Con l’arrivo della prima tranche del Recovery Fund, ricevuta dall’Italia nel mese di luglio, inevitabilmente si torna a parlare di debito pubblico, analisi dei conti e sostenibilità nel medio e lungo termine. Inevitabile perché a giugno il debito pubblico italiano è salito ad un nuovo record storico: 2.696,2 miliardi di euro.
Rispetto al mese precedente è una crescita di oltre 9 miliardi, che porta il totale da inizio anno ad un soffio dai +127 miliardi di euro. Come detto, l’Unione Europea ha erogato all’Italia la prima tranche del Recovery Fund per 24,9 miliardi, di cui 9 miliardi in sovvenzioni (leggasi a fondo perduto) e quasi 16 miliardi di prestiti. Va da sé, quindi, che questa quota andrà restituita, e perciò è da conteggiare alla voce debito pubblico.
Di preoccupazione e allarme per i conti pubblici italiani si parla ormai da decenni, purtroppo, e a questo proposito segnalo anche la lucida analisi fatta da Simone Filippetti nel libro “Un pianeta piccolo piccolo”, edito dal Sole 24 Ore. Un libro che consiglio caldamente a tutti coloro che hanno a cuore i propri risparmi e che traccia un quadro chiaro e impietoso sui meccanismi della finanza: la Turbofinanza come è stata ribattezzata dall’autore.
Unica differenza – in questa particolare fase – che oltretutto stride abbastanza con i numeri sopra enunciati, è la totale pace dello spread, ormai da mesi inchiodato nell’intorno dei 100 bps. L’impressione è che vi sia una totale assenza di timore rispetto al momento in cui ci sarà da pagare il conto. Sarà che la politica ha recentemente ribattezzato “debito buono” (prendendo a prestito la locuzione da Draghi, ma senza averne compreso a fondo il significato…) la quota parte dei prestiti targati Recovery Fund, sarà che il nostro Mario Draghi continua ad essere una garanzia…
Ne abbiamo già parlato spesso su queste colonne, e lo ribadiamo: tutto il castello sta in piedi sino a che la BCE tiene i tassi bassi e acquista i Btp. La strategia di Draghi, iniziata ormai un decennio fa, e proseguita ora dalla Lagarde è quella di inondare il mercato di liquidità, di fatto regalando denaro e rendendo “conveniente” emettere debito. Però – e anche questo lo abbiamo spesso considerato – se questa massa di denaro non viene utilizzata per investimenti e non entra nell’economia reale, le speranze che la ricetta funzioni sono vane.
E intanto, forse con un pizzico di lungimiranza, alcune parti politiche temono l’arrivo di una stretta monetaria da parte della BCE, sull’onda della FED che vorrebbe prima o poi alzare i tassi. Però non si può pretendere che Banca Centrale ignori il suo mandato (mantenere la stabilità dei prezzi), per finanziare l’infinita lista della spesa pubblica, nel caso specifico quello italiano.
E qui il problema è sempre lo stesso: la carente e lillipuziana crescita della nostra economia. Come ben sappiamo, il rapporto debito/PIL nella sua semplicità matematica è impietoso: se il PIL non cresce o cresce lentamente, il debito (al numeratore) galoppa, facendo esplodere la voce “spesa per interessi”. Giusto per capire, prima della crisi del 2008, la spesa per interessi valeva quasi il 5% del PIL, mentre ora è scesa in area 3,5%. Tutto bene quindi? Nemmeno per sogno. Infatti, nel frattempo, il rapporto debito/PIL è salito di circa 55 punti.
Solo grazie al “miracolo BCE” siamo ancora in corsa. Ma non possiamo pensare di continuare in eterno ad essere sostenuti dalla politica monetaria, dobbiamo creare valore in termini di crescita economica reale. E al momento pare proprio che non si vada in quella direzione. Infatti, la spesa per investimenti pubblici è scesa dal 3% a poco più del 2% prima del Covid.
Cosa significa?
Significa che, in termini assoluti, ogni anno lo Stato italiano spende quasi 30 miliardi di euro in più per pagare gli interessi invece di investire. Ed è forse questo aspetto che crea più preoccupazione, perché gli investimenti sono una spesa per il futuro, che potenzia il tasso di crescita dell’economia grazie al miglioramento delle infrastrutture, della ricerca, e molto altri settori. Di fatto, gli investimenti (veri) entrano nell’economia reale e producono crescita. Peccato che, ora come ora, la voce “investimenti” basti appena a soddisfare gli ammortamenti. In pratica, non si deprimere ulteriormente il potenziale di crescita ma non si riesce ad accrescerlo.
Tradotto in soldoni, significa che spendiamo più per regolare i conti con il passato (leggasi spesa sul debito) piuttosto che spendere guardando al futuro. E come abbiamo già altre volte osservato, il Recovery Fund è una grossa opportunità per uscire – anche solo un poco, ma quel tanto che basti – dalle secche, ma è chiaro che dobbiamo metterci del nostro e spostare voci dalla spesa corrente a quella per gli investimenti. Vero, l’aiuto del Recovery Fund è solo parziale perché su oltre 190 miliardi di risorse destinate all’Italia, circa 127 miliardi sono prestiti, cioè nuovo debito. A resta sempre valido il principio che indebitarsi per investire e crescere è di gran lunga preferibile che indebitarsi per fare spesa corrente. E, in ultima analisi, era proprio questa la “visione” di Draghi, quando – prima di diventare il nostro Presidente del Consiglio – parlava di “debito buono”.
La via è tracciata: abbiamo la possibilità di spostare l’ago della bilancia, abbiamo la possibilità di migliorare anche se di poco gli equilibri dei nostri conti pubblici. Farlo significa poter ripagare i nostri debiti e – forse – avviare un ciclo virtuoso. Non farlo significa rendere insostenibile il fardello del debito e rimanerne schiacciati.
Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve mostra una netta contrazione dei rendimenti sia sul tratto a medio sia sul tratto a lunga rispetto alla scorsa analisi. Il rendimento della scadenza a 10 anni torna in area negativa, sprofondando a -0,04% di rendimento dal precedente 0,12% mentre la scadenza trentennale va sotto lo 0,30% di rendimento rispetto al precedente 0,50%. Nessuna variazione degna nota invece per quanto riguarda la forma della curva, con la parte a breve e medio sempre inclinata positivamente a circa 45° per poi appiattirsi completamente sulle scadenze lunghe. La curva evidenzia ora un massimo di rendimento sempre sulle scadenze 2044-2046, ma in decisa contrazione rispetto alla scorsa rilevazione, passando all’attuale area 0,33% dal precedente 0,52% di rendimento. Si contraggono anche i tassi forward su Euribor 6 mesi, con il tratto a medio che rimane comunque inclinato positivamente ma ora con previsione di tassi positivi non prima del 2027, e con il tratto a lunga che si porta poco sotto area 0,80% rispetto al precedente 1,00%. Più stabile il tratto a breve, sempre compreso nell’intervallo -0,50%/-0,40%.
Analisi Integrata Trendycator
Osservando – a livello di analisi integrata – le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali, il quadro mostra variazioni significative a livello di impostazione strategica secondo il modello Trendycator. La decisa contrazione dei rendimenti di questi ultimi due mesi ha cambiato alcuni equilibri, come possiamo vedere dai grafici qui sotto. Sull’area UK, dopo i massimi di periodo tra area 0,90% e area 0,70% di rendimento toccati tra maggio e giugno scorsi, si è avviata una fase correttiva decisa che ha portato i rendimenti sotto area 0,60% e con Trendycator ora NEUTRAL. Dinamica identica per il BUND, che dopo aver toccato il massimo rendimento di periodo in area -0,07% a fine maggio ha corretto pesantemente prima sino a -0,30% per poi ritoccare ulteriormente al ribasso e portandosi ora sotto area -0,40% di rendimento con modello Trendycator ancora in stato NEUTRAL, ma in fase di possibile indebolimento. In discesa anche i rendimenti del nostro Btp, sempre ben sostenuto dallo spread largo circa stabile nell’intorno dei 100 bps; dopo la fiammata di maggio in area 1% siamo prima tornati verso i minimi storici in area 0,50% durante l’estate per assestarci ora poco sopra area 0,60% con Trendycator che segna un cambio di stato e passa a NEUTRAL. Cambio di impostazione anche per l’area USA, con i rendimenti che dai massimi di periodo oltre 1,70% sono crollati sino ai minimi estivi in area 1,20% per assestarsi ora a 1,30% con Trendycator che abbandona lo stato LONG e passa a NEUTRAL.
Bond Governativi Mondo Weekly Ranking
Nuova sezione dell’analisi sui mercati obbligazionari, con l’introduzione sotto forma di ranking dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.
Analisi in evidenza
Torniamo ad occuparci del cambio EUR/USD, che ha rispettato le nostre previsioni di medio termine. Infatti, nell’analisi di fine giugno scrivevamo: “Il quadro è quindi ora nuovamente a favore di un rafforzamento del dollaro USA contro euro, anche perché alle evidenze grafiche che già avevamo individuato nelle scorse analisi si sono ora aggiunte ragioni di carattere macro e fondamentale. Infatti, la divergenza negativa generata nel periodo settembre 2020 – dicembre 2020 ha portato ad un primo impulso ribassista a inizio 2021 da cui è scaturita la reazione che ha temporaneamente messo in dubbio il quadro potenzialmente favorevole alla valuta USA. Ma il Trendycator è sempre rimasto NEUTRAL, senza farsi scomporre dal rimbalzo sin sopra 1,22 e, a ben guardare, i prezzi stanno disegnando massimi decrescenti dal picco di inizio 2021”.
Grazie al modello Trendycator e al Trendycator Oscillator eravamo in possesso di importanti indizi per un proseguimento del trend a favore del dollaro in ottica strategica. E infatti, nel corso degli ultimi due mesi la valuta USA ha preso forza e portandosi in area 1,17 dai massimi relativi di maggio a 1,22. Non di meno il Trenycator ha repentinamente colto il cambio degli equilibri del cambio EUR/USD e già ad inizio luglio ha cambiato stato passando da NEUTRAL a SHORT, fornendo di fatto un segnale di acquisto per la valuta statunitense.
Ora, l’impostazione rimane decisamente favorevole per il proseguimento del movimento, al netto di rimbalzi verso area 1,19/1,20 che non dovrebbero tuttavia modificare il quadro strategico. Il contatto con il supporto attuale in area 1,17/1,16 in caso di rottura apre interessanti spazi di rafforzamento del dollaro contro euro sino in area 1,15 in prima battuta.