I nuovi dati sull’inflazione USA, relativi al mese di giugno segnano un altro record, che va a fare il paio con un altro record assoluto: per la prima volta nella storia americana, i rendimenti dei Junk Bond in dollari offrono un rendimento inferiore al livello d’inflazione. Infatti, nel mese di giugno, l’inflazione è schizzata al 5,4% ai massimi del 2008 e i bond spazzatura sono scesi al minimo storico di rendimento, sotto il 4%. In soldoni allo stato attuale neanche gli asset più a rischio proteggono il potere di acquisto.
Condizione pericolosa, perché tende ad indicare che non abbia più alcun senso risparmiare e che, al contrario, sia preferibile consumare tutto il reddito. Dando uno sguardo più approfondito, vediamo come da inizio 2020 gli USA hanno monetizzato circa 30 punti di PIL di deficit per contrastare la pandemia, così come anche l’Europa seppur con numeri più bassi. Ma la tendenza sta proseguendo, con la sola differenza che da noi il rimbalzo del PIL più ritardato e meno accentuato ha mantenuto l’inflazione contenuta, scesa a giungo all’1,9% dal precedente 2%.
Una cosa simile è accaduta negli anni Ottanta, e per noi era stato un salasso. Ora che la storia pare ripetersi, il rischio è che l’inflazione americana siano i cittadini europei a pagarla. Ma cos’era accaduto 40 anni fa? Ronald Reagan aveva da poco vinto le elezioni presidenziali grazie ad un programma di forte contrasto all’inflazione, schizzata a doppia cifra a causa della seconda crisi petrolifera del 1979, scatenata dalla Rivoluzione Islamica in Iran. In quel frangente la FED, allora guidata da Paul Volcker, alzò repentinamente i tassi, seguita a strettissimo giro dalla Banca d’Inghilterra con il governo della “Lady di ferro” Margaret Thatcher.
Così, in brevissimo tempo la stabilità dei prezzi fu centrata in entrambe le economie, ma i tassi d’interesse naturalmente esplosero ovunque in Occidente. E stati come l’Italia si ritrovarono a pagare una quota di PIL sempre più elevata per onorare il debito. Accadesse oggi andremo a carte quarantotto. La buona notizia è che rispetto agli anni Ottanta, oggi esiste la BCE.
Ed è una differenza per nulla di poco conto. Infatti, grazie al cappello dell’euro nell’Eurozona ci sarebbe consentito guadagnare tempo rinviando la stretta monetaria. Così, i deflussi dei capitali verso il mercato americano, se i tassi USA fossero alzati, non sarebbero presumibilmente così immediati e sostenuti come quando esistevano le diverse divise nazionali.
Ma guadagnare tempo non significa risolvere il problema, perché anche il tempo prima o poi finisce. E così, comunque, il rischio di dover “pagare” noi l’inflazione americana non è scongiurata a priori. Unica possibilità è che le Banche Centrali stabiliscano una sorta di linea “comune”, con un mutuo accordo di tolleranza verso una crescita dei prezzi ben superiore ai target dichiarati un non breve periodo.
Ma l’effetto, anche in questo caso, non sarebbe risolutivo, pur rappresentando forse il male minore. Con un “accordo” delle Banche Centrali, seppur in modo grossolano, si ridurrebbero i rapporti debito/PIL degli Stati, ma a quel punto, “pagheremo” non tanto come contribuenti, bensì come consumatori e lavoratori. Infatti, la ovvia perdita del potere di acquisto ridurrebbe gli stipendi reali riducendo le capacità di consumo.
Come sempre staremo a vedere, ma intanto la FED si sta sperticando nell’affermare che il balzo dell’inflazione è solo temporaneo e il mercato obbligazionario ha ripreso a vedere rendimenti in discesa.
Intanto, mentre l’estate avanza e si avvicina per noi il periodo del meritato riposo, il nostro portafoglio vola e mette a segno un altro record. Infatti, al close di venerdì, il nostro portafoglio valorizza un NAV a 105,55 di un soffio sotto al nuovo massimo storico a 105,58 registrato poco più di una settimana fa. La scorsa rilevazione eravamo a 105,19 e solo a fine giugno eravamo a 104,77. E così la performance annualizzata decolla al 4,37% su base annua, rispetto al +4,21% della precedente rilevazione. Volatilità stabile all’1,19% che tra l’altro ci regala un rapporto rischio/rendimento davvero invidiabile.
Portafoglio ed equity line aggiornati nell’apposita sezione.