Per una volta non parliamo di materie prime, ma proviamo ad inquadrare il melting down dei mercati finanziari di queste settimane.
I “cigni neri”, per dirla con l’ex-trader e matematico-finanziario Nassim Nicholas Taleb (1960-), sono quegli eventi imprevisti e imprevedibili che provocano tracolli improvvisi sui mercati finanziari. Fino a poche settimane orsono, anche dopo la notizia della diffusione del Coronavirus in Cina, le Borse mondiali continuavano a registrare nuovi record ogni settimana: una crescita inerziale, consentita dalle continue iniezioni di liquidità sui circuiti finanziari da parte delle principali Banche Centrali del mondo. A partire dalla primavera 2009, infatti, migliaia di miliardi di dollari “creati” ex-nihilo dalla Federal Reserve statunitense, dalla Banca Centrale Europea, dalla Banca del Giappone e dalla People Bank of China, per citare solo le principali autorità monetarie mondiali, hanno sostenuto e gonfiato le quotazioni azionarie e obbligazionarie in giro per il mondo, creando quel fenomeno che la Scuola austriaca di economia chiama asset inflation (cfr. grafico).
Il mondo si è svegliato. Bruscamente. La distruzione di migliaia di miliardi di dollari sui mercati in poche settimane si configura innanzitutto come lo scoppio improvviso di una gigantesca bolla finanziaria creata dalla droga monetaria, dalla liquidità che riversandosi incessantemente sui mercati aveva fatto salire artificialmente le quotazioni. Il nodo del problema non è però esclusivamente e neppure principalmente il Coronavirus, che semmai è solo il trigger della reazione scomposta sui mercati, in specie sull’azionario, sul petrolio e sui titoli obbligazionari high yield.
Uno degli effetti collaterali delle politiche monetarie ultra-espansive degli ultimi lustri è stato l’incentivo all’azzardo morale, alla speculazione finanziaria e all’indebitamento. La mole dei debiti pubblici e privati in giro per il mondo è cresciuta a livelli insostenibili rispetto alla crescita dell’economia reale (circa 250mila miliardi di dollari USA, cfr. grafico). Un forte rallentamento dell’economia reale, a cui evidentemente e inevitabilmente porterà la pandemia in corso, renderà ancora meno sostenibili i debiti in circolazione, a partire dai debiti pubblici estremamente elevati come quello italiano e dai debiti corporate high yield, cioè quelli emessi da debitori con basso standing creditizio.
Ciò sta già costringendo e costringerà le Banche Centrali ad agire ancora di più sulla leva finanziaria, per comprimere in ogni modo i rendimenti obbligazionari verso il basso, per rendere così i debiti più sostenibili. In altre parole la gravità della situazione costringe di fatto le autorità monetarie a proseguire ad oltranza, anzi a rafforzare, quelle politiche poco ortodosse che sono la principale causa dell’asset inflation. Il Coronavirus, in altre parole, è l’ago che buca la bolla, ma la bolla c’era già prima, e le politiche monetarie cercheranno di rigonfiarla o per lo meno di rallentarne lo sgonfiamento. Previsioni sull’evoluzione dei mercati e dell’economia reale, specie in Paesi duramente colpiti come l’Italia, lasciano al momento il tempo che trovano. Si può ipotizzare che un primo segnale di stabilizzazione sui mercati ci sarà quando le bolle si saranno adeguatamente sgonfiate - statisticamente i crash azionari registrano perdite tra il 30 e il 50 per cento dai massimi - e quando il trend della diffusione del virus denoterà un rallentamento, che gli esperti ipotizzano tra un paio di settimane. Il contenimento della diffusione del virus in Cina e in Corea del Sud fa ben sperare, significa che si può contenere anche se con misure straordinarie, in attesa di cure mediche risolutive che purtroppo però sono ancora di là da venire.
Fondamentale sarà abbandonare una volta per tutte l’idea che le iniezioni di liquidità siano la panacea per tutti i mali finanziari ed economici, così come la radicata convinzione che sia lo Stato il motore della crescita grazie a politiche di bilancio in deficit. Il rischio, invece, è che ancora una volta si punterà tutto sulla liquidità e sull’ampliamento del debito pubblico, cioè su quelle che sono le cause strutturali di questi cicli finanziari - ed economici - di boom&bust, cioè di periodi di crescita artificiale seguiti da violente fasi di sboom.
(L'autore del presente articolo non è iscritto all'ordine dei giornalisti e potrebbe detenere i titoli oggetto dei suoi articoli)