Come facilmente prevedibile, sono stati pessimi gli ultimi dati sull’inflazione nell’Eurozona. Infatti, come da attese, gli indici nazionali dei prezzi al consumo sono saliti ulteriormente a livello globale, facendo registrare nell’intera area il nuovo record all’8,6%.
Le tinte sulle prospettive economiche si fanno sempre più fosche, così come quelle legate ai prezzi delle materie prime energetiche. Ormai la recessione è ben che servita, anche se i dati “ufficiali” lo certificheranno alla prossima comunicazione del PIL trimestrale. I consumatori, schiacciati tra inflazione alle stelle e stipendi non adeguati, stanno tirando i remi in barca facendo calare domanda e spesa.
In questo scenario, mancano ormai pochi giorni al primo rialzo dei tassi BCE. Infatti, la svolta monetaria sarà annunciata alla riunione del 21 luglio, dando avvio ad un nuovo ciclo dopo undici anni di allentamento monetario. E ora, se da un lato il rialzo dei tassi è mossa obbligata per Francoforte, dall’altro questo appuntamento rischia di rivelarsi un altro fallimento sia sotto il profilo attuativo sia sotto quello comunicativo.
Come sappiamo, in base a quanto dichiarato da Christine Lagarde, l’aumento del costo del denaro sarà dello 0,25%, il che porterà i tassi sui depositi delle banche al -0,25%. Semplicemente ridicolo e certamente inadeguato rispetto alle dinamiche dell’inflazione attuale.
Ormai è chiaro da tempo: il problema è che la BCE avrebbe potuto e dovuto alzare i tassi già il mese scorso (anzi, a dirla tutta ben prima, seguendo le mosse della FED), ma prima doveva terminare gli acquisti di asset con il QE, cosa promessa da anni con la sua “forward guidance”. E a giugno Lagarde ha promesso un rialzo dei tassi BCE a luglio di un quarto di punto percentuale, aprendo a una stretta più decisa solamente da settembre, sempre che ve ne saranno le condizioni.
Ma l’inflazione galoppa e la recessione avanza. E purtroppo si sta delineando un rischio non trascurabile di dover affrontare una crisi economica senza alcuno strumento per contrastarla. Come spesso abbiamo considerato, l’ottuso attendismo di questi mesi si sta rivelando fatale per la BCE. Per non avere dubbi al riguardo, basta guardare oltreoceano, dove la FED (che a sua volta ha preso atto della necessità di combattere l’inflazione con molti mesi di ritardo), ha iniziato ad alzare i tassi a marzo. Vero, anche il suo primo rialzo fu dello 0,25%, ma seguito dallo 0,50% ad aprile e dallo 0,75% a giugno. Senza contare che a luglio vi sono previsioni, con ogni probabilità, un altro rialzo dello 0,75%.
Quindi, a conti fatti, entro il mese di luglio, il costo del denaro negli USA salirà al 2,50%, mentre nell’Eurozona sarà al -0,25%. E sotto questo profilo è impressionante il differenziale dei tassi tra USA e UE, pur avendo identiche dinamiche inflattive. Fino al marzo scorso i tassi BCE erano più bassi di 75 bps rispetto ai tassi FED; tra poche settimane il differenziale sarà volato a 275 bps.
Poi, c’è sempre il nodo del vociferato scudo anti-spread allo studio della BCE, e di cui stanno emergendo via vai maggiori dettagli tecnici. Stando a quanto riportato da alcuna stampa specializzata e da alcuni osservatori, questo piano tutto sembra, tranne che un piano capace di sventare sul nascere un qualche attacco speculativo contro i titoli di stato del Sud Europa.
Per ciò che ci riguarda, lo spread con il Bund continua a ballare intorno ai 200 bps, con i mercati che restano in attesa di capire come funzionerà il tanto atteso scudo anti-spread, i cui dettagli tecnici saranno resi noti al board BCE del 21 luglio. In base alle indiscrezioni che trapelano, il piano prevede che se i titoli di Stato di un Paese dell’Eurozona sono oggetto di speculazione e i loro rendimenti salgono a livelli giudicati non rispondenti ai fondamentali macro, Francoforte potrà intervenire.
In pratica, la BCE potrà acquistare titoli di Stato oggetto di massicce vendite speculative e dovrebbe farlo con i soldi liberati dalle scadenze degli altri titoli di Stato. Più nel dettaglio, pare che la BCE abbia suddiviso gli Stati dell’Eurozona in tre fasce: donatori, neutrali e recipienti. Queste fasce sono state create sulla base dell’entità e della velocità di risalita degli spread nelle ultime settimane, e dovrebbero avere una revisione mensile.
Inutile dire che nell’attuale fascia dei donatori troviamo Germania, Olanda e Francia, cioè Paesi i cui titoli governativi saranno “sacrificati” per aiutare quelli dei paesi “recipienti”. E ovviamente nella fascia dei bisognosi si trovano inizialmente Italia, Spagna, Portogallo e Grecia.
Che sia come sia, l’efficacia o meno di questo meccanismo lo vedremo, ma resta il fatto che l’unica certezza al momento è che i nostri Btp, ufficialmente, saranno considerati titoli di Stato bisognosi di assistenza.
Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve mostra un ulteriore rialzo dei rendimenti su tutto il tratto della curva. Infatti, rispetto alla scorsa analisi il rendimento della scadenza a 10 anni cresce un po’ portandosi ora in area 2,08% rispetto al 2,02% precedente, mentre la scadenza trentennale si porta ora in area 1,91% rispetto all’1,79% precedente. Stabilità per la conformazione della curva, che sulla parte a breve conferma l’accelerazione praticamente verticale, così come si conferma l’accentuata inclinazione negativa osservata nelle analisi precedenti per le scadenze dal 2037 in poi. La curva evidenzia ora un massimo di rendimento sulle scadenze 2037-2038, in netto aumento rispetto alla scorsa analisi, passando attualmente in area 3,20% dal precedente 2,17% di rendimento. Sempre stabili le previsioni dei tassi forward su Euribor 6 mesi, sia sul tratto a breve sia su quello a lunga. La curva rimane impennata sulla parte a breve e fornisce sempre previsione di tassi positivi già per la seconda parte del 2022. Ancora in salita il tratto a lunga ora stabile poco sotto area 3,00% sino alle scadenze 2034.
Analisi Integrata Trendycator
Osservando – a livello di analisi integrata – le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali, si nota una netta prosecuzione della salita dei rendimenti. L’area UK si porta ora sopra area 2,30% di rendimento per il GILT con Trendycator stabile in stato LONG. Anche il BUND prosegue ad allargare e ha ora un rendimento in area 1,367% con Trendycator sempre in stato LONG. Deciso rialzo anche per i rendimenti del nostro Btp decennale, ora in area 3,40% dopo una fiammata oltre il 4%, con Trendycator sempre LONG. Infine, l’area USA con i rendimenti del Treasury decennale che mostrano una certa stabilità, restando di fatto nei pressi di area 3,00% con Trendycator sempre LONG.
Bond Governativi Mondo Weekly Ranking
Consueta sezione dell’analisi sui mercati obbligazionari, con l’introduzione sotto forma di ranking (Fig.4) dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.
Analisi in evidenza
Proseguiamo la nostra consueta analisi del cambio EUR/USD, importante valuta di riferimento per gli investimenti sul reddito fisso, vista la grande varietà di bond denominati in questa valuta.
Ovviamente, la situazione inflazione/tassi non sta facendo bene al cambio EUR/USD, che si sta riportando non a caso ai livelli prossimi ai record minimi degli ultimi venti anni. Così, dopo alcune settimane nelle quali si era intravista un po’ di forza sull’euro, nelle ultime sedute le cose sono cambiate. Molto probabilmente hanno influito le dichiarazioni del governatore della FED, Jerome Powell, che ha fatto presente al Congresso che la sua battaglia in questa fase sarà contro l’inflazione e che intende vincerla.
Ma al di là delle dichiarazioni, bisogna riconoscere che sta avvenendo un cambio strutturale, dovuto al differenziale sui tassi tra USA e UE. Una divergenza monetaria che molto probabilmente tenderà ad ampliarsi nei prossimi mesi, deprimendo il cambio EUR/USD. E così siamo tornati a contatto con il fatidico livello di area 1,03. Livello che, è molto bene tenere a mente, è un supporto storico che resiste da molti anni.
Il quadro macro, al momento, si è nuovamente modificato e in prospettiva sta venendo a mancare un seppur minimo equilibrio in merito al differenziale atteso dei tassi tra USA e UE. Per cui, da un lato le premesse non sono certo per un ritorno di forza da parte dell’euro, anzi la valuta USA sotto questo profilo è decisamente favorita.
Tuttavia, la fase è molto delicata, sotto molteplici punti di vista, per cui è preferibile non saltare a conclusioni affrettate e tantomeno prendere posizioni nette nei confronti dell’una o dell’altra valuta. Tecnicamente rimangono validi i livelli di prezzo già individuati nelle scorse analisi, oltre alla raccomandazione di tenere in debita considerazione gli sviluppi dei dati macro.