Ci avviamo alla fine di questo 2022 e gli ultimi due appuntamenti, attesissimi dai mercati, sono ovviamente le riunioni Fed e Bce in programma, rispettivamente, per il 14 e 15 dicembre prossimi. Inutile dire che le decisioni in merito all’entità del prossimo rialzo dei tassi sia l’elemento polarizzante.
Le mosse delle due Banche Centrali saranno influenzate dalla situazione macro, che vede per gli USA un lieve rallentamento dell’inflazione. Infatti, ad ottobre il dato ha visto un +0,4% su base mensile, leggermente più basso delle attese che erano per un incremento del +0,6%. Su base annua l’inflazione USA si posiziona quindi al +7,7% rispetto al +8,2% del mese di settembre. Le cose vanno peggio, invece, in Europa, dove l’inflazione è ancora cresciuta ad ottobre, facendo registrare il 10,7% su base annua, cioè la lettura più elevata mai registrata nella storia della zona euro; a settembre eravamo al 9,9%.
È quindi evidente che Fed e Bce partono da due situazioni differenti e non ci sarebbe da stupirsi se prendessero due strade diverse alle prossime imminenti riunioni. D’altra parte, la Bce è in grave ritardo con l’aumento dei tassi, per cui è normale che gli effetti dell’inflazione non si siano ancora fatti sentire. Poi, è anche vero che il rallentamento del caro vita negli USA è poco più che omeopatico e quindi è chiaro che la strada dei tassi in salita non è ancora al capolinea.
Come si è letto sui verbali del FOMC relativi alla riunione precedente, "una consistente maggioranza di partecipanti ha ritenuto che un rallentamento al più presto nel ritmo dei rialzi sarebbe appropriato", specificando che "l’incertezza sul tempo necessario affinché gli effetti della politica monetaria si trasferiscano sull’attività economica e sull’inflazione e sulla loro intensità sono tra i motivi citati".
Tra le righe, i verbali evidenziano anche la possibilità di una crescita più lenta accompagnata da un'inflazione più elevata del previsto. Leggasi stagflazione. E non è per nulla curioso osservare che, nonostante i deboli segnali di rallentamento dell’inflazione, i banchieri affermino invece di vedere ancora pochi segni di riduzione dell'inflazione. I mercati, per ora, stanno scommettendo che la Fed alla prossima riunione del 14 dicembre aumenterà i tassi di “soli” 50 bps e si aspettano un target finale dei Fed Funds al livello del 5%.
Passando all’Europa, abbiamo visto come la situazione di partenza sia diversa. E infatti, in seno al board della Bce i “falchi” fanno la voce grossa e invocano un altro rialzo dei tassi corposo. E anche Lagarde in una recente audizione all’Europarlamento ha prospettato una stretta monetaria ancora lungi dall’essere alla fine, spiegando che il ritmo e il target finale “dipenderanno dalle prospettive dell’economia e dalle aspettative salariali e d’inflazione”.
Pare che il board Bce al momento resti diviso sul punto, ma come non è difficile intuire l’aria che tira è quella di una Banca Centrale disposta a tollerare anche una recessione moderata pur di battere l’inflazione. Esattamente come la Fed, che ha solo un po’ di vantaggio rispetto all’Europa ma persegue lo stesso obiettivo.
Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve mostra un’ulteriore contrazione dei rendimenti su tutto il tratto della curva rispetto alla scorsa analisi. Infatti, rispetto alla scorsa lettura il rendimento della scadenza a 10 anni si contrae portandosi ora in area 2,67% rispetto al 2,77% precedente, così come la scadenza trentennale che cala e si porta ora in area 1,99% rispetto al 2,14% precedente. Stabile la conformazione della curva, che ora è chiaramente invertita con il differenziale 10Y-20Y che è in progressivo allargamento e che ora si attesta a -24 bps. La curva evidenzia ora un massimo di rendimento sulle scadenze tra fine 2023 e inizio 2024 poco sotto area 3,00% di rendimento. In aumento anche le previsioni dei tassi forward su Euribor 6 mesi, soprattutto sul tratto a breve. La curva rimane impennata sulla parte a breve e vede ora tassi verso un massimo poco sotto il 3,50% per metà 2023, per poi indicare una discesa in area 2,50% per il 2025.
Analisi Integrata Trendycator
Osservando – a livello di analisi integrata – le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali, si nota la prosecuzione della discesa dei rendimenti su tutte le aree valutarie. L’area UK vede ora il rendimento per il GILT in area 3,11% in contrazione dal precedente 3,20% e ben lontano ormai dai massimi al 4,50% registrati a metà ottobre, con Trendycator sempre in stato LONG. Scendono anche i rendimenti del BUND, che va ora sotto area 2,00% di rendimento rispetto a poco più del 2,00% della scorsa analisi e con Trendycator ancora in stato LONG. Beneficiano del momento, favorevole anche alla riduzione dello spread ora in area 190 bps, anche i rendimenti del nostro Btp decennale, ora in area 3,85% rispetto alla precedente lettura al 4,00%, con Trendycator sempre LONG. Infine, l’area USA con i rendimenti del Treasury decennale che proseguono il ritracciamento attestandosi ora al 3,69% con Trendycator sempre LONG.
Bond Governativi Mondo Weekly Ranking
Consueta sezione dell’analisi sui mercati obbligazionari, con l’introduzione sotto forma di ranking dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.
Monitor Obbligazioni
In buon progresso le obbligazioni segnalate qualche articolo fa, con una buona performance soprattutto dei nostri Btp Italia. Buono l’esordio del nuovo novembre 2028 stabilmente sopra il prezzo di collocamento e con una veloce puntata sopra 100,30. Le dinamiche attese per l’inflazione sostengono le quotazioni, soprattutto dei Btp Italia collocati in passato e con numeri indice molto favorevoli per l’ammontare delle prossime cedole.
Il Btp Italia scadenza giungo 2030 è letteralmente volato grazie all’ultimo dato sull’inflazione italiana che porta in dote una prima cedola (in pagamento a dicembre prossimo) di oltre il 7% su base semestrale. Bel balzo anche per il Btp Italia scadenza maggio 2025, che dopo lo stacco cedola dei giorni scorsi è andato oltre 102.
Inflazione a parte, che sui bond sia tornato interesse e sia di nuovo (finalmente…) possibile investire con rendimenti accettabili la dicono lunga anche i rendimenti sui nostri Bot. E sì, snobbati per lunghissimi anni, ora c’è chi non disdegna di metterli in portafoglio per parcheggio di breve termine e gestione della liquidità.
Basti dire che il Bot scadenza maggio 2023 offre netto lettera un rendimento del 2% e la scadenza novembre 2023 ben il 2,17%. Fino a qualche tempo fa, impensabile.