default il debito pubblico di Stati molto indebitati oltre a quello di molte imprese private, e innescherebbe una profonda e duratura recessione.
Ecco perché la Fed, insieme alle altre Banche centrali, si trovano ora in un vicolo cieco: tra la destabilizzazione del sistema finanziario e pesanti recessioni economiche, da un lato, e dinamiche inflazionistiche pesanti e durature, dall'altro, credo sceglieranno di minimizzare i rischi di collasso finanziario ed economico. In altre parole, accetteranno livelli di inflazione elevata, combattendola a parole o con rialzi dei tassi behind the curve, mantenendo quindi un contesto di rendimenti reali negativi per sgonfiare l'enorme massa di debiti, pubblici e privati, fuori controllo. Il conto delle politiche di espansione monetaria ad libitum delle Banche centrali e delle politiche di deficit spending dei governi lo pagheranno - lo stanno già pagando - i risparmiatori e i titolari di redditi fissi, in specie salari e stipendi, oltre alle pensioni.
Insomma, aspettarsi che la soluzione arrivi da Jackson Hole sarebbe ingenuo. Il rischio principale da gestire rimane l'erosione di potere d'acquisto prodotta dall'inflazione, per cui il cash rimane l'asset class più a rischio.
(L'autore del presente articolo non è iscritto all'ordine dei giornalisti e potrebbe detenere i titoli oggetto dei suoi articoli)