In capo a due settimane i mercati si sono risvegliati dal torpore in cui erano caduti a maggio e praticamente tutti i listini sono tornati sui massimi e, in alcuni casi, addirittura li hanno superati. E’, ad esempio, il caso dell’Europa con lìEurostoxx50 che ha superato di slancio i 4.000 punti e ora veleggia verso i 4.100, o come il nostro FtseMib che ha sbriciolato i 25.000 punti, dimostrando una forza alla quale non siamo certo abituati.
Perfetto, tutto su sino a settembre? Non possiamo saperlo ovviamente, e se da un lato le premesse per un prosieguo del rialzo sono incoraggianti, non facciamoci prendere da un eccesso di fiducia e teniamo sempre gli occhi bene aperti. Per ora bene gli alleggerimenti che abbiamo fatto con la redistribuzione della liquidità rinveniente, e bene aver mantenuto le altre posizioni, ma da qui a comprare col badile che ne passa.
Anche perché il tema Recovery Fund potrebbe condizionare i mercati nelle prossime settimane, visto che la Commissione europea a breve dovrebbe erogare agli Stati beneficiari la prima tranche dei 750 miliardi di euro, tra prestiti e sovvenzioni. Vediamo quindi quanti soldi riceverà l’Italia e quale sarà il reale beneficio che ne potremmo trarre.
Intanto, per quest’anno sono previste emissioni di bond comunitari per 80 miliardi, di fatto “Eurobond” visto che si tratterà di debito comune. Punto, questo, sempre molto controverso con gli stati del Nord Europa che sottolineano l’eccezionalità di questa misura, diversamente dai Paesi mediterranei che sperano si tratti appena di un inizio in tema di unione fiscale.
Ma andiamo ai numeri, e scopriamo che all’Italia spetteranno 191,5 miliardi di euro in 6 anni, di cui 122,6 miliardi sotto forma di prestiti e 68,9 miliardi sotto forma di sovvenzioni. I prestiti naturalmente andranno restituiti, mentre le sovvenzioni sono aiuti a fondo perduto. Ne consegue che, in prima battuta e molto grossolanamente, nel calcolo del beneficio netto sarebbero da considerare solo le sovvenzioni.
Tuttavia, nella realtà dei fatti, va tenuto in conto che la stessa Italia dovrà contribuire a pagare pro-quota i 390 miliardi di aiuti previsti con il programma, cioè dovrà sborsare qualcosa come 45 miliardi. E allora, a conti fatti, il nostro beneficio netto sarebbe di appena 25 miliardi, spalmato in 6 anni. A spanne, poco più di 4 miliardi all’anno, ovvero uno 0,25% dell’attuale PIL.
Messa così, non suona molto bene. Però il vero problema, eventualmente, sta nella nostra capacità di spendere (e bene…) effettivamente tutto il montante a nostra disposizione, posto che dei fondi comunitari del bilancio 2014-2020 l’Italia è arrivata penultima per capacità di spesa. Cioè, di fatto, abbiamo utilizzato poco più di un terzo della cifra a noi destinata. Senza interrogarci inutilmente sul dove siano finiti i soldi non spesi (…), comprendiamo che in merito alle sovvenzioni, la convenienza sta nello spendere tutto l’importo, visto che contribuendo con circa 45 miliardi ne abbiamo a disposizione 70.
Senza contare che, ogni anno l’Italia contribuisce al bilancio comunitario per circa 3 miliardi in più rispetto a quanto riceve e che parte del Recovery Fund dovrà essere finanziato attraverso l’imposizione di nuove tasse comunitarie. Per cui è evidente che la convenienza per il nostro Paese è di utilizzare tutte le risorse a nostra disposizione, per (in un certo senso) massimizzare “l’investimento”.
Ma c’è un altro beneficio, non così evidente o immediatamente quantificabile, ma che non è per nulla di poco conto. Infatti, anche se il Recovery Fund è composto quasi totalmente soldi nostri, la “protezione” di Bruxelles agli investimenti nazionali ci è essenziale. Provate a immaginare, vista la recente storia, cosa accadrebbe se il nostro governo annunciasse di voler investire in autonomia oltre 190 miliardi in 6 anni…
Domanda retorica, certo, perché sappiamo benissimo che i mercati finanziari metterebbero i nostri titoli governativi nel mirino, a causa dell’elevato debito pubblico italico. Invece, con il Recovery Fund, che possiamo considerare una “partita di giro” con l’Unione Europea, ci mette al riparo perché in prima battuta i prestiti li dovremo restituire nell’arco di decenni e a tassi quasi azzerati, e in seconda battuta i commissari sorveglieranno sul piano della qualità della spesa.
Il tutto, chiaramente, al netto del buon operato di chi maneggerà questi soldi, ma questo purtroppo è tutto un altro paio di maniche. Speriamo in bene, perché questa è davvero un’opportunità da sfruttare al meglio investendo dove è stato fatto per molti anni.
Tornando al nostro portafoglio, la buona ripresa dei mercati ha naturalmente giovato al nostro asset, che si è riportato praticamente in prossimità del precedente massimo storico e pare scalpitante nel volerlo superare. Il portafoglio, al close di ieri valorizza un NAV a 103,97 appena di un soffio sotto il massimo storico registrato a metà aprile a 103,99. Sale la performance annualizzata, che si porta al +3,41% rispetto al precedente +3,02% con una volatilità in lieve riduzione all’1,00% dal precedente 1,03%.
Portafoglio ed equity line aggiornati nell’apposita sezione.