NASDAQ100 WEEKLY - Settimana penalizzante per indici azionari USA...


SETTIMANA INTENSA ED A DUE FACCE SUGLI INDICI AZIONARI USA  !

Nella prima parte della settimana, era atteso il principale dato sull’indicatore di inflazione statunitense (CPI) che, per la seconda volta di seguito, ha sorpreso clamorosamente al ribasso. Il dato headline è 0.2 sotto il consenso, e il dato anno su anno cala al 7.1%. Anche il dato core è sotto attese, e anno su anno si ferma al 6% netto.

Ma è nei dettagli che si legge la dinamica. Il settore energy ha tolto 0.13% al dato e il food ha aggiunto 0.07%. Sull’indice core, i prezzi dei beni hanno per la seconda volta mostrato un bel calo (-0.5) influenzati soprattutto dai prezzi delle auto usate e dai prezzi di quelle categorie di beni che sono stati particolarmente favoriti dalla pandemia (es. arredamenti e altri beni per la casa). I servizi hanno aggiunto uno 0.4% al numero, principalmente a causa del rimbalzo della categoria shelter (alloggi). I servizi ex shelter hanno dato un contributo nullo.

Il punto è questo. In assenza della componente alloggi, il dato core sarebbe stato negativo per il secondo mese di seguito. Ma la componente shelter nel CPI sta solo aumentando con dei rialzi dei costi legati all'immobiliare che sono già storia e, anzi, l'immobiliare è in crisi e prezzi e affitti stanno già abbondantemente scendendo. Questo calo filtrerà nei numeri nei prossimi mesi. Basare la politica monetaria su un’inflazione in rialzo influenzata da questo numero è errato.

Il quadro sull'immobiliare residenziale USA continua ad essere ben chiaro. I prezzi stanno scendendo rapidamente, e l'approdo massiccio sul mercato di case che si stanno ultimando, metterà ulteriore pressione. Le cancellazioni in forte crescita fanno sì che i numeri ufficiali sovrastino le vendite e sottostimino le scorte. Il seguente grafico del MBA Purchase application index (richieste di mutuo per acquisti casa è ai minimi del decennio più o meno, in calo del 38% rispetto all'anno scorso) ci permette di contestualizzare il movimento.

Con questi rialzi il soft landing atteso dalla FED, ammesso fosse possibile, se lo sono giocato. Il mercato ovviamente è corso a scontare la "sorpresa". I bonds hanno visto i rendimenti collassare, con una tendenza delle curve a disinvertirsi. Il Dollar Index ha ceduto vistosamente, facendo i nuovi minimi di periodo a 103,45 e l'azionario è partito in quarta, in una replica della price action di un mese fa. Anche le commodities hanno festeggiato, oro e preziosi in testa. Ma, come detto in precedenza, successivamente il mercato ha modificato un po' la reazione, con il NASDAQ100 alle prime battute in rialzo di quasi 4 punti che ha ridotto i progressi appena sopra l'1% ed anche l'S&P500 in rialzo di quasi 3 punti ha ridotto i progressi ben sotto l'1%. I movimenti post dato hanno mostrato maggior resilienza sui tassi USA, sui cambi e anche sulle commodities.

Mercoledì sera il report della FED ha confermato il rialzo di "soli" 50 bps, ma anche il terminal rate per il 2023 in rialzo al 5,1%. Nelle proiezioni si nota una decurtazione della crescita economica attesa l'anno prossimo (da 1,2% a 0,5%) e la disoccupazione è stata rivista al rialzo al 4,6% (ancora molto ottimistica secondo noi). Anche le aspettative di inflazione sono state alzate per l'anno prossimo, col PCE core che va al 3,5 da 3,1% e per il 2024 dal 2,3% previsto 3 mesi fa all'attuale 2,5%, quindi ancora sopra il target tra 24 mesi. I rischi sono ancora visti al rialzo.

In conferenza stampa, il Presidente Powell ha elaborato un po' i concetti (che approfondiremo nel relativo capitolo), sottolineando tra l'altro che il mercato del lavoro è ancora "sbilanciato verso la domanda" e osservando che le condizioni finanziarie fluttuano, ma loro desiderano che riflettano la posizione restrittiva che ritengono ancora necessaria. Ha concluso che il rientro dell'inflazione probabilmente richiederà un periodo considerevole di crescita sotto trend e raffreddamento del mercato del lavoro e che la storia mette in guardia contro il rilassarsi troppo presto. Loro continueranno fino a obiettivo raggiunto.

Il mercato, ovviamente, ha reagito negativamente a questo risultato più restrittivo delle attese. L'azionario USA ha cancellato i guadagni ed è passato in negativo. Il Dollaro ha recuperato un po' e i rendimenti sono saliti, mentre le commodities hanno perso un po' di smalto, preziosi in primis.

Gli operatori del mercato monetario prevedono altri due aumenti di 25 punti base il prossimo anno, portando il tasso terminale al 4,82% entro maggio. La banca centrale degli Stati Uniti, nella sua battaglia contro l'inflazione decennale, quest'anno ha alzato il tasso ufficiale di 375 punti base fino a un intervallo del 3,75%-4,00% da quasi zero, il ritmo più veloce di rialzi dei tassi dagli anni '80. I timori che aumenti aggressivi dei tassi d'interesse da parte delle principali banche centrali possano far precipitare l'economia globale in una recessione hanno colpito quest'anno gli asset rischiosi come le azioni.

Per questo motivo, a prescindere dai movimenti di breve dell'azionario USA e globale, troviamo sensata la tendenza del mercato che sta diventando così pessimista sul quadro macro, che non ritiene più che la FED potrà attuare quanto ha in programma in quanto, di solito, quando la FED cambia posizione, e la curva si disinverte, è lì che l'azionario inizia a sottoperformare seriamente.

Per una più completa informazione ed andando contro la nostra visione non pessimista dei mercati, è interessante notare che la previsione macroeconomica più antica esistente, la Survey of Professional Forecasters a cura della FED di Philadelphia, partita nel 1968, riporta la probabilità più elevata di una recessione negli USA della sua storia con quasi il 50% di probabilità. A prima vista potrebbe sembrare un indicatore contrarian, ma guardando ben il seguente grafico, si nota che il track record della previsione è abbastanza preciso nel segnalare, correttamente, i precedenti picchi alla vigilia o durante le contrazioni del 73-74, '79-'81, '90, 2001, e 2007-2009.

Ovviamente rimarchiamo il fatto che il passato non è certezza del futuro e che l’attuale conteggio è solo previsionale, ma la logica impone che se un numero sostanzioso di economisti (ed i loro relativi modelli) prevedono una recessione, è improbabile che sia blanda come ci vuol far credere la FED, soprattutto con un DOT PLOT di questa portata e con prospettive di un mantenimento nel tempo di tassi alti. Quindi se recessione sarà, si tratterà di un fenomeno significativo per non dire severo.

"I mercati stanno cercando ciò che hanno già scontato e questo è un aumento di 50 punti base, ma in futuro l'attenzione si concentrerà sul dot plot che potrebbe indicare il tasso terminale della FED", ha affermato Peter Cardillo, capo economista di mercato presso Spartan Capital Titoli LLC a New York. "Se è tra il 4% e il 5%, beh, è già scontato. Se è più alto, potrebbe essere una piccola sorpresa negativa".

A margine riportiamo le decisioni di varie Banche Centrali adottate nelle rispettive riunioni in materia di politica monetaria.

La Swiss National Bank ha alzato i tassi, come da attese, di 50 bps all’1%. La banca ha dichiarato che "non si può escludere che altri rialzi si rendano necessari e che alla bisogna agirà anche sul mercato dei cambi”. In generale un risultato in linea con le attese.

Poi è stato il turno della Norges Bank che a sua volta ha alzato di 25 bps al 2,75% come da attese, indicando che il quadro è particolarmente incerto, ma se l'economia segue il percorso previsto, il target per l'anno prossimo sarà attorno al 3% quindi un altro rialzo e basta.

Quindi è stata la volta della Bank of England. Anche qui attese rispettate con un rialzo da 50 bps al 3,5%. Ma 2 membri avrebbero preferito nessun rialzo mentre uno lo voleva di 75 bps. Quindi la convinzione di rialzare sta un po' scemando nel Comitato.

Infine l'European Central Bank ha comunicato come da attese 50 bps di rialzo del tasso depo a 2%, nuovo massimo dal 2008. Un primo shock per il mercato è stato che nel report si è indicato che i tassi devono salire ancora "significativamente ad un passo stabile" per permettere il ritorno dell'inflazione al target. Inoltre si è indicato che il piano per lo smobilizzo del bilancio (QT) inizierà a essere ridotto da marzo 2023, al ritmo di 15 mld €/mese per un trimestre, per poi rivalutarne il ritmo.

L'ECB ha poi rivisto significativamente al rialzo le stime di inflazione indicando un 6,3% alla fine del 2023 e un 3,4% nel 2024 per tornare al 2,3% nel 2025. Sul fronte crescita ha indicato che l'economia potrebbe contrarsi nei prossimi 2 trimestri. Una previsione sicuramente più ristretta delle attese che ha causato da subito una reazione negativa del mercato azionario che ha accentuato il calo, con i rendimenti dei bonds che hanno preso a salire aggressivamente e con l'€ che ha preso il volo bucando 1,07 contro il Dollaro per poi, come spesso accade, ripiegare di una figura.

Riguardo agli investimenti di carattere monetario ad inizio della scorsa settimana, i Treasury hanno visto un calo di circa 15 bps sulle scadenze tra i 2Y e 5Y mentre sul 10Y il movimento è stato un po’ più contenuto anche se il 10Y ha raggiunto la soglia critica del 3,5% per poi risalire dopo il report della FED. Ma già dal giorno successivo il mercato dei tassi non sembra dare molto credito alla visione della FED circa l’ipotesi del “higher for longer”. Il rialzo dei rendimenti è rientrato, e il 10 anni è tornato sotto il 3,5% a 3,488% con la curva che tende a riportarsi su spread più contenuti (69,5 bps) rispetto ai recenti massimi .

Il Dollaro ha restituito il rimbalzo e la Fed Fund Strip al momento continua a prezzare un picco al 4,835% e un ritorno al 4,40% dei Fed Funds a fine 2023 (2 tagli da 25 bps) 75 bps sotto la proiezione del FOMC. Come si può notare, il mercato è ancora parzialmente focalizzato sull’idea che il primo nemico di Wall Street è la stessa FED con la sua politica monetaria restrittiva. A questo punto, a nostro modesto parere, il testimone passerà al quadro macro.

Ecco il grafico comparativo settimanale delle varie scadenze tra la chiusura di lunedì scorso 12 dicembre e l’intraday di oggi 19 dicembre che non mostra particolari differenze:

Infine riportiamo lo spread del Treasury decennale USA rispetto all'omologo titolo dei principali paesi mondiali a venerdì 16 dicembre.

Analisi grafica dell’indice di riferimento delle nostre operazioni, il NASDAQ100. Quando si parla di rialzo dei tassi e di un dollaro in recupero, l’indice tech rimane sempre quello più penalizzato. Se poi ci aggiungiamo una spruzzata di futura recessione, il cocktail si completa da solo. Purtroppo il futuro per i titoli tecnologici si complica e non poco, in quanto i costi per gli investimenti lievitano, la domanda scende, il fatturato si contrae e gli utili ne fanno le spese. La sola componente licenziamenti (cosa comunque non ben vista) non basta, se non in minima parte, a compensare le riduzioni di cui sopra. Il grafico parla chiaro, con i prezzi che siano riusciti ad approcciare l’area di resistenza dei 12100 in apertura del cash di martedì scorso, dopo l’uscita dei dati sull’inflazione, per qualche minuto per poi essere ricacciati all’indietro pesantemente in giornata e nei giorni successivi, ringraziando sempre “prezzolino” Powell e la sua retorica. Sta di fatto che i prezzi in 4 giorni si sono bruciati tutto il rialzo effettuato dal 10 novembre scorso, ritornando in area 11200. Purtroppo il livello di RSI a 42 indica che c’è spazio ancora per un’ulteriore discesa, fermo restando che l’ipervenduto di brevissimo potrebbe favorire subito una reazione. In ogni caso, ora tocca sperare che il forte supporto in area 11000 faccia il suo dovere con conseguente chiusura del gap lasciato aperto appunto il 10 novembre scorso. In caso contrario troviamo prima un supporto in area 10700/10650, poi il minimo a 10440. La settimana si è chiusa a 11243.72 con una perdita del -2,76% che porta ad un deficit da inizio anno del – 31,11%.

Stesso discorso per l’indice S&P500 anche se la situazione grafica è senz’altro migliore rispetto all’indice tech. L’indice ha fallito il tentativo di breakout del trend ribassista non raggiungendo il massimo di onda 4 e riportandosi dentro il canale ribassista di volatilità. L’area 4100 ha nuovamente fermato la fase rialzista con i prezzi che si sono riportati sotto tutte e tre le Medie Mobili (200 e 50 periodi), avvicinandosi sul supporto in area 3810. L’RSI di breve (a 7 periodi) con un livello di RSI a 30 indica la possibilità di una reazione nell’immediato, ma quello di medio (14 periodi) a 42 indica che la fase ribassista potrebbe continuare per andare a vedere ulteriori minimi oltre quello segnalato, quindi in area 3715/3700. Rimbalzi possibili in area 3910, poi 3980. Le contrattazioni della scorsa settimana si sono chiuse a 3852.36 con una perdita del – 2,08% che porta a segnare un – 19,17% da inizio anno.

Infine riguardo all’indice DOW JONES, anche se ha sofferto le dinamiche settimanali come gli altri due indici maggiori, continua ad essere il meno penalizzato sia come performance negative settimanali sia graficamente visto che ha completato l’onda 1 rialzista o l’onda A di lateralizzazione, da stabilire in base al movimento dei prezzi nel prossimo futuro. Di sicuro notiamo come la fase correttiva abbia rotto il primo supporto in area 33000 (corrispondente al ritracciamento del 27,2% della gamba 5-A/1) con chiusura del gap aperto ad inizio novembre, e si sia fermata in area 32650 coincidente con la M.M. esponenziale a 200 periodi (linea gialla), per poi rimbalzare avvicinandosi nuovamente in area 33000. Pertanto per questa settimana troviamo un primo supporto sul minimo appena registrato e successivamente un supporto in area 32400 (38,2% di ritracciamento coincidente con la M.M. semplice a 200 periodi), oltre andiamo a finire in area 31700 minimo del 3 novembre e ritracciamento del 50% della gamba 5-A/1. Possibili rimbalzi in area 34000. Fermo restando un po' di ipervenduto di brevissimo che potrebbe favorire una reazione, con un livello di RSI a 43 ogni scenario rimane aperto con probabilità maggiori verso una continuazione della discesa. Le contrattazioni della scorsa settimana si sono chiuse a 32920.46 con una perdita del – 1,66% e che porta a segnare un – 9,41% da inizio anno.

ORO INDEX 

Negli ultimi anni, le banche centrali dei paesi in via di sviluppo sono diventate importanti acquirenti di oro, riportando le riserve auree totali ai livelli visti l'ultima volta negli anni '90, intorno alle 37.000 tonnellate. Poiché gli acquisti della banca centrale in genere avvengono dietro le quinte, difficilmente fanno notizia. Tuttavia, la notizia dei recenti acquisti ha creato scalpore nel mercato dell'Oro, non solo per il volume di quasi 400 tonnellate durante il terzo trimestre di quest'anno, circa 20 miliardi di dollari, il massimo in oltre mezzo secolo, ma anche perché la maggior parte di esso non poteva essere assegnata a una specifica banca centrale.

Gli unici acquisti identificabili provenivano da India (17 tons), Turchia (31 tons) e Uzbekistan (26 tons). Anche la Russia dovrebbe essere in quella lista, ma ha smesso di dichiarare riserve dall'inizio della guerra in Ucraina. Tuttavia, anche con l'inclusione della Russia, rimane un grande divario, che solleva la questione se esistano banche centrali che sappiano di più. La scorsa settimana, la banca centrale cinese ha rivelato di aver acquistato Oro per la prima volta dal 2019. Il paese asiatico ha dichiarato di aver recentemente aggiunto 32 tonnellate, o 1,8 miliardi di dollari, portando il totale a 1.980 tonnellate. Nonostante sia il sesto più grande detentore di Oro, senza contare il Fondo monetario internazionale (FMI), la CINA ha ancora molta strada da fare se vuole diversificarsi dal dollaro USA in modo significativo. Il metallo rappresenta solo il 3,2% delle sue riserve totali, secondo i dati del World Gold Council (WGC), soprattutto in confronto al 65,9% delle riserve negli Stati Uniti, il più grande detentore al mondo con oltre 8.133 tonnellate. In ogni caso è molto probabile che vedremo molti più acquisti dalla CINA nei prossimi mesi.

Graficamente notiamo come i prezzi, dopo l’uscita del dato sui CPI, abbiano tentato nuovamente il test della resistenza posta in area 1845 $/oz., ma il giorno successivo dopo il dato del FOMC sui tassi e soprattutto la retorica del Presidente Powell sul Dot Plot, il metallo giallo ha iniziato la sua discesa che ha portato i prezzi ad avvicinarsi verso l’importante area dei 1770 $/oz. che ora funge da supporto, per poi chiudere la settimana a 1800 $/oz. La rottura di uno dei due livelli sopra menzionati, proietterebbe i prezzi al rialzo verso traguardi più importanti come l’area dei 1880 $/oz. e più, viceversa dopo l’area di supporto a 1770, troviamo un ulteriore supporto in area 1700 $/oz.

Passando agli altri due metalli preziosi che seguiamo nel nostro Portafoglio, i prezzi del Platino sono in congestione dagli inizi di novembre tra le aree 1050 e 985 $/oz. con spike rispettivamente a 1074 e 970 $/oz. Graficamente da notare che si sta formando un bel triangolo, la cui rottura da entrambi i lati, potrebbe portare ad un’accelerazione dei prezzi. Discorso diverso dalle due commodities appena analizzate per le quotazioni dell’Argento, che dopo il dato dei CPI, i prezzi hanno messo a segno un nuovo massimo relativo a 24,39 $/oz. per poi ripiegare sui 23 $/oz. dopo il discorso di Powell, chiudendo la settimana a 23,33 $/oz. Dopo questo pullback che ha riportato il livello di RSI sotto l’area di ipercomprato, la proiezione dovrebbe portare i prezzi all’attacco del target finale in area 24,90/25,00 $/oz. prima di una correzione.

La settimana dell’Oro è si è chiusa a 1800.20 $/oz., in perdita del – 0,58% rispetto alla scorsa settimana e che porta ad una perdita del – 1,55% da inizio anno. La settimana della commodity in modalità spot si è chiusa a 1792.59 $/oz. in leggera perdita rispetto alla scorsa settimana del – 0,25%. Di seguito il grafico weekly dell’ORO FUTURES FEBBRAIO 2023:

LA GUERRA – RUSSIA – UCRAINA - (EUROPA)

Giovedì scorso i leader dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo per fornire all’Ucraina, nel prossimo anno, 18 miliardi di euro di finanziamenti e per adottare più sanzioni nei confronti della Russia. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz dopo i colloqui tra i 27 leader europei ha detto: “La nostra decisione congiunta a sostenere l’Ucraina politicamente, finanziariamente, militarmente e nell’area umanitaria per il tempo necessario resta intatta”. Il pacchetto di sanzioni per il quale è stata raggiunta un’intesa giovedì scorso è il nono da parte dell’Unione europea nei confronti di Mosca. Tra le altre cose, le sanzioni aggiungono ad una blacklist circa altre 200 persone e proibiscono investimenti nell’industria mineraria russa. Oggi, lunedì, i ministri dell’energia dei paesi membri si troveranno per provare a finalizzare un accordo sul tetto ai prezzi del gas

Sabato scorso il viceministro degli esteri russo, Sergey Grushko, commentando l’ultimo pacchetto di sanzioni dell’Unione europea ha detto: “Studieremo certamente questo nuovo pacchetto e se necessario prenderemo misure per proteggere i nostri interessi. Chiaramente, lavoreremo per ampliare la blacklist della Russia per includere tutti coloro che sono particolarmente noti per le loro visioni russofobiche”.

Venerdì scorso il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha detto che a breve arriverà la risposta russa al “price cap” sul petrolio dell’Occidente. Come riporta TASS, venerdì scorso il Presidente Vladimir Putin, ha spiegato che, come risposta, la Russia penserà alla possibilità di tagli alla produzione se necessario. Putin ha detto: “Non ci sono ancora decisioni. Misure specifiche saranno stabilite nel decreto presidenziale, che sarà emesso nei prossimi giorni”. In merito alla questione del “price cap” sul petrolio, il ministro delle finanze russo, Anton Siluanov, ha dichiarato: “Per ora, è troppo presto per parlare dell’impatto sul budget. Ora stiamo preparando misure di ritorsione reciproche su come le nostre aziende reagiranno all’introduzione del “price cap”.

LA POLITICA USA

Con l’approvazione di giovedì scorso al Senato del disegno di legge di finanziamento provvisorio è stato evitato un parziale shutdown del governo, che sarebbe scattato venerdì. Il passo successivo dovrebbe essere una misura da circa 1,7 trilioni di dollari che manterrà operative le agenzie federali fino alla chiusura dell’anno fiscale del 30 settembre 2023. Il leader della maggioranza al Senato, Chuck Schumer, prima del passaggio della misura temporanea ha detto: “Si tratta di fare un passo molto semplice, estremamente responsabile, per garantire la fine dell’anno senza intoppi e il minimo dramma”. Martedì scorso inoltre, i negoziatori al Congresso hanno annunciato di aver raggiunto un accordo sul pacchetto di finanziamento valido fino alla fine dell’anno fiscale, senza fornire dettagli; il senatore repubblicano Richard Shelby, ha detto: “Se tutto va bene, dovremmo essere in grado di concludere un pacchetto di stanziamenti omnibus entro il 23 dicembre”. Il pacchetto omnibus, che dovrebbe includere aiuti per l’Ucraina ed una riforma sulla modalità con la quale in Congresso certifica le elezioni presidenziali, dovrà ricevere il via libera del Congresso entro il 23 dicembre, in alternativa sarà necessaria l’approvazione (sempre entro il 23 dicembre) di un altro disegno di legge di finanziamento temporaneo. Il secondo caso rimanderebbe la discussione sulle priorità del budget all’anno nuovo e al Congresso rinnovato dalle ultime elezioni di metà mandato che vede la maggioranza repubblicana.

Martedì scorso, invece, è arrivata la firma del Presidente Joe Biden sul Respect for Marriage Act. La misura, che garantisce il riconoscimento federale per i matrimoni di persone dello stesso sesso, è avanzata in risposta alla preoccupazione che la Corte Suprema potesse annullare il suo supporto legale a questo tipo di relazioni. Biden ha dichiarato: “Il matrimonio è una proposta semplice. Chi ami? E sarai fedele a questa persona che ami? Non è più complicato di così. La legge riconosce che ognuno dovrebbe avere il diritto di rispondere a queste domande per sé stesso”.

Dopo il passaggio alla Camera, la scorsa settimana il Senato ha approvato il National Defense Authorization Act con 83 voti favorevoli. La legislazione autorizza una spesa annuale per la difesa di 858 miliardi di dollari, 45 miliardi di dollari in più rispetto a quelli proposti dal Presidente Biden, e prevede un aumento di stipendio del 4,6% per le truppe, fondi per l’acquisto di armi, navi ed aerei. Il disegno di legge, inoltre, fornisce almeno 800 milioni di dollari di assistenza per la sicurezza all’Ucraina, include una serie di provvedimenti per supportare Taiwan e autorizza più fondi per sviluppare armi ipersoniche. Tuttavia l’NDAA non ha la parola fine sulla spesa. I disegni di legge di autorizzazione creano programmi e il Congresso deve approvare disegni di legge sugli stanziamenti per dare al governo l’autorità legale per spendere soldi federali.

LA POLITICA USA – CINA

Venerdì scorso il Dipartimento di Stato americano ha inaugurato la China House, formalmente nota come Office of China Coordination. In una nota pubblicata sul sito del Dipartimento di Stato americano viene spiegato che la China House “garantirà che il governo degli Stati Uniti sia in grado di gestire responsabilmente la nostra concorrenza con la Repubblica Popolare Cinese ed avanzare la nostra visione per un sistema internazionale aperto ed inclusivo”. Il Dipartimento di Stato definisce la China House come una “componente chiave” dell’agenda di modernizzazione del Segretario: “Il Segretario e la leadership del Dipartimento sono impegnate nel garantire che abbiamo il talento, gli strumenti e le risorse per mettere in atto con successo la politica e la strategia statunitense verso la Repubblica Popolare Cinese come la sfida geopolitica più complessa e importante che affrontiamo”. La China House raccoglie un gruppo di esperti del Dragone provenienti dal Dipartimento ed oltre, per lavorare insieme a colleghi degli uffici regionali e con esperti in sicurezza internazionale, economia, tecnologia, diplomazia multilaterale e comunicazione strategica. Nella nota del Dipartimento di Stato si legge ancora: “Un maggiore coordinamento significa una politica più agile e coerente da parte del Dipartimento di Stato. Significa che siamo meglio posizionati per lavorare con i nostri alleati e partner e per impegnarci ancora più profondamente con tutti i paesi con cui il Dipartimento lavora”.

LA POLITICA DELLA FED

Quella appena terminata è stata la settimana del FOMC. L’organo della banca centrale statunitense mercoledì scorso, come atteso, ha annunciato un ulteriore rialzo dei tassi, portando il tasso d’interesse di riferimento al suo livello più elevato in 15 anni. Nell’ultimo incontro, dopo quattro rialzi consecutivi dello 0,75%, il FOMC ha optato per un aumento dei tassi di mezzo punto, facendoli entrare in un range compreso tra il 4,25% e il 4,50%. Dalla riunione di mercoledì scorso, tramite il grafico “dot plot” sono emerse anche indicazioni su quelle che sono le attese sul cammino del rialzo dei tassi: il “terminal rate”, punto nel quale i funzionari si aspettano di fermare gli aumenti, è stato posizionato al 5,1%. Inoltre, non si prevedono riduzioni fino al 2024. A seguire, il consensus è per una riduzione dei tassi dell’1% nel corso del 2024, per arrivare ad un livello riferimento del 4,1% entro fine anno. A settembre le indicazioni erano rispettivamente al 4.6% e 3.9%.

Uguale la portata del calo prevista per il 2025, fino ad un tasso del 3,1%, prima di stabilizzarsi ad un livello neutrale a lungo termine del 2,5%. Le prospettive per gli anni a venire, tuttavia, hanno mostrato una certa dispersione, segnale di incertezza rispetto a quello che avverrà. Sette dei diciannove membri del FOMC (votanti e non votanti) per il 2023 prevedono tassi oltre il 5,25%; anche per il 2024, sette membri prevedono tassi oltre la mediana del 4,1%.

Se il dot-plot non proietta tagli ai tassi nel corso del 2023, le aspettative del mercato invece sì. Il mercato infatti sta continuando a non credere a quanto dice la FED mettendo in discussione sia il livello del terminal rate ma anche l’assenza di tagli l’anno prossimo.

Per il FOMC gli aumenti del PIL nel 2023 saranno dello 0,5%, così come nell’anno in corso; a settembre, invece, le attese erano per una crescita dello 0,2% per quest’anno e dell’1,2% per il prossimo.

Il Presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, ha definito ancora “modesto” il tasso di crescita lento della crescita economica indicato dai funzionari della banca centrale: “Non penso che si qualificherebbe come una recessione…è crescita positiva”, tuttavia ha aggiunto che “non sembrerà un boom”. Powell, ribadendo la linea sull’obiettivo della FED di un livello di inflazione al 2%, ha detto: “la più grande quantità di dolore, il peggior dolore, deriverebbe da un fallimento nell’alzare abbastanza in alto i tassi e dal permettere all’inflazione di diventare radicata”. Per il numero uno della banca centrale statunitense, ora non è così fondamentale la velocità dei prossimi rialzi dei tassi, mentre risulta più importante trovare un punto finale “adeguatamente restrittivo” e capire quanto a lungo mantenersi lì. Powell ha detto: “La nostra attenzione ora è veramente sul muovere la nostra posizione politica verso una che sia abbastanza restrittiva da garantire un ritorno dell’inflazione al nostro obiettivo del 2% nel tempo, non sul taglio dei tassi”. Sui dati dell’inflazione dei mesi di ottobre e novembre, ha aggiunto: “I dati sull’inflazione ricevuti finora in ottobre e novembre mostrano una riduzione gradita del ritmo dei rialzi dei prezzi, ma ci preoccupa la resilienza dell'inflazione sui servizi e la forza del settore alloggi, che continuerà a salire nel breve. Non abbiamo nessuna intenzione di tagliare fino a che l'inflazione non darà chiari segnali di dirigersi verso il target, ma ci vorranno molte più prove per dare fiducia al fatto che l’inflazione sia su un costante cammino ribassista”.

Venerdì scorso, il presidente della Fed di New York, John Williams, ha detto che non si aspetta una recessione, sottolineando però che “dovremo fare ciò che è necessario” per riportare l’inflazione al target del 2%. Williams ha anche detto che il tasso di picco “potrebbe essere più alto di quello che abbiamo scritto".

Una volta raggiunto il picco, il tasso di riferimento resterà a quel livello per circa un anno. Questo quanto sostenuto dal presidente della FED di San Francisco, Mary Daly, che ha detto di essere pronta a mantenerlo a quel livello anche oltre, se necessario. Daly ha detto: “Penso che 11 mesi sia un punto di partenza, un punto di partenza ragionevole. Ma sono pronta a fare di più se più è richiesto”; prima di ridurli, la FED negli ultimi cicli di rialzi ha alzato e mantenuto i tassi per una media di 11 mesi. Il presidente della FED di San Francisco ha anche sostenuto che saranno i dati a determinare per quanto tempo l’Istituto manterrà i tassi in una posizione restrittiva.

Loretta Mester, presidente della FED di Cleveland, invece, si posiziona leggermente sopra la mediana del 5,1% indicata dalle proiezioni dei decisori politici per quanto riguarda il livello dei tassi di interesse. Inoltre, secondo Mester quando sarà terminato il cammino rialzista, la FED dovrà mantenere i tassi a quel livello per un bel po’ “in modo da portare l’inflazione su un cammino ribassista sostenibile”. I recenti dati sull’inflazione che riportano una moderazione nei rialzi dei prezzi, per Mester sono positivi, tuttavia ha sottolineato come gli stessi mostrino che il picco nelle pressioni sui prezzi non è ancora stato toccato.

DATI MACROECONOMICI

Per la seconda volta di seguito, il CPI USA ha sorpreso clamorosamente al ribasso. L’indice dei prezzi al consumo a livello annualizzato nel mese di novembre cresce del 7,1%, segnando un rallentamento rispetto al +7,7% di ottobre e realizzando una crescita inferiore al +7,3% indicato dal consensus. Il dato è rilasciato dall’U.S. Bureau of Labor Statistics.

Il dato core (che esclude il settore del cibo e dell’energia) dell’indice dei prezzi al consumo, invece, a livello mensile a novembre segna un +0,2%, contro un consensus del +0,3% ed un dato di ottobre del +0,3%.

A livello annualizzato, la crescita di novembre è del 6,0%, contro un consensus del +6,1% ed una rilevazione di ottobre del +6,3%. I dati sono rilasciati dall’U.S. Bureau of Labor Statistics.

Calo significativo nelle richieste iniziali di sussidi di disoccupazione che nella settimana terminata il 10 dicembre si attestano a quota 211 mila, contro un consensus di 230 mila ed una rilevazione della settimana precedente di 231 mila (rivisto da 230 mila). Il dato è rilasciato dall’U.S. Department of Labor.

Vendite al dettaglio in calo su tutta la linea, con revisioni al ribasso dei mesi precedenti. A livello mensile, a novembre le vendite al dettaglio segnano un -0,6%, andando in direzione opposta rispetto al +1,3% di ottobre e realizzando una contrazione più marcata rispetto al -0,1% indicato dal consensus. Il dettaglio mostra forza nelle categorie food, health e personal care e debolezza in forniture, materiali di costruzione, veicoli e parti di ricambio. Quindi un mix debole/recessivo. Il dato è rilasciato dall’U.S. Census Bureau.

Le vendite al dettaglio Control Group, a livello mensile, a novembre perdono uno 0,2%. Ad ottobre era stato realizzato un +0,5% (rivisto da +0,7%). Il dato è rilasciato dall’U.S. Department of Commerce.

Il Philadelphia Fed Manufacturing Index recupera meno delle attese, passando dal dato di -19,4 punti di novembre a quello di -13,8 punti di dicembre, contro un consensus che prevedeva una contrazione ancora meno significativa a -10,0 punti. Il dato è rilasciato dalla Federal Reserve di Filadelfia.

Sui PMI USA il ritmo di contrazione è decisamente aumentato sia su manifatturiero che, soprattutto, sui servizi, facendo segnare il minimo da 2 anni e mezzo. Anche gli analisti di S&P Global hanno osservato che i rialzi della FED stanno ottenendo l'effetto desiderato sull'inflazione, ma a costo di un crescente rischio recessione. Il dato preliminare di dicembre del PMI S&P Global del settore manifatturiero si attesta a quota 46,2 punti; rilevazione inferiore al dato di novembre, di 47,7 punti.

Contrazione anche per il dato preliminare relativo al settore dei servizi, che è pari a 44,4 punti, contro una rilevazione di novembre di 46,2 punti. I dati sono rilasciati da Markit Economics.

PORTAFOGLI AZIONARI

Con il calo degli indici azionari, nulla da segnalare nella settimana appena trascorsa sui nostri Portafogli azionari. Anche se non siamo pessimisti come i mercati vogliono far credere, è chiaro che incrementare ulteriormente la copertura del Portafoglio “The Challenge” può essere strategicamente giusto, pertanto rimaniamo in attesa di un rimbalzo per acquistare altri lotti degli ETF su indici in modalità short e l’ETF sul VIX. Nel caso il ribasso dovesse continuare andremo sicuramente ad acquistare altri lotti direttamente sui titoli nei quali le perdite sono consistenti, ad eccezione di qualche titolo sul quale le prospettive economiche sono cambiate e che venderemo cercando di farci il meno male possibile.

Alla prossima.

FOCUS SU TITOLI

CHARTER COMMUNICATIONS - Il principale fornitore statunitense di TV via cavo Charter Communications, prevede di spendere 5,5 miliardi di dollari sulla sua rete per introdurre connessioni a banda larga ad alta velocità. Il nuovo CEO della società, Chris Winfrey, a un evento per gli investitori, ha dichiarato che la revisione costerà probabilmente circa 100 $ per casa passata e terminerà entro la fine del 2024.

Le società Charter e Comcast Corp hanno sostituito i loro cavi coassiali con la tecnologia DOCSIS 4.0 che utilizza amplificatori per consentire ai sistemi via cavo esistenti di offrire velocità multigigabit. A novembre, Comcast ha condiviso i piani per spendere 200 $ per casa passata per aggiornare i suoi sistemi utilizzando amplificatori, rispetto ai circa 1.000 $ per casa per l'installazione di nuove linee di cavi in ​​​​fibra ottica.

Charter ha registrato una crescita dei ricavi del terzo trimestre FY22 del 3,1% su base annua a 13,55 mld $, mancando il consenso pari a 13,68 mld $, generando un flusso netto di cassa pari a 3,4 mld $ e detenendo 5,7 mld $ in contanti ed equivalenti.

La seconda più grande azienda statunitense di servizi via cavo ha svelato un budget triennale di spesa per la rete a partire da 10,7 mld $ l'anno prossimo, 1 mld $ in più rispetto alle stime degli analisti. Nel piano di spesa in conto capitale complessivo sono inclusi 5,5 mld $ in tre anni specifici per gli aggiornamenti della rete via cavo per fornire connessioni a banda larga più veloci ai clienti. L'aumento della spesa porterà a una "maggiore crescita generazionale", ha dichiarato il CEO Chris Winfrey.

Lo spostamento della spesa verso le infrastrutture interrompe le sontuose tendenze di riacquisto di azioni del settore e pone una scommessa maggiore sulla crescita dei ricavi che potrebbe essere lontana anni. Charter deve anche affrontare la concorrenza degli operatori di reti in fibra ottica e dei fornitori di banda larga domestica wireless.

Le società via cavo, telefoniche e satellitari si contendono parte dei 100 miliardi di dollari di fondi federali destinati ad espandere il servizio a banda larga nelle zone più povere e rurali del paese. Come hanno dimostrato i passati boom della costruzione di Internet, uno dei maggiori rischi per qualsiasi impresa sono gli alti costi coinvolti.

Le società via cavo, telefoniche e satellitari hanno comunque contestato i 100 mld $ in fondi federali per espandere il servizio a banda larga nelle parti più povere e rurali del paese.

Le azioni di Charter Communications hanno registrato il calo percentuale più elevato in oltre due anni dopo l'annuncio di un piano di espansione della banda larga su larga scala che costerà molto di più di quanto previsto dagli analisti.

TESLA - Il team di Elon Musk ha contattato gli investitori per raccogliere nuovi fondi per la sua piattaforma di social media in difficoltà, Twitter. Ross Gerber, presidente e CEO di Gerber Kawasaki Wealth & Investment Management, ha detto a Reuters di essere stato contattato da un rappresentante di Musk per acquistare più azioni di Twitter allo stesso prezzo di 54,20 $/az. che Musk ha pagato per delistare e rendere privata la società ad ottobre. Twitter ha visto gli inserzionisti fuggire tra le preoccupazioni per l'approccio di Musk al controllo dei tweet, il calo dei ricavi e la sua capacità di pagare gli interessi sul debito di 13 mld $ che Musk ha assunto per acquistare la società. All’inizio della settimana appena trascorsa, Musk ha venduto altri 3,6 mld $ di azioni di Tesla, facendo scendere il valore del titolo ai prezzi di del novembre di due anni fa, portando ad un valore di quasi 40 mld $ di azioni della società di veicoli elettrici vendute quest'anno. Il miliardario indonesiano KoGuan Leo, il terzo maggiore azionista individuale del produttore di veicoli elettrici Tesla, chiede al CEO Elon Musk di dimettersi. Leo accusa l'eccentrico miliardario di concentrarsi troppo su Twitter, abbandonando il lavoro su Tesla che merita di avere un CEO funzionante ed a tempo pieno. Leo ha chiesto al CdA di Tesla di cercare un sostituto, suggerendo di dare a Musk l’opportunità di trovare e nominare il proprio successore con la supervisione indipendente del Consiglio. Le critiche degli azionisti si stanno ora trasformando in una rivolta, inaudita nella comunità Tesla, dove Musk è stato venerato fino ad ora. Ross Gerber, uno degli azionisti più accesi di Tesla ha criticato aspramente Musk proprio su Twitter scrivendo: “Elon ha ora cancellato 600 mld $ di ricchezza di Tesla e il CdA non sta ancora facendo nulla. E’ del tutto inaccettabile”.

La conseguenza di tutto ciò è che gli analisti stanno iniziando a prendere posizione sul titolo con quello di Goldman Sachs che ha già tagliato l'obiettivo di prezzo per le azioni del produttore di veicoli elettrici, buttando altra benzina sul fuoco.

PUBBLICAZIONE DELLE TRIMESTRALI ECONOMICHE SUI TITOLI DEL NASDAQ100 USCITI NELLA SETTIMANA APPENA TRASCORSA.

ADOBE SYSTEMS + 2,39%. La società offre una linea di software e servizi utilizzati da professionisti creativi, professionisti del marketing, sviluppatori, imprese e consumatori, ha riportato utili nel quarto trimestre fiscale 2022 pari a 3,60 $/az. su ricavi per 4,53 mld $. La stima degli analisti per gli utili era pari a 3,50 $/az. su ricavi per 4,53 mld $. Il fatturato è aumentato del 10,1% su base annua. La società ha dichiarato di aspettarsi per il primo trimestre fiscale 2023 utili tra 3,65 e 3,70 $/az. su ricavi tra 4,60 e 4,64 mld $ e l'attuale stima degli analisti per gli utili è pari a 3,64 $/az. su ricavi pari a 4,64 mld $. Infine la società si aspetta per tutto l’anno fiscale 2023 utili tra 15,15 e 15,45 $/az. su ricavi tra 19,10 e 19,30 mld $ e l'attuale stima degli analisti per gli utili 2023 è pari a 15,25 $/az. su ricavi pari a 19,37 mld $.

Shantanu Narayen, Presidente e CEO della società, ha affermato: "Adobe ha registrato entrate e utili operativi record nell'anno fiscale 2022. La nostra opportunità di mercato, l'innovazione senza precedenti, il rigore operativo e il talento eccezionale ci posizionano bene per guidare il prossimo decennio in crescita. A livello contabile nel quarto trimestre fiscale, abbiamo raggiunto un fatturato che rappresenta il 10% di crescita anno su anno o il 14% in valuta costante. L'utile operativo è stato pari a 2,02 mld $ e l'utile netto è stato pari a 1,68 mld $. Il flusso di cassa operativo ha generato un record di 2,33 mld $ che a livello annuale ha portato ad una cifra record di ben 7,84 mld $. Le Remaining Performance Obligations ("RPO") in uscita dal trimestre ammontavano a 15,19 mld $. Infine abbiamo riacquistato circa 5,0 milioni di azioni durante il trimestre e circa 15,7 milioni di azioni in totale nel 2022”.

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SEGNALI DI ENTRATA E DI USCITA DEL MODELLO QUANTITATIVO LOMBARD PER IL TRADING SULLE AZIONI NASDAQ TIME FRAME SETTIMANALE. I SEGNALI VENGONO GENERATI UNA VOLTA A SETTIMANA E PUBBLICATI SUL SITO IL LUNEDI MATTINA E VALEVOLI PER TUTTA LE SETTIMANA. IL REPORT SI COMPONE DI SEGNALI DI ACQUISTO PER NUOVE POSIZIONI E DI AGGIORNAMENTO PER I TITOLI GIA' PRESENTI IN PORTAFOGLIO.
ASTENERSI PRIMA DI AVERE COMPRESO CON ESATTEZZA IL PROFILO DI RISCHIO E LE CARATTERISTICHE TECNICHE DEL SERVIZIO CON LA LETTURA DELLE SPIEGAZIONI POSTE NELLA DICITURA "Il Portafoglio LombardReport": (clicca qui >>>
CONSIGLIAMO DI SEGUIRE IN PAPER TRADING LE OPERAZIONI PER QUALCHE SETTIMANA PRIMA DI APPLICARLE.

ORDINI DI ACQUISTO NUOVE POSIZIONI DELLA SETTIMANA (19/12/2022)
Non sono presenti ordini di acquisto per la settimana entrante.

Pagina a cura di SANDRO MANCINI.

(articolo di Sandro Mancini)