Quest’anno si chiuderà la c.d. “era Merkel”, visto che il mandato della cancelliera è ormai in scadenza definitiva dopo ben 16 anni alla guida delle Germania e, di fatto, dell’intera Europa. E con largo anticipo molte testate giornalistiche stanno tirando le somme e proponendo il loro bilancio sull’eredità che la Merkel lascerà ai suoi successori.
In media, il bilancio non è molto entusiasmante. E nei pochi che mancano alle elezioni – le elezioni federali in Germania si terranno a settembre – è difficile che si possa ribaltare questo sentiment comune. In realtà la cancelliera era partita bene nel 2005, quando assunse l’incarico di curare il “malato d’Europa”, come era definita la Germania in quegli anni, vista la sua scarsa crescita economica che perdurava da tempo.
In realtà la Merkel ha beneficiato dei frutti di alcune poche riforme varate dal predecessore Schroeder che, ironia della sorte, perse la cancelleria regalando il successo all’economia tedesca e alla stessa immagine della prima donna alla guida di un governo federale.
Era quindi molto difficile immaginare che da lì a pochi anni l’euro sarebbe stato minacciato sia da una devastante crisi dei debiti sovrani sia dalle tensioni politiche, così come nessuno avrebbe immaginato la Brexit. Ma tutto questo è accaduto e non è così difficile dar credito a chi sostiene che sia accaduto principalmente a causa della direzione Merkel. Per carità, non è certamente tutta responsabilità della Germania, ma è innegabile che i sedici anni alla sua guida abbiano reso l’Europa via via più debole e divisa, con spesso un ritorno feroce dei nazionalismi.
Sul fronte internazionale, quindi, l’operato della cancelliera è stato tutt’altro che esemplare in modo particolare nella gestione della crisi del debito ellenico, facendo esplodere violentemente la crisi dei debiti sovrani che dilagò rapidamente in Irlanda, Portogallo e persino in Spagna e Italia. La Merkel, rifiutandosi di salvare Atene diede un messaggio inequivocabile agli investitori: l’euro non è la moneta di un’unica realtà economica, bensì di tanti stati tra di loro in competizione. Solo l’intervento di Draghi riuscì a placare l’ondata di sfiducia che per un soffio non travolse tutto e tutti.
Così, la crisi economica che ha devastato il Sud Europa e la stessa Francia, non ha fatto altro che accrescere l’euro-scetticismo, così che in questo clima di sfascio generale Londra pensò bene di celebrare il referendum che sancì la Brexit. Innegabilmente, uno choc per le istituzioni comunitarie e la fine della prospettiva di una UE capace di riunire sotto di sé tutti gli stati del Vecchio Continente.
Poi, a ben guardare, in politica interna la Merkel ha vissuto praticamente di rendita. E’ vero che la Germania è sempre cresciuta – anche se a ritmi non entusiasmanti – ma del tutto sufficienti a staccare i principali competitor europei. E l’assenza di riforme davvero significative ha persino attirato le attenzioni del Fondo Monetario, che da anni suggerisce a Berlino di spendere di più, specie nelle infrastrutture. Ma l’ossessione per il pareggio di bilancio è stata perseguita anche a discapito delle prospettive di crescita future, in base alla presunzione teutonica che gli altri Stati comunitari sarebbero rimasti comunque ancora più indietro.
Ciliegina sulla torta, un anno fa irrompe la pandemia e mette tutti in ginocchio. La Germania che sembrava essere il modello, l’esempio, vede il suo sistema sanitario crollare sotto l’urto della seconda ondata e i lockdown tardivi frustrano e infastidiscono i tedeschi. Ma stanno arrivando i vaccini, basta tenere duro. E invece… ecco servito l’ultimo flop, grazie alla pupilla della Merkel, la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen, che sigla contratti poco chiari e in ritardo con le case farmaceutiche, alle quali paga le dosi relativamente a buon mercato, in confronto ai prezzi sborsati da Israele, USA e Regno Unito.
Risultato: i vaccini ci sono, ma in Europa non arrivano. Così rimaniamo al palo rispetto a tutti i nostri principali competitor nella campagna vaccinale. Conseguenza: riapriremo le nostre attività dopo gli altri e quindi perderemo più punti di PIL del necessario. Ottimo lavoro, frau Merkel!
Morale: il “modello” tedesco è diventato un riferimento da non imitare. In modo inequivocabile restituisce l’immagine di un modo di gestire la cosa pubblica caratterizzato da eccesso di burocrazia e assenza di visione e pragmatismo, da sempre caratteristiche della Merkel e degli organi politici della UE.
Torniamo al nostro portafoglio, che in queste ultime sedute ha messo a segno un poderoso balzo in avanti, portandosi su un nuovo massimo storico. Dopo la fase di volatilità che ci ha fatti ballare un po’, i mercati si sono rimessi in carreggiata e il nostro asset ne ha subito beneficiato alla grande.
E così il precedente massimo storico a 102,65 registrato a metà febbraio è stato sbriciolato. Infatti, la scorsa settimana abbiamo toccato un NAV pari a 102,89 mentre al close di ieri il nostro portafoglio valorizza un NAV pari a 102,87 con una performance su base annua in netta ripresa e ora al +3,00% e con la volatilità (ovvero il rischio) stabile allo 0,64%.
Tabella e grafico dell’equity line aggiornate nella consueta sezione “Portafoglio”, ove è stata anche aggiornata la sintesi dei rendimenti storici di “Rischio Contenuto”.
Linee guida per seguire al meglio il portafoglio Rischio Contenuto ed essere allineati all’operatività
1) Il portafoglio Rischio Contenuto ha una strategia conservativa di base, attuata attraverso i migliori fondi in circolazione, capaci di creare valore nel medio lungo termine con costanza e movimentati solo quando necessario. Su questa parte del portafoglio si fa asset strategico nel vero senso della parola. Il portafoglio Rischio Contenuto deve garantire sempre il massimo controllo del rischio cercando di massimizzare la perfomance.
2) I fondi proposti sono tutti acquistabili su FundStore, hub di fondi gratuito che richiede solo delle fee fisse in base alla casa di gestione. Anche la vostra banca on line potrebbe avere (e spesso ha) questi fondi, ma se non dovesse renderli disponibili o renderli negoziabili solo con commissioni elevate, la soluzione è FundStore. Sappiamo di moltissimi lettori che la utilizzano con soddisfazione da tempo per cui è il modo migliore di attrezzarsi per seguire i segnali operativi sui fondi del portafoglio Rischio Contenuto.
3) Gli ETF inseriti in portafoglio sono tutti negoziati sul nostro mercato MTA, sezione ETF-Plus, per cui non ci sono problemi nella negoziazione di questi strumenti. Gli ETF sono destinati in parte sempre ad asset strategico, ma una quota variabile è destinata ad un’operatività in ottica tattica, quindi leggermente più dinamica. Non cambia il rapporto di rischio originario dell’intero portafoglio, che rimane sempre nei limiti stabiliti dal “mandato” Rischio Contenuto. Con questa parte del portafoglio si cerca di apportare maggior rendimento all’intero asset.
4) L’orizzonte temporale del portafoglio Rischio Contenuto è di medio/lungo termine nel suo complesso, perchè il suo scopo è far crescere un patrimonio in ottica di amministrazione del risparmio e non in ottica di trading mordi e fuggi.