INFLAZONE = BUCO NERO ? TUTTE LE BANCHE CENTRALI MONDIALI STANNO ATTUANDO UNA POLITICA MONETARIA ULTRA RESTRITTIVA (AD ECCEZIONE DEL GIAPPONE) A TOTALE DETRIMENTO DELL’AZIONARIO !
Settimana, quella appena trascorsa, molto complicata sui listini azionari USA e mondiali che hanno registrato nuovi minimi di periodo. Il motivo dominante è, ovviamente, il tightening (o stretta) delle banche centrali sulla politica monetaria. Sotto quest'aspetto in settimana il caso è stato emblematico. Su un mercato che stava digerendo il primo aumento dei tassi da 75 bps da parte della FED da 28 anni a questa parte, hanno impattato il rialzo a sorpresa della Swiss National Bank, da 50 bps, e quello da 25 bps della Bank of England, atteso, ma con 3 membri su 9 che desideravano fosse di 50 bps. Il tutto, con un ciclo economico che ha già passato il momento migliore e l'inflazione elevata a deprimere il mood dei consumatori. Aggiungiamoci che i dati macro stanno iniziando a dare segnali di rallentamento, con il prezzo del Petrolio e del Gas che perdono rispettivamente il – 9% ed il – 20% nella scorsa settimana, ed ecco spiegata l'enorme ansietà degli investitori dell'ultimo periodo. Come riportato diverse volte su queste colonne, il timore è che le banche centrali, FED in testa stiano commettendo un altro, enorme, errore di policy. In quanto il primo errore, clamoroso, lo hanno fatto l'anno scorso, parlando per 6 mesi da marzo a settembre, di una fase di inflazione temporanea dovuta al post Covid e ai cosiddetti colli di bottiglia. In realtà, sicuramente questi fattori hanno avuto un ruolo rilevante, come lo ha avuto la guerra nel prolungarne gli effetti. Ma la vera causa di quest'ondata di inflazione è stata, a nostro modo di vedere, un’esplosione dello stimolo fiscale causata dal Covid, costituito da larghi importi di "helicopter money" o aiuti monetari a pioggia (assegni, sussidi), che sono perdurati anche quando l'economia già accelerava forte (l'ultima erogazione negli USA è avvenuta a marzo 2021). A fronte di ciò, la FED ha tenuto i Fed Fund a zero e QE al ritmo di 120 mld $/mese fino a novembre, quando già in estate 2021 l'inflazione era sopra il 5% e quella “core” sopra il 4% il doppio del target dato dalla FED (vedi grafico):
E questo nonostante gli indicatori di attività stazionassero a livelli record, sopra 60. L'ISM services ha fatto il record storico a 68.40 a novembre 2021.
Il secondo errore, che potrà diventare altrettanto clamoroso, è quello attuale che a fronte di un CPI sempre più rampante, la FED e le altre banche centrali hanno capitolato e hanno annunciato la lotta senza quartiere all'inflazione, fino a giungere alle mosse eclatanti degli ultimi giorni, con Powell che annuncia 50 bps e poi ne fa 75 e dichiara che rallenterà solo quando l'inflazione darà segnali convincenti di essere incanalata verso la discesa. Il problema di questo approccio è che l'inflazione è un indicatore economico che reagisce in ritardo rispetto al ciclo. Quando il CPI sarà "incanalato in maniera convincente verso il basso" sarà tardi per modificare una situazione che è davvero troppo aggressiva.
Per fare un esempio, prendiamo la categoria degli alloggi. Il crollo dei tassi ha fatto esplodere il mercato immobiliare, i prezzi delle case sono volati andando a gonfiare i CPI fino al record di maggio 2022, ma l'indice di Zillow (v. grafico sotto) ha cominciato a ripiegare e sembra indicare che, di qui all'autunno, il contributo di questa componente nel CPI dovrebbe iniziare a decrescere, anche perchè i numeri dell'immobiliare stanno implodendo, con il tasso sui mutui che sta per arrivare al 6% e con un’enorme offerta di vendita di case che sta arrivando sul mercato, a premere ulteriormente sui prezzi.
Concludendo, la FED sta alzando aggressivamente i tassi (e riducendo il bilancio) a fronte di un’economia che è già in fase di raffreddamento per il calo dell'impulso fiscale, aggravato dall'impatto dell'inflazione sui consumi. Quindi, avrà successo nel far calare l'inflazione, ma a discapito di un’economia che rallenterà parecchio, se non si ferma in tempo. E fermarsi quando l'inflazione ha già cominciato a scendere in maniera convincente, è troppo tardi, visto che la politica monetaria ha un effetto ritardato sul ciclo e uno ancora più ritardato sull'inflazione. Non a caso, se uno guarda quelli che sono considerati i principali indicatori delle aspettative di inflazione, ovvero i 5 anni “forward”, notiamo che quello USA ha fatto il picco nel 2021 e lo ha ritestato ad aprile, ma ora staziona sul 2.3%, mentre quello EU non dista troppo dal 2%, target ECB (v. grafico):
Sugli indici azionari questo violento “repricing” ha prodotto una continuazione della violenta liquidazione partita la scorsa settimana. La serie di 5 sedute negative patite dall'S&P500, cui ha fatto seguito una sesta che ha fatto registrare un nuovo minimo relativo di periodo, ha prodotto diversi record tra i quali, 3 giorni di 90% di volumi al ribasso, un calo nei prezzi superiore al 10% con “bear market” confermato dell'indice (oltre il -20% dai massimi) portandosi sui livelli di dicembre 2020 (oltre 18 mesi fa) sui timori di un rallentamento economico confermato anche dai dati macro. Tra i settori peggiori energy, insieme a Consumer Discretionary e IT, a dimostrazione che la liquidazione ha investito i settori in crisi come quelli che di recente erano supportati.
Sentimentrader.com ha fatto numerosi backtest sulle caratteristiche di negatività di questa price action (abbondanza di giornate oltre il 90% al ribasso, incapacità di tenere i rimbalzi, livelli di ipervenduto) e ha rilevato che sono tipici di un bear market. In altre parole, l’azione sui prezzi è tipica di mercati ribassisti, connessi con recessioni. Ad esempio nello schema sono rappresentate tutte le istanze di doppi gap down oltre 2% sui minimi da un anno. E si trovano solo nel 2001, nel 2008 e nel 2020. La conclusione dell'analisi è che: 1) ci troviamo in un bear market, anche se l’azione sui prezzi mostra un livello di “panic selling” visto raramente negli ultimi 40/60 anni, notiamo che a livello di “sentiment” il ribasso risulta essere composto con l’indice VIX che è molto lontano dai picchi che sono stati registrati nei tre maggiori “bear market” precedenti. 2) Anche se siamo in un mercato ribassista, vendere su questi livelli di stress non è risultata una strategia vincente, se non nel 2008, ovvero quando ad un'enorme recessione si è associata una crisi sistemica (v. grafico):
Anche il dollaro, che di recente si è sempre avvantaggiato delle fasi di risk aversion, mercoledì scorso, dopo la riunione del FOMC, ha cominciato a perdere terreno accumulando cali vicini al punto percentuale sui vari cross. Tra le possibili cause possiamo inserire: 1) la percezione che le altre banche centrali stanno diventando aggressive quanto la FED: vedi la BCE con i tassi reali Euro a 10 anni sono passati in positivo e la sorpresa della Suisse National Bank, la quale a fronte di un consenso che vedeva tassi invariati (solo 1 dei 12 previsori vedeva un rialzo di 25 bps) ha alzato i tassi di 50 bps, aggiungendo di essere pronta a intervenire sul mercato dei cambi per stabilizzare la divisa e limitare l'impatto delle sue oscillazioni sui prezzi; 2) la crescente percezione che la FED sta mandando in recessione gli USA; 3) terzo e forse motivo principale per generare l'inversione: la risk aversion è giunta ad un punto tale che essere lunghi (cioè acquistare posizioni) di Dollari è sicuramente una pratica molto diffusa tra gli investitori.
E veniamo al FOMC (anche se ne parleremo diffusamente nel relativo capitolo): i Fed Funds sono stati alzati, come da attese dell'ultim'ora, di 75 bps. Considerando la esplicita previsione che avevano dato Powell e gli altri membri (50 ora + 50 bps a luglio) c'è da chiedersi che cosa faremo in futuro delle loro indicazioni prospettiche. Ma forse non c'era poi tutta questa credibilità da preservare e in ogni caso il mercato, pure in maniera poco ortodossa, era stato preparato. Per il resto, vi è stato un dissenziente (Ester George) che avrebbe preferito 50 bps, mentre nello statement si è chiarito che il Comitato vuole continuare nel percorso di rialzi e nella riduzione del bilancio, ma resta pronto a modificare la stretta se emergono elementi nuovi.
Per il resto, le proiezioni sono un po' più conservative del mercato, con il percorso del GDP abbassato sensibilmente (sotto il 2% per l'anno in corso e i prossimi), una disoccupazione che viene vista in aumento anche quest'anno, e delle proiezioni di inflazione che sono assai benigne per 2023 e 2024, a indicare che si aspettano di avere successo.
Per quanto riguarda gli investimenti di carattere monetario, L’inizio della settimana scorsa in attesa del FOMC ha portato un brusco rialzo dei rendimenti su scala globale. Il Treasury USA 10Y ha toccato il nuovo tetto del 3,495% con, ancora una volta, l’essere stati i tassi reali a guidare il movimento, risaliti allo 0.80%. Ma dopo la decisione della FED, il mercato USA ha reagito con un calo dei rendimenti a doppia cifra, sia sulle brevi scadenze (2Y) che quelle a lunga (10Y). Il motivo del movimento è da ritrovare nelle parole di Powell che ha ridotto le aspettative del mercato sulla dimensione degli aumenti futuri ma anche dalle nuove proiezioni di crescita dell’economia, riviste decisamente al ribasso con disoccupazione in aumento.
Ovviamente questa situazione si riflette pienamente nella Fed Fund strip con il 10Y che sconta un tasso di arrivo per fine anno al 3.50%, il picco al 3,85% tra 12 mesi ed un calo di 50 bps nei 12 mesi successivi.
Anche il rendimento del Treasury a 10 anni legato all’inflazione, dopo la decisone della FED, scende passando dal 2.70% al 2,58% della chiusura settimanale.
Passiamo l’analisi grafica del nostro indice di riferimento delle nostre operazioni, il NASDAQ100. Il listino tech è partito, ad inizio della scorsa settimana, ancora una volta in gap down frantumando il supporto in area 11500 e dopo un tentativo di recupero sopra tale area quando Powell a margine della riunione del FOMC ha chiarito che i +75 bps difficilmente si vedranno molte altre volte, l’indice giovedì scorso è partito ancora una volta in gap down, ed ha accumulato un pesante passivo, giungendo a raddoppiare al ribasso il rimbalzo del giorno precedente andando a testare l’area 11000. Oramai i gap da richiudere, dal massimo di fine marzo, sono ben 4 a dimostrazione di quanto sia impulsiva l’onda 3. Nonostante tutto i prezzi si trovano ancora all’interno del canale discendente di volatilità e l’RSI a 36 non trova il modo di andare in zona di ipervenduto. Pertanto lo scenario futuro più probabile impone la prosecuzione di onda 3 al ribasso con rottura dei minimi di settembre 2021 e come obiettivo l’area di supporto dei 10100/10000 prima di un rimbalzo che ci si augura corposo vista l’entità delle perdite che arriverebbero a sfiorare il - 40% dai massimi storici di novembre 2021. Viceversa nel caso di rimbalzo immediato i prezzi dovrebbero ritornare in area 12600 a ridosso della M.M. a 50 periodi con la conseguente chiusura di due gap cosa auspicabile, ma che al momento vediamo di difficile attuazione. La settimana si è chiusa a 11265.99 con una perdita del – 4,79% che porta ad un deficit da inizio anno del – 30,97%.
Ovviamente il discorso fatto per il Nasdaq100 vale anche per l'indice S&P500 che, questa volta, ha sottoperformato più dell’indice tech. Sia nella giornata di lunedì che in quella di giovedì l’indice è arrivato a perdere fino al – 4% in intraday a testare rispettivamente il supporto in area 3750, poi (giovedì) quello in area 3660 con minimo intraday a 3636 (livelli di dicembre 2021) per poi recuperare qualcosa in chiusura. Nonostante tutto questo sell-off, l’indice RSI non è riuscito a scendere in zona di ipervenduto e altrettanto stranamente l’indice VIX (che misura la volatilità implicita di questo listino) non è riuscito ad arrivare ai massimi relativi di inizio maggio a 36,52 né, tantomeno, a quelli di fine gennaio 2022 a 39 circa. Eppure, come potete notare dal grafico, i prezzi sono usciti dal canale di volatilità. Mistero. Chiaramente questa situazione favorisce il proseguimento della discesa dell’indice sui supporti successivi in area 3580 ma soprattutto in area 3500 (estensione del 1,618% di onda 1). Possibili rimbalzi a recuperare i massimi di settimana scorsa in area 3838 ma servirebbe ben altro per andare a chiudere gli ultimi due gap aperti cosa, al momento, molto improbabile. Le contrattazioni della scorsa settimana si sono chiuse a 3674.84 con una perdita del – 5,79% che porta a segnare un – 22,90% da inizio anno.
Infine l’indice DOW JONES che pur presentando a livello di perdite un quadro d’insieme migliore rispetto agli altri due indici maggiori, notiamo la fuoriuscita dal canale di volatilità in abbinamento all’indice RSI a ridosso della zona di ipervenduto con le ultime due chiusure intorno ai 30. Certo la rottura con chiusura settimanale dell’area psicologica dei 30000 punti farebbe propendere per una prosecuzione immediata del ribasso con obiettivi l’area 29000 prima, quindi l’area 28500, ma crediamo che prima possa svilupparsi un rimbalzo tecnico in area 30800/31000. Le contrattazioni della scorsa settimana si sono chiuse a 29888.78 con una perdita del – 4,79% che porta a segnare un – 17,75% da inizio anno.
ORO INDEX
Altra settimana di passione sulla commodity con i prezzi che sono scesi di oltre il – 3,5% in quella che è stata una settimana volatile e la sua peggiore da metà maggio, per poi recuperare in chiusura di settimana la metà delle perdite, ma sotto l’area di supporto/resistenza dei 1850 $/oz. Le cause sono sempre le stesse, con il rafforzamento del Dollaro e il rialzo dei rendimenti dei titoli del Tesoro che penalizzano l’investimento infruttifero dell’Oro, mentre sarebbe da considerare la continua discesa dei titoli azionari azioni mondiali e la serie di aumenti dei tassi da parte delle banche centrali globali con i timori che un inasprimento delle politiche aggressive potrebbero trascinare le economie in recessione. Detto ciò, graficamente notiamo la formazione di un’ulteriore candela outside rispetto alle precedenti che ad inizio settimana aveva creato un’accelerazione ribassista, poi parzialmente rientrata dopo le decisioni del FOMC in materia di tassi. Il quadro generale non è bello ma quantomeno il supporto della soglia psicologica dei 1800 $/oz. ha retto. Pertanto operativamente meglio stare fermi in quanto le indicazioni per possibili acquisti, al momento, non se ne vedono.
Passando agli altri due metalli preziosi che seguiamo nel nostro Portafoglio, il Platino ha continuato la sua correzione iniziata due settimane fa dopo che i prezzi erano riusciti a rompere al rialzo la barriera psicologica dei 1000 $/oz. Una serie di 6 sedute al ribasso consecutive hanno portato i prezzi in area 920 ad un passo dall’ennesimo re-test del triplo supporto in area 900/890 $/oz. La teoria di Gann dice che al quarto tentativo il supporto cede di brutto. Staremo a vedere. Stesso discorso per quanto riguarda l’Argento con i prezzi che, dopo aver toccato i 22,50 $/oz., iniziano una discesa che li ha portati a registrare un minimo a 20,85 ad un passo dal re-test del supporto in area 20,42 $/oz. per poi rimbalzare leggermente andando a chiudere la settimana in area 21,50 $/oz.
La settimana dell’Oro è si è chiusa a 1840,60 $/oz., con una perdita del - 1,86% che porta ad un guadagno del + 0,66% da inizio anno. La settimana della commodity in modalità spot si è chiusa a 1838.5 $/oz. con una perdita del - 1,73%. Di seguito il grafico weekly dell’ORO FUTURES AGOSTO 2022:
LA GUERRA – RUSSIA – UCRAINA - (EUROPA)
Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Mario Draghi giovedì scorso si sono recati in visita in Ucraina. Nel corso della visita i tre leader di Francia, Germania ed Italia hanno manifestato il loro sostegno alla concessione all’Ucraina dello status di candidato ad entrare nell’Unione Europea. Scholz ha affermato: “L’Ucraina appartiene alla famiglia europea”.
Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky dopo i colloqui con le controparti europee, ha parlato del rifornimento delle armi: “Apprezziamo il supporto già fornito dai partner, aspettiamo nuove forniture, principalmente armi pesanti, artiglieria a razzo moderna, sistemi di difesa anti-missile”. “C’è una correlazione diretta: più armi potenti abbiamo, più velocemente possiamo liberare la nostra gente, la nostra terra”.
Intanto calano le forniture di gas russo verso il continente europeo. Il premier Draghi durante la visita in Ucraina ha spiegato che la versione di Mosca sul taglio delle forniture di gas legato a motivi tecnici e alle sanzioni, secondo Roma e Berlino, sono bugie: “Da Mosca c’è un uso politico del gas e del grano”, ha detto il primo ministro italiano. Alla base del minore rifornimento di gas all’Europa da parte di Nordstream 1, secondo la Russia, c’è la lenta restituzione dell’attrezzatura prodotta dall’azienda tedesca Siemens Energy che era stata inviata in Canada per manutenzione. ”Gazprom ha comunicato per la giornata di oggi la consegna di volumi di gas nuovamente in linea con quanto consegnato negli ultimi giorni. Eni si riserva di comunicare eventuali aggiornamenti nel caso in cui vi fossero variazioni significative nelle quantità in consegna comunicate da Gazprom”, si leggeva ieri sul sito di ENI; giovedì l’erogazione di gas era stata del 65% e venerdì Gazprom aveva comunicato che avrebbe consegnato solo il 50% della richiesta. Secondo ANSA domani pomeriggio il Comitato tecnico di emergenza e monitoraggio del gas naturale parlerà del possibile passaggio da stato di “preallarme" a quello di “allarme” per il gas e, sempre secondo ANSA, a metà settimana dovrebbe esserci una riunione con il ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani e le società che forniscono gas.
Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, alla Bild am Sonntag ha parlato della guerra sostenendo che potrebbe durare anni ed affermando che non si deve arrestare il sostegno all’Ucraina: “Anche se i costi sono alti, non solo per il sostegno militare, anche a causa dell’aumento dei prezzi dell’energia e del cibo”. Martedì scorso intervenendo dopo colloqui in Olanda con il primo ministro olandese Mark Rutte e i leader di Danimarca, Polonia, Lettonia, Romania, Portogallo e Belgio, lo stesso Stoltenberg ha annunciato che al meeting di Madrid, previsto per il 29-30 giugno, la NATO concorderà “un importante rafforzamento della nostra posizione”. “Questa sera abbiamo discusso della necessità di una presenza avanzata più solida e pronta al combattimento, e di una prontezza ancora maggiore e di un maggior numero di attrezzature e rifornimenti preposizionati”. Sulla questione dell’adesione all’alleanza di Svezia e Finlandia, Stoltenberg rispondendo ad una domanda ha detto che sta cercando “una via comune da seguire” per risolvere l’opposizione della Turchia.
LA POLITICA USA
La recessione non è inevitabile. A sostenerlo è il Presidente americano Joe Biden in un’intervista ad Associated Press di giovedì scorso rivolgendosi ad avvertimenti di economisti secondo i quali la lotta all’inflazione potrebbe innescare una fase di recessione per gli USA: “Prima di tutto, non è inevitabile – ha detto Biden -. Seconda cosa, siamo in una posizione più forte di qualsiasi altra nazione nel mondo per superare questa inflazione”. Secondo alcuni repubblicani il pacchetto di aiuti pandemici da 1,9 trilioni di dollari dell’anno scorso avrebbe dato il via ad una spirale di aumenti dei prezzi, ma per il Presidente Biden non ci sono prove a sostegno di questa affermazione dato che anche altri paesi hanno fatto i conti con prezzi più alti alla riapertura delle economie: “Si potrebbe discutere se abbia avuto un impatto marginale, minore, sull’inflazione – ha detto Biden -. Non penso l’abbia avuto. E la maggior parte degli economisti non lo pensa. Ma l’idea che abbia causato l’inflazione è bizzarra”.
Intanto non riesce a decollare la legge volta a contrastare l’accesso facile alle armi, questione in merito alla quale domenica 12 giugno un gruppo bipartisan di senatori aveva annunciato un quadro di misure. Giovedì scorso il senatore repubblicano John Cornyn, dopo ore di negoziazioni alle quali hanno preso parte il senatore repubblicano Thom Tillis e i colleghi dem Chris Murphy e Kyrsten Sinema, ha detto: “Non so cosa abbiano in mente, ma io ho finito di parlare”. Più tardi però Tillis e Murphy hanno spiegato che i colloqui erano vicini a raggiungere un accordo, tanto che il dem ha detto che c’era la possibilità di arrivare al voto già la settimana successiva. Le dichiarazioni di ieri del senatore repubblicano Mike Lee a Fox News Sunday però fanno trasparire che c’è ancora distanza tra le parti: “Il problema che abbiamo qui è che non c’è un disegno di legge”. “Ho continuato a chiedere di vedere il testo ed è diventato evidente che non avevano un disegno di legge, e in effetti non hanno affatto un accordo”. Lee sostiene che il gruppo bipartisan di legislatori ha un accordo su una serie di “promesse molto ampie”, ma non sulle norme più controverse e potenzialmente impattanti.
Per quanto riguarda la politica estera, continua il sostegno statunitense all’Ucraina. Mercoledì scorso il Presidente Joe Biden ha annunciato lo stanziamento di un ulteriore miliardo di dollari in assistenza militare e ulteriori 255 milioni di dollari per l’assistenza umanitaria a Kiev. Giovedì Biden ha scritto in un tweet: “Questa mattina ho parlato con il presidente Zelensky per discutere della guerra brutale in corso della Russia contro l’Ucraina. Ho ribadito il nostro impegno a sostenere l’Ucraina ed ho condiviso che gli Stati Uniti stanno fornendo oltre 1,2 miliardi di dollari in ulteriore assistenza di sicurezza e umanitaria”. In una nota del segretario di stato degli USA Antony Blinken, viene specificato che il prelievo di armi ed equipaggiamento dai magazzini del Dipartimento di Stato è valutato fino a 350 milioni di dollari, mentre l’assistenza supplementare è di 650 milioni di dollari. Il lotto da 650 milioni di dollari include 18 obici da 155 mm, 36.000 munizioni da 155 mm, 18 veicoli tattici per trainare gli obici da 155 mm, munizioni per gli High Mobility Artillery Rocket Systems, quattro veicoli tattici per recuperare attrezzature e pezzi di ricambi, due sistemi di difesa costiera Harpoon, migliaia di radio sicure, dispositivi per la visione notturna e termica, oltre a fondi per l’addestramento e il supporto alla manutenzione.
POLITICA USA – CINA
Per contrastare l’inflazione elevata, l’amministrazione americana starebbe valutando alcune misure, una delle quali riguarda la CINA. Il segretario al Tesoro Janet Yellen, infatti, nel fine settimana ha detto ad un emittente televisiva che l’amministrazione Biden sta rivedendo la sua politica tariffaria nei confronti di Pechino: “Tutti riconosciamo che la CINA si cimenta in una serie di pratiche commerciali sleali che è importante affrontare, ma alcuni dazi che abbiamo ereditato non hanno uno scopo strategico e aumentano i costi ai consumatori”. Yellen non è entrata nel dettaglio e non ha detto quando potrà esserci una decisione in merito.
LA POLITICA DELLA FED
Un rialzo di 75 punti base tutto d’un fiato, come non si vedeva dal 1994. Con questa nuova mossa annunciata mercoledì scorso, il FOMC ha portato il livello del tasso di riferimento dei fondi ad un range di 1,5%-1,75%. Pur definendo l’incremento di 75 punti “insolitamente grande”, il presidente della FED, Jerome Powell, ha detto che per il meeting di luglio si aspetta un ulteriore rialzo di 50 o 75 punti. Powell ha dichiarato: “Vogliamo vedere progressi. L’inflazione non può scendere finché non si appiattisce”. “Se non vediamo progressi, questo potrebbe farci reagire. Tra poco vedremo un po’ di progressi”. Secondo il punto medio del target range delle aspettative dei singoli membri del FOMC, il tasso di riferimento della FED a fine anno sarà al 3,4%, ovvero un 1,5% in più rispetto alla stima di marzo. Vista al rialzo anche la stima per l’anno prossimo, il FOMC infatti ora prevede che il tasso raggiunga il 3,8% nel 2023. Al contrario, è stata rivista a ribasso la previsione sulla crescita del PIL passata dal 2,8% di marzo all’attuale 1,7%. Nella dichiarazione di mercoledì del FOMC viene riportato: “L’attività economica complessiva sembra essersi ripresa dopo essere scesa nel primo trimestre”. “Nei mesi recenti l’aumento dei posti di lavoro è stato robusto e il tasso di disoccupazione è rimasto basso. L’inflazione resta elevata, riflettendo squilibri della domanda e dell’offerta legati alla pandemia, prezzi dell’energia più alti e pressioni sui prezzi maggiori”. Le stime del FOMC vedono un calo dell’inflazione nel 2023 al 2,6% e al 2,7% per il dato “core”.
Venerdì scorso Jerome Powell ha rilasciato dichiarazioni in occasione di una conferenza promossa dalla banca centrale toccando il tema inflazione: “Il forte impegno della Federal Reserve nei confronti del nostro mandato di stabilità dei prezzi contribuisce alla diffusa fiducia nel dollaro come riserva di valore. A tal fine, io e i miei colleghi siamo fortemente concentrati nel riportare l’inflazione al nostro obiettivo del 2%”. Powell ha aggiunto: “Il raggiungimento del nostro doppio compito (stabilità dei prezzi e massima occupazione, ndr) dipende anche dal mantenimento della stabilità finanziaria”. Nel suo report annuale al Congresso sulla politica monetaria, l’impegno del FOMC per riportare in stabilità i prezzi viene definito “incondizionato”. Durante la Conference, Powell ha cercato di giustificare il cambio di previsione, sostenendo che i fatti sono cambiati a ridosso del meeting (leggi l'inflazione di maggio) e li hanno costretti a modificare il quadro previsionale, cosa che hanno fatto in quanto preferiscono che il mercato capisca bene cosa fare in anticipo. Non ha voluto assumere impegni al prossimo meeting, e quindi ha eluso le domande su specifici aumenti, ma ha dichiarato che la mossa da 75 bps non è un’azione "comune" lasciando intendere che per il prossimo meeting la questione non è aperta. Questo ha preso un po' in contropiede un mercato che aveva scontato pienamente quest'importo anche per Luglio.
In generale Powell è sembrato fiducioso nella capacità della politica monetaria di avere ragione dell'inflazione in tempi non troppo lunghi, in linea con le stime indicate sopra, ma ha chiarito che vuole vedere segnali convincenti di calo prima di iniziare a rilassare la stretta monetaria.
Raphael Bostic, presidente della FED di Atlanta, si è espresso a favore dell’ultima mossa della Fed con il rialzo dello 0,75% dei tassi d’interesse ed ha sottolineato la lentezza nella risoluzione dei problemi alla catena di approvvigionamento. Motivo per il quale secondo Bostic le politiche della banca centrale statunitense dovranno essere “più vigorose”. Bostic ha detto: “Stiamo attaccando l’inflazione e faremo tutto il possibile per riportarla ad un livello più normale, che per noi deve essere del 2%. Faremo tutto il necessario perché questo accada”.
Secondo James Bullard, presidente della FED di St. Louis, una “soft landing” (letteralmente “atterraggio morbido”) è possibile sia in Europa che negli USA.
Si è detto favorevole all’ultima scelta sui tassi anche il presidente della FED di Minneapolis, Neel Kashkari, che in un testo pubblicato venerdì scorso ha affermato che potrebbe sostenere un rialzo simile nel mese di luglio, aggiungendo però che la banca centrale dovrebbe essere “cauta”. Kashkari ha detto: “Una strategia prudente potrebbe essere, dopo il meeting di luglio, semplicemente continuare con i rialzi da 50 punti base fino a quando l’inflazione non sarà nel suo cammino verso il 2%”.
Sabato scorso poi Christopher Waller, membro del Board of Governors della FED, ha detto che è necessario portare velocemente i tassi verso un livello neutrale e un livello restrittivo per rallentare la domanda e controllare l’inflazione. Inoltre Waller ha sottolineato che i rialzi dei tassi da parte della FED hanno dei limiti e che un aumento di un punto percentuale in un solo colpo provocherebbe ai mercati un “infarto”.
Chi, invece, non ha condiviso l’ultimo rialzo dei tassi voluto dalla FED è la presidentessa della FED di Kansas City, Esther George, unico membro del FOMC a votare contro il rialzo di 75 punti base. Secondo lei questa mossa aggiungerebbe alla politica monetaria incertezza in concomitanza con l’inizio della riduzione del bilancio. Tuttavia George ha detto che condivide il forte impegno del FOMC nell’abbassare l’inflazione per portare a termine il compito di stabilità dei prezzi a lungo termine.
DATI MACROECONOMICI
L’indice dei prezzi alla produzione core (quindi escludendo il settore del cibo e dell’energia) a livello mensile a maggio è cresciuto dello 0,5% marcando un’accelerazione rispetto ad aprile, quando era stato registrato un +0,2% (rivisto da +0,4%), attestandosi però appena sotto al consensus del +0,6%.
A livello annualizzato, invece, la crescita di maggio è stata dell’8,3%, anche in questo caso inferiore al consensus, fissato al +8,6%. Ad aprile era stato registrato un rialzo dell’8,6% (rivisto da +8,8%). Il dato è rilasciato dall’U.S. Bureau of Labor Statistics.
Contrazione per le vendite al dettaglio, che a livello mensile a maggio registrano un -0,3% andando in direzione opposta rispetto al consensus che prevedeva un rialzo dello 0,2% dopo il +0,7% di aprile (rivisto da +0,9%).
Anche il dato sulle vendite al dettaglio Control Group a maggio delude il consensus fissato al +0,5%, uscendo a 0% non facendo registrare variazioni; ad aprile la crescita era stata dello 0,5% (rivista da 1%). I dati sono rilasciati dall’U.S. Census Bureau.
Leggero calo nel numero di richieste iniziali di sussidi di disoccupazione, che passano dalle 232 mila della settimana terminata il 4 giugno (dato rivisto da 229 mila) alle 229 mila della settimana terminata l’11 giugno; ampiamente sopra al consensus di 215 mila. Il dato è rilasciato dall’U.S. Department of Labor.
I permessi di costruzione a maggio hanno segnato una contrazione del 7%: ad aprile ne emessi erano stati 1,823 milioni (dato rivisto da 1,819 milioni), mentre a maggio ne sono stati emessi 1,695 milioni. Il consensus prevedeva un calo più contenuto, ad 1,785 milioni. Il dato è rilasciato dall’U.S. Census Bureau.
Contrazione ancora più significativa per il dato riferito al numero di case per le quali è iniziata la costruzione, che a maggio segna un -14,4%. Il dato è passato da un numero di case in costruzione ad aprile pari a 1,810 milioni (rivisto da 1,724 milioni) agli attuali 1,549 milioni, contro una previsione fissata a 1,701 milioni. E' evidente che, tra questo dato e quello dei permessi, il mercato immobiliare sta svoltando: le scorte iniziano a salire rapidamente, le vendite calano ed aumentano i venditori che tagliano il prezzo per concludere la compravendita. Il dato è rilasciato dall’U.S. Census Bureau.
Per la prima volta da maggio 2020, il Philadelphia Fed Manufacturing Survey è accompagnato dal segno ‘meno’. Precisamente, il dato di giugno è pari a -3,3 punti. Il consensus prevedeva un rialzo dal dato di 2,6 punti di maggio a 5,5 punti. Pesanti i new orders (a -34.5 da -12.4) e in contrazione anche le aspettative di business a 6 mesi (a -9.3 da-6.8). Il dato è rilasciato dalla Federal Reserve Bank di Philadelphia.
PORTAFOGLI AZIONARI
Continua la settimana di passione sugli indici azionari e conseguentemente sui titoli dei nostri Portafogli anche se, questa volta, siamo riusciti a portare a casa due bei tozzi di pane con il raggiungimento dei target sulle coperture al ribasso messe in atto in precedenza sul Portafoglio “The Challenge”. Considerando che noi non operiamo in modalità “short” sui titoli azionari, abbiamo dato copertura parziale dei Portafogli con degli ETF. Il primo ad averci dato soddisfazione è stato quello sul VIX INDEX, con il LYXOR_SP500_VIX_FUT_EN_ROL_ETF_2°_LOTTO venduto con un guadagno del + 26,59% cui ha fatto seguito l’ETF sull’S&P500 INDEX con il XTRACKERS_S&P500_INVERSE_ 3°_LOTTO venduto con un guadagno del + 25,00%. Non male di questi tempi. Per quanto riguarda gli altri titoli presenti nel suddetto Portafoglio, andremo sicuramente ad acquistare un altro lotto sui quei pochi titoli dove siamo maggiormente esposti, così come prevede la strategia, in attesa che i mercati ed i prezzi dei titoli scendano ancora un po'. Peccato, per il momento, non essere riusciti ad acquistare un secondo lotto dell’ETC Crude Oil Short ritenendo che il prezzo del Petrolio sia arrivato sui massimi di periodo.
Riguardo al Portafoglio Storico, tutto fermo al momento, con la strategia del Nasdaq Weekly che riconosce la fase ribassista del mercato e conseguentemente non genera segnali operativi. Mentre stiamo testando una strategia basata sui titoli ad alta volatilità ma comunque ben capitalizzati in ottica sempre di un investimento di breve periodo. A breve forniremo ulteriori delucidazioni su tale strategia con un articolo ad hoc.
Alla prossima.
FOCUS SU TITOLI
In CINA i motivi che riguardano la nuova spesa in infrastrutture in arrivo, hanno prodotto un forte rimbalzo del settore tech grazie all'accettazione, da parte della PBOC, della domanda di ALIBABA di istituire una holding, un passo che riaprirebbe alla possibilità di quotare il suo braccio finanziario, Ant group. Segnali di pace tra regulatores e tech che ci riguardano da vicino.
PUBBLICAZIONE DELLE TRIMESTRALI ECONOMICHE SUI TITOLI DEL NASDAQ100 NELLA SETTIMANA APPENA TRASCORSA.
ADOBE SYSTEMS – 0,80%. La società offre una linea di software e servizi utilizzati da professionisti creativi, professionisti del marketing, sviluppatori, imprese e consumatori, ha riportato utili nel secondo trimestre fiscale 2022 pari a 3,35 $/az. su ricavi per 4,39 mld $. La stima degli analisti per gli utili era pari a 3,31 $/az. su ricavi per 4,34 mld $. Il fatturato è aumentato del 14,4% su base annua. La società ha dichiarato di aspettarsi per il terzo trimestre fiscale 2022 utili per ca. 3,33 $/az. su ricavi pari a ca. 4,43 mld $ e l'attuale stima degli analisti per gli utili è pari a 3,40 $/az. su ricavi pari a 4,51 mld $. Infine ha dichiarato di aspettarsi per tutto l’anno 2022 utili per ca. 13,50 $/az. su ricavi pari a ca. 17,65 mld $ e l'attuale stima degli analisti per gli utili è pari a 13,66 $/az. su ricavi pari a 17,85 mld $.
Shantanu Narayen, presidente e CEO di Adobe, ha affermato: "Adobe ha raggiunto un fatturato record nel secondo trimestre 2022 con una forte domanda in Creative Cloud, Document Cloud ed Experience Cloud. Stiamo crescendo nelle nostre attività consolidate e stiamo assistendo a un notevole aumento nelle nuove categorie, dalla creazione di contenuti per un'ampia base di clienti, alla funzionalità PDF sul Web, fino alla piattaforma di dati dei clienti in tempo reale, leader per le imprese globali. Abbiamo ottenuto un altro trimestre di ottimi risultati finanziari, con oltre 2 mld $ di flussi di cassa operativi a dimostrazione della forza dei flussi di entrate in crescita e della disciplina finanziaria di Adobe. Il nostro modello operativo continua ad alimentare una crescita costante, consentendo all'azienda di investire in soluzioni cloud leader di categoria e innovazioni emergenti che stanno guadagnando terreno sul mercato".