Pro & contro – Azioni tecnologiche, insostituibili o a fine corsa?


Pro & contro – Azioni tecnologiche, insostituibili o a fine corsa?

Confronto serrato su un tema caldissimo: ci sono ancora margini di crescita per questo comparto? Con alcuni consigli per gestirlo sia in caso di risposta positiva sia in quello di sentenza negativa.

Hot markets

Da qualche tempo il tema raccoglie l’interesse di molti investitori e soprattutto di quelli specializzati sui mercati Usa: l’S&P 500 non molla la morsa e in alcune sedute viene visto più tonico perfino del Nasdaq. Si comincia allora a ipotizzare una possibile debolezza dei tecnologici, complici vari fattori. Può succedere o l’avanzata delle tech stocks continuerà nei prossimi mesi e anni? Abbiamo raccolto le voci degli specialisti e le abbiamo ricapitolate in un confronto di posizioni (volutamente sintetizzate e spersonalizzate) di chi è bendisposto e di chi è sfavorevole alla loro detenzione.

I favorevoli

Gli ostili

Ha senso temere che l’onda rialzista del settore stia per esaurirsi, complici vari fattori, a cominciare dall’inflazione, che potrebbe penalizzare le azioni della tecnologia, specialmente se relative a società super indebitate e sempre restie a distribuire dividendi?

La valutazione dei titoli tecnologici deve tenere conto di parametri di giudizio che sono altri rispetto a quelli classici utilizzati per il settore per esempio industriale. Il futuro sarà sempre, anzi ancor più rivoluzionato dalla tecnologia e per la seconda metà del decennio in corso si prevede un’accelerazioni in tal senso. Quindi tech a manetta!

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La risposta appare un po' generica, perché nel tech c’è di tutto, mega e micro capitalizzazioni. Che il mondo verrà sovvertito da cambiamenti epocali è scontato ma in quale direzione andrà il mercato? Se Microsoft ed Apple perdessero di peso occorrerebbe che altri protagonisti prendessero il loro posto ma non se ne intravedono ancora gli eredi.

Microsoft ha raggiunto a giugno una capitalizzazione di 2.000 miliardi di $: per centrare i primi 1.000 miliardi ci ha messo 33 anni. Per il secondo target meno di due. L’olandese Asml, leader dell’industria per i semiconduttori, è cresciuta a dismisura nell’ultimo biennio, superando nettamente capifila del petrolifero e dell’industria. Porsi il problema di un loro arretramento o sostituzione nel tempo non ha senso.

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Si parla tanto di rotazione settoriale nell’azionario e di ricerca di “income”, due parole che sono antitetiche alla tenuta del tech. C’è da preoccuparsi di queste evoluzioni?

Ogni tanto sono temi che vengono a galla ma poi la realtà dei fatti li estromette. Il vero argomento di cui discutere è un altro: qual è la percentuale da destinare al tecnologico nel portafoglio tipo e di essa quanto dedicare ai big Usa e quanto al resto, cioè agli altri mercati e alle capitalizzazioni minori.

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Diamo una risposta a questa domanda. Altrimenti che senso ha porla?

Il minimo è il 15%, che può essere suddiviso fra azioni ed Etf settoriali, sempre più significativi per questo comparto. Maggiormente complessa la valutazione geografica: fino a ieri si sarebbe detto due terzi del 15% agli Usa e un terzo all’Europa. Ora c’è la variabile Cina, che porta a ridurre soprattutto il peso dell’Europa.

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Minimo 15% e massimo?

Per chi ha una maggiore propensione al rischio l’ipotesi di salire a un 30% appare più che corretta. Con una suddivisione di un terzo alle big, di un terzo alle nuove realtà emergenti e di un terzo agli Etf settoriali.  

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Andiamo più in profondità: i social media hanno ancora potenzialità di crescere?

Sul tema c’è una certa conflittualità fra gli esperti. Qualcuno sostiene che è un settore ormai maturo e altri invece che le loro potenzialità sono enormi. Facebook sta puntando forte sull’intelligenza artificiale con evoluzioni continue per esempio dei servizi all’e-commerce. Il 42% della popolazione mondiale utilizza attivamente le piattaforme social. Ci sono 2,2 miliardi di utenti Facebook, 1,5 miliardi su YouTube, 1 miliardo su Instagram e su Twitter, quasi 600 milioni su Linkedin. Occorre aggiungere altro? Sì, che nuove realtà iper specializzate stanno per arrivare sul mercato, con potenzialità infinite, poiché i consumi passeranno sempre più di qui.

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Però forti percentuali di utenti in tutto il mondo stanno disattivando i propri account. La questione privacy è troppo sentita per non rappresentare un rischio?

C’è una rivoluzione in corso e tutto dipenderà dal tempo di reazione dei big dei social. Non bisogna però concentrarsi su un tema specifico ma seguire le evoluzioni infinite del mondo tecnologico. In questo momento i mercati stanno per esempio guardando alle cinesi Huya e Baidu, quotate a New York mediante Adr; la prima è una specialista di streaming di videogiochi e la seconda il principale motore di ricerca in lingua cinese. La diversificazione dei mercati è fondamentale e non si può escludere che in futuro entreranno in scena leader indiane, indonesiane o vietnamite, oggi del tutto sconosciute. Per questo motivo gli Etf svolgeranno un ruolo primario, poiché prevedono sottostanti sempre più specialistici.

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Il che aumenta il rischio. Per esempio gli Etf sulla tecnologia cinese hanno deluso. Non sarebbe meglio puntare su Etf a più ampio respiro geografico?

Vanno utilizzati per quello che sono: strumenti molto volatili e che anticipano di solito i movimenti degli specifici mercati nel loro insieme. L’Ubs Solactive China Technology (Isin LU2265794276) da aprile a metà maggio ha perso il 15% ma poi ha guadagnato il 20%. Come si fa a non prenderlo in considerazione in un’ottica di trading o di piano di acquisto frazionato sui prezzi?

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Il problema è che il mercato è prevalentemente impostato sul “long” per il tecnologico, mentre lo “short” è praticato potenzialmente solo dai professionisti. Si tratta di un rischio ingentissimo, dovuto alla convinzione che i target siano soltanto rialzisti!

Per ora è andata così e chi ha investito su questo mercato ha solo guadagnato: il Nasdaq 100 è passato in 10 anni da 2.326 a 14.727 pb, Apple da 7,9 a 140 $ e l’Etf Lyxor sulla robotica da 17,18 € del settembre 2018 ai 33,63 dell’ultima seduta. Si potrebbe proseguire all’infinito con altri esempi ma servirebbe solo a far perdere tempo ai lettori. 

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La bolla del 2001 non ha insegnato proprio nulla?  

Erano altri tempi e confrontarli con quelli di oggi non ha senso. Così come pensare di misurare le quotazioni senza tenere conto delle esigenze straordinarie nel mondo di rivoluzioni ecologiche e informatiche, che continueranno a sostenere i mercati, anche se magari con forti volatilità. Può darsi che il titolo XY possa perdere in breve il 30%, per poi riguadagnare il 100 o il 200% in pochi mesi. Non ci sarebbe proprio da gridare al fine corsa o allo scoppio della bolla se ciò accadesse.   

In certi sensi è facile ostentare diffidenza dopo la super corsa degli ultimi anni e parlare di bolla ma allo stesso tempo è arduo poiché il mondo cambia sempre più nella direzione della tecnologia. Qual è il rischio reale?

Il mercato durante il Covid ha portato a una compulsività, cioè a un atteggiamento incontrollato e irrefrenabile degli investitori, convinti che Apple o Tesla debbano continuare a correre per sempre. Ora occorre lanciare un grido di allarme e dire che all’improvviso qualcosa potrebbe andare storto. La liquidità immersa dalle Banche centrali e soprattutto dalla Fed ha stravolto le regole del buonsenso, con gli acquirenti che non guardano più ai fondamentali ma seguono semplicemente i segnali tecnici, tutti improntati al rialzo.

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In altre parole si sta vivendo un eccesso destinato un giorno o l’altro a riadeguarsi. Però potrebbe anche non succedere?

Le probabilità possono essere differenti rispetto a quella del tutto giù dopo il tutto su. Si potrebbe vivere una situazione in cui alcune società più solide, con business particolari tengano e anzi salgano ancora in un contesto in cui il mercato nel suo insieme cala però vistosamente.

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La domanda inevitabile è sempre la stessa: è bolla o non è bolla quella del tecnologico?

Multipli così aggressivi, quali quelli di oggi, dicono di sì ma allo stesso tempo è pur vero che sono iniziate rivoluzioni violente – per esempio il cloud, i service provider per lo streaming e alcune nicchie nell’ambito dei semiconduttori – da non consentire di valutare se le relative quotazioni siano da bolla. Poi c’è un altro fattore: l’innovazione premia sempre chi arriva per primo. Successivamente inizia un ampliamento della concorrenza e il primato salta. Solo le tre o quattro super big sono forse lontane da questo rischio ma il resto delle aziende già ne soffre. Sarebbe allora il caso di puntare sulle start-up ma la loro identificazione è difficilissima, anche perché spesso mancano riferimenti attendibili su redditività e costanza del business. Perfino gli hedge fund e i gestori di fondi hanno difficoltà a valutare quali possano essere le vincitrici del futuro.

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Si faceva riferimento alle big tech: loro sono pronte a ulteriori espansioni qualitative e quantitative delle attività. Di Apple si ipotizza una salita a 200 o addirittura 250 $ nell’arco di qualche anno. Sono delle certezze su cui puntare senza esitazioni?

No, perché il mercato sconta già nelle quotazioni in corso questi progressi di prodotti e/o servizi. All’opposto non prezza adeguatamente rivoluzioni dell’industria tradizionale. Pensiamo a un confronto fra Tesla e Ford: ha più probabilità di crescere la seconda che non la prima almeno in ambito automobilistico, perché certe innovazioni tecnologiche di Ford sono ancora ignorate.

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Si può comunque pensare che chi è leader resterà tale anche in futuro?

No, è l’opposto. Esiste infatti un fenomeno di tecnologia dirompente (Disruptive Technology), cioè di innovazioni che alterano i modi in cui l’economia funziona: di fatto spazza via sistemi e abitudini di produttori e consumatori, facendo sì che nessuno possa essere sicuro della propria posizione dominante. Ci sono vari Etf che confermano questa visione delle cose, replicando i titoli di società neo esordienti.  Quello di Lyxor (Isin LU2023678282) in un anno ha messo a segno il +43%, comprovando come anche questo sia un tema di investimento.

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Parliamo un po' dei parametri di valutazione. Ha ancora senso stimare il p/e in situazioni così esasperate?  

Il rapporto tra il valore di mercato di un’azione e gli utili generati dalla stessa va bene in settori tradizionali ma nel tecnologico ci sono due fattori distorcenti, il debito e la leva finanziaria, quasi sempre elevati, salvo per i colossi. Ecco perché analizzando alcune azioni si identificano numeri folli ma che in realtà dicono poco. Forse sarebbe opportuno mettere al denominatore non l’utile dell’ultimo anno ma quello medio di tre o cinque anni. Non è il caso di entrare però nei tecnicismi quanto invece di segnalare come si registri ancora una carenza di parametri affidabili nello studiare questo settore. Di qui la difficoltà anche di valutare se quella in corso sia una semplice bolla o una bolla esponenziale.

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Meglio rivolgersi allora alle new entrance, pur difficili da identificare?  

All’opposto. Valutare società che hanno uno storico corto in un quadro così esasperato rischia di far commettere errori enormi. Visto che non si capisce se quella attuale è bolla o super bolla meglio escludere dai portafogli titoli giovani, che si prestano invece bene per chi fa trading o meglio scalping.

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Tutte queste riserve portano a pensare che la strategia vincente possa essere solo quella di puntare su poche big con piani di acquisto di lungo termine?

Anche in questo caso la risposta è negativa. Nessun titolo tecnologico si salverebbe da un cataclisma, mentre l’unico modo per sfruttare una simile evenienza sarebbe di passare poi all’acquisto con una selezione di Etf specialistici sui vari settori. Sul mercato quotato italiano ce ne sono circa 70, considerando anche il mondo delle telecomunicazioni. Si tratta di un’offerta talmente vasta da agevolare la scelta sui settori che di volta in volta hanno maggiori probabilità di crescita, specialmente dopo un bel tonfo.

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Etf ok ma ci sono investitori che preferiscono le singole azioni. È possibile identificare un portafoglio di titoli che comunque – anche se dovessero correggere pesantemente nel medio termine – hanno maggiori potenzialità di un successivo rimbalzo?

A una domanda così sfrontata si può solo rispondere con quelli che sono i titoli preferiti dai gestori per strategie di lungo termine. Sono cinque: Alphabet (cioè Google), Facebook, Snap, Twitter e Zoom Video. Hanno le potenzialità per continuare a crescere senza problemi, pur con tutte le riserve di cui si è detto finora.

   

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