L’inflazione sta arrivando, anzi negli USA è già al 4% e oltre. Eppure la Fed rassicura i mercati dicendo che si tratta di rialzi temporanei e non dell’inizio di una nuova e duratura stagione inflazionistica. È lecito dubitarne, visti i fiumi di liquidità creati ex-nihilo post-Covid (la liquidità globale M2 è balzata da circa 80mila miliardi di dollari USA nel febbraio 2020 agli oltre 99mila miliardi attuali), i piani fiscali estremamente espansivi dei principali governi mondiali, i segnali di ripresa della domanda in un contesto in cui permangono tensioni sui prezzi delle materie prime e la disruption lato offerta (della cosiddetta supply chain).
In realtà, anche se le Banche Centrali non possono dirlo a voce troppo alta, il rialzo dei prezzi di beni e servizi non è da loro tollerato bensì ricercato attivamente: il loro obiettivo è sgonfiare in termini reali l’enorme massa di debiti, pubblici e privati, in giro per il mondo (balzati dai già stratosferici 250mila miliardi di dollari USA pre-Covid agli oltre 280mila miliardi attuali, circa il 365% del Pil mondiale) e l’unico modo in cui possono riuscirci, evitando dei default a catena, è quello di proseguire ad oltranza con le proprie politiche di repressione finanziaria, schiacciando i rendimenti nominali verso e sotto lo zero con i vari programmi di easing quantitativo e lasciando salire l’inflazione. Con rendimenti reali negativi (= rendimenti nominali - tasso inflazione) i debiti (e i corrispondenti crediti dei poveri risparmiatori!) si sgonfiano magicamente da soli col passare del tempo: una sorta di ‘usura al contrario’, ai danni non del debitore ma del creditore. Il problema è che con la mole di debiti in circolo ci vorranno anni di tale tassa occulta sul risparmio per mettere in sicurezza i grandi debitori (ovviamente a spese di tanti piccoli risparmiatori...). Riusciranno le Banche Centrali a mantenere rendimenti artificialmente compressi in pendenza di tensioni inflazionistiche? È quanto probabilmente si stanno domandando gli stessi governatori delle varie Banche Centrali in giro per il mondo...
In un contesto inflazionistico bisogna iniziare a ragione in termini reali, cioè di potere d’acquisto, e non in termini semplicemente nominali, come siamo abituati a fare da anni dato che in assenza di inflazione le due grandezze coincidono: in una prospettiva inflazionistica la peggiore asset class è quella obbligazionaria, perché rende poco in termini nominali e presenta rendimenti negativi in termini reali a fronte di rischi di forte discesa dei corsi se le Banche Centrali dovessero perdere il controllo della situazione. Dovrebbero soffrire meno le Borse, senonché presentano quotazioni tiratissime, in specie negli USA,
L’asset class più interessante in termini strategici rimangono le materie prime.
In particolare, il permanere di un contesto tendenziale di rendimenti “reali” negativi (= “rendimenti nominali - tasso di inflazione”) mantiene un quadro favorevole sui preziosi in termini strategici, al di là dell’erraticità a livello più tattico. Confermiamo quindi “l’opportunità di mantenere una quota importante del portafoglio allocata sul comparto dei preziosi, in prospettiva strategica”. Come veicoli, manteniamo i seguenti Etc quotati su Borsa italiana:
Oro, ticker PHAU: PC 146,77; Argento, ticker PHAG: PC 21,585 (cfr. grafico); Platino, ticker PHPT: PC 88,850. A parziale “copertura” della posizione lunga netta sul comparto manteniamo anche lo short sul Palladio, ticker 1PAS: PC 8,326.
Manteniamo anche le posizioni lunghe sul frumento (ticker WEAT: PC 0,6248), sul Mais (ticker CORN: PC 0,9974), sul Caffè (ticker COFF: 0,8176) e sul Cotone (ticker COTN: 2,0640).
Manteniamo anche le posizioni corte tattiche sull’S&P500, con l‘Etf short sull’S&P500 Xtrackers S&P500 Inv Day con ticker XSPS (PC 6,999).
In sintesi: le tensioni che si registrano sui prezzi di diverse materie prime dovrebbero proseguire e sembra confermato che stiamo entrando in uno scenario inflazionistico, dove proprio le commodities dovrebbero beneficiarne in modo preponderante.
(L'autore del presente articolo non è iscritto all'ordine dei giornalisti e potrebbe detenere i titoli oggetto dei suoi articoli)