Sui mercati obbligazionari continua a tenere banco la dinamica inflattiva negli USA, che in un qualche modo ha costretto la FED a fare dichiarazioni forti nella conferenza stampa dell’ultimo board. Ma andiamo con ordine e ricapitoliamo rapidamente i dati macro. Nel primo trimestre Il PCE Core (Personal Consumption Expenditures) è salito del 3,5% contro l’1,7% del primo trimestre, registrando il maggior tasso di crescita da dieci anni a questa parte; il CPI invece (Consumer Price Index) è aumentato del 4,2% al netto degli aggiustamenti stagionali.
In quel frangete il presidente della FED Powell non si era particolarmente scomposto, affermando che la fiammata sarebbe stata riassorbita nel momento in cui l'attività economica si sarebbe normalizzata dopo l’effetto “elastico” dovuto alla pandemia. Ma intanto, nella prima metà di giugno l’attesa per i nuovi dati macro USA, riferiti all’inflazione di maggio, si è fatta via via spasmodica tanto da far uscire allo scoperto alcune dichiarazioni di Janet Yellen, segretario del Tesoro USA e, come ben sappiamo, alla guida della FED dal 2014 al 2018.
Infatti, la Yellen in quell’occasione non ha avuto remore nell’affermare che “di questo passo, il rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve sarà necessario per evitare il surriscaldamento dell’economia americana”. Evento degno di nota non solo per il peso del personaggio, ma anche perché non capita praticamente mai che sia il governo a paventare un aumento del costo del denaro. Nella prassi, come sappiamo, il rialzo dei tassi è prospettato con un certo anticipo dalla Banca Centrale, così da orientare sia il mercato sia la politica.
In questa circostanza, invece, è accaduto il contrario, con la FED che continuava a mostrarsi accomodante mentre il governo USA metteva in guardia sul fatto che una stretta monetaria sarebbe stata obbligata con quei ritmi di ripresa del PIL e dell’occupazione. Tuttavia, non va dimenticato che la FED ha il vincolo del doppio mandato, cioè deve garantire la stabilità dei prezzi con target d’inflazione al 2% contestualmente alla massima occupazione sul mercato del lavoro, cioè un tasso di disoccupazione in area 4%. E quindi prima di intervenire questi parametri devono essere in un certo senso “allineati”, con il margine però che la FED si è già data quando affermò che avrebbe tollerato un’inflazione maggiore del 2% per un certo periodo di tempo.
Ora, come sappiamo, l’attesissimo dato dell’inflazione a maggio negli USA è stato nettamente superiore alle aspettative, posto che gli analisti stimavano un +4,7% mentre il dato è uscito a +5%. Sembra poca cosa, ma è il secondo rialzo consecutivo di grossa portata, ed è la maggior accelerazione degli ultimi tredici anni, dopo il +5,3% ad agosto 2008, poco prima che la crisi finanziaria facesse sprofondare gli USA in una delle maggiori recessioni della sua storia.
E anche in quell’occasione la FED pare non essersi scomposta più di tanto, ma tra le righe della conferenza stampa i mercati hanno letto cose diverse, e i movimenti dei mercati lo dimostrano chiaramente. Infatti, le dichiarazioni della FED sono state ben più audaci di quanto non siano apparse e si sono quindi innescati alcuni cambiamenti importanti nella curva dei rendimenti USA, nel dollaro e nei tassi reali USA. Dobbiamo quindi cercare di capire, in ottica strategica di portafoglio, quali sono le potenziali implicazioni di una Banca Centrale USA più reattiva.
In sintesi, il presidente Jerome Powell ha affermato che “la spinta inflattiva è un rischio di coda e che la politica della FED potrebbe normalizzarsi prima qualora i dati sull’inflazione si discostassero dal percorso previsto”. Al tempo stesso la Banca Centrale USA ha alzato le stime di CPI (Indice dei prezzi al consumo) e PCE (Personal Consumption Expenditure) per il 2021 e il 2022 ma le ha tenute ferme per il 2023; inoltre entro la fine del 2023, le stime danno una disoccupazione in discesa al 3,9%. Infine, le proiezioni dei tassi d’interesse della FED indicano una maggiore probabilità di un aumento dei tassi iniziale alla fine del 2022, con un inasprimento che continuerà fino a un probabile terzo rialzo dei tassi entro il primo trimestre del 2024.
Uno dei movimenti più importanti avvenuto a margine della riunione FED è stato senza dubbio l’appiattimento rialzista (piuttosto aggressivo) della curva dei rendimenti dei titoli governativi USA. Infatti, il differenziale dei tassi 2- 30 anni ha subito un forte movimento scendendo di oltre 23 bps; i tassi a 2 anni sono saliti allo 0,255% durante la settimana, mentre i tassi a 30 anni sono scesi di oltre 12 bps al 2,015%. Solo i tassi decennali si sono mossi poco, assestandosi all'1,44%.
Anche il cambio EUR/USD ha avviato un deciso movimento di rafforzamento della valuta USA contro euro, con l'indice del dollaro che è salito dell'1,84%. E potrebbe non essere finita qui perché un ulteriore rafforzamento del dollaro contro l'euro potrebbe essere in vista, dato che le discussioni sul tapering della BCE potrebbero essere rimandate e la normalizzazione della politica monetaria è ancora lontana.
Quindi, la situazione è diventata molto dinamica e potrebbe offrire spunti interessanti in ottica operativa, anche sotto il profilo tattico. Da tenere molto ben monitorate, a questo punto, le curve dei rendimenti e le evidenze del Trendycator, anche sul cambio EUR/USD che potrebbe tornare un asset interessante per noi investitori in euro.
Analisi ZC-Yield Curve
La lettura della ZC-Yield Curve mostra una contrazione dei rendimenti sia sul tratto a medio sia sul tratto a lunga rispetto alla scorsa analisi. Il rendimento della scadenza a 10 anni scende un po’ e si porta allo 0,12% mentre la scadenza trentennale amplifica un po’ il movimento assestandosi poco sotto lo 0,50% rispetto allo 0,55% del mese scorso e allo 0,56% del mese di aprile. Stabile, come da tempo a questa parte, la forma della curva, con la parte a breve e medio inclinata positivamente a circa 45° per poi appiattirsi completamente sulle scadenze lunghe. La curva evidenzia per ora un massimo di rendimento sulle scadenze 2044-2046, in contrazione rispetto alla scorsa rilevazione e ora in area 0,52% rispetto allo 0,56% del mese scorso. Più stabili invece i tassi forward su Euribor 6 mesi, con il tratto a medio che si mantiene inclinato positivamente con conferma di previsione di tassi positivi entro il 2025, e con il tratto a lunga che rimane a contatto con area 1,00%. Il tratto a breve è sempre compreso nell’intervallo -0,50%/-0,40%.
Analisi Integrata Trendycator
Osservando – a livello di analisi integrata – le curve dei rendimenti dei principali benchmark decennali, il quadro non mostra particolari variazioni, salvo alcuni movimenti di aggiustamento sempre però inseriti nel contesto dei cambiamenti strutturali avvenuti sui mercati obbligazionari a partire dai primi mesi del 2021. Sull’area UK si è formato un trading range nei pressi dei massimi di periodo, tra area 0,90% e area 0,70% di rendimento, con Trendycator sempre LONG. Dinamica più o meno simile, anche se più direzionale il BUND, che dopo aver toccato il massimo rendimento di periodo in area -0,07% ha corretto pesantemente sino a -0,30% per poi rimbalzare e assestarsi al rendimento di -0,15%; modello Trendycator ancora in stato NEUTRAL. Anche il nostro Btp ha sviluppato un movimento dello stesso tipo, con una correzione verso lo 0,70% di rendimento dopo l’accelerazione delle scorse settimane sino all’1%; ora siamo nei pressi di area 0,90% e con Trendycator ormai stabile sul LONG. Rendimenti dell’area USA in assestamento, anche se graficamente si sta delineando uno scenario moderatamente ribassista. Il decennale statunitense è ora intorno all’1,50% di rendimento, livello recuperato dopo aver testato un affondo sotto area 1,40% e presenta un Trendycator saldamente LONG.
Bond Governativi Mondo Weekly Ranking
Nuova sezione dell’analisi sui mercati obbligazionari, con l’introduzione sotto forma di ranking dei bond governativi mondiali con qualunque rating. In alcuni casi, per alcuni emittenti o per alcune valute, il rapporto rischio/rendimento di questi bond può essere anche piuttosto speculativo. Il ranking considera i bond benchmark decennali in tutte le valute di emissione.
Analisi in evidenza
Ed eccoci alla nostra consueta analisi del cambio EUR/USD, mercato di primo piano e a maggior ragione in questa fase, alla luce di quanto visto sopra in merito alle dinamiche post FED. Dopo le parole di Powell, la correzione non si è fatta attendere ed è stata anche piuttosto generosa. Infatti, in una sola settimana il cambio è passato da 1,21 a 1,18 per poi mettere a segno un micro-rimbalzo che non è riuscito a portarlo oltre quota 1,1975.
Il quadro è quindi ora nuovamente a favore di un rafforzamento del dollaro USA contro euro, anche perché alle evidenze grafiche che già avevamo individuato nelle scorse analisi si sono ora aggiunte ragioni di carattere macro e fondamentale.
Infatti, la divergenza negativa generata nel periodo settembre 2020 – dicembre 2020 ha portato ad un primo impulso ribassista a inizio 2021 da cui è scaturita la reazione che ha temporaneamente messo in dubbio il quadro potenzialmente favorevole alla valuta USA. Ma il Trendycator è sempre rimasto NEUTRAL, senza farsi scomporre dal rimbalzo sin sopra 1,22 e, a ben guardare, i prezzi stanno disegnando massimi decrescenti dal picco di inizio 2021.
Come si può osservare dal grafico, ora gli “indizi” per un proseguimento del trend a favore del dollaro ci sono proprio tutte e, anche se come sappiamo può sempre succedere che il quadro cambi rapidamente, le probabilità sono dalla parte della valuta a stelle e strisce. Rimangono pertanto fermi i punti chiave che già avevamo individuato: divergenza negativa tra prezzi e Trendycator Oscillator che verrà negata solo per prezzi del cambio EUR/USD oltre area 1,23 e stato Trendycator anch’esso verso il LONG solo per prezzi sopra 1,23.