Mentre il nostro portafoglio registra un secondo massimo storico consecutivo e mentre ci apprestiamo ad utilizzare la pingue liquidità giacente, si materializza l’accordo USA-Cina in merito ai dazi. L’accordo, denominato “Phase One” di fatto mette – almeno per il momento – un bel punto alla guerra dei dazi tra le due superpotenze. In estrema sintesi, l’accordo prevede trasferimenti di tecnologia, proprietà intellettuale, prodotti alimentari e agricoli, servizi finanziari ed espansione del commercio.
Di fatto la Cina aumenterà significativamente le importazioni di prodotti agricoli dagli Usa, e nel complesso Pechino acquisterà beni e servizi americani per 200 Mld USD nei prossimi 2 anni. Gli Usa, per contro, revocheranno il rischio di nuove tariffe al 15% che avrebbero dovuto scattare il 15 dicembre scorso su quasi 160 Mld USD di prodotti cinesi. Tuttavia, non saranno eliminati i dazi al 25% sui 250 Mld USD attuali, mentre verranno ridotte al 7,5% le tariffe su molti altri prodotti, per un totale stimato in 120 Mld USD.
Naturale che i mercati abbiano festeggiato, ma su molta stampa specializzata si manifestano già delle preoccupazioni, poiché le ripercussioni di questo accordo ricadrebbero sui rapporti Cina-Europa, cosa che ovviamente ci riguarda da vicino. Secondo alcuna stampa questo accordo USA-Cina potrebbe costare all’Unione Europea circa 11 Mld USD l’anno prossimo. Lo sostiene uno studio dell’Istituto tedesco Kiel, il quale mette in guardia sul fatto che, con prezzi e costi commerciali mantenuti stabili, l’ingente quantità di acquisti cinesi dagli Stati Uniti ricadranno su Paesi terzi.
Infatti, le stime contano che probabilmente l’UE sarà costretta a “cedere” una quota di mercato acquisita nei confronti del partner commerciale asiatico. Germania e Francia saranno particolarmente colpite e i maggiori effetti negativi per gli scambi del nostro continente si verificheranno per le merci quali aeromobili, veicoli, macchinari industriali e sanitari, prodotti farmaceutici e beni agricoli.
Vi è poi altra stampa specializzata che pone l’accento sui rischi legati direttamente alla nostra valuta, poiché vi sarebbero diversi motivi che farebbero rafforzare l’Euro nei confronti delle altre valute. In realtà le analisi che qui citiamo sostengono che siano anche altri i fattori che influenzeranno l’andamento dell’Euro, come ad esempio gli ultimi sviluppi in tema Brexit e non da ultimo il fatto che per stessa ammissione della BCE l’economia dell’Eurozona sta mostrando “segnali di stabilizzazione della crescita”. La Germania, in particolare, non è caduta in recessione come si temeva e, anzi, sarebbe cresciuta dello 0,6% nel 2019, mentre quest’anno dovrebbe superare l’1%. Numeri piccoli, siamo d’accordo, ma non denotano crisi per la locomotiva d’Europa.
Nel caso specifico dell’accordo USA-Cina, l’analisi sostiene che i rendimenti bassissimi – quando non addirittura negativi – sui mercati sovrani dell’area segnalino aspettative rialziste degli investitori sulla moneta unica, in modo particolare contro il biglietto verde. Non di meno, per la Cina, se l’Euro si rafforzasse non sarebbe un evento secondario. Infatti, Pechino ha accumulato 3.100 Mld USD di riserve valutarie grazie ai suoi avanzi commerciali e agli afflussi dei capitali negli anni. Secondo le stime, di questi, quasi i due terzi sarebbero denominati in USD e appena un quinto in Euro.
Però è naturale che se il Dollaro USA si indebolisce e l’Euro si rafforza, la Cina avrà interesse a convertire una quota via via crescente delle sue riserve nella nostra divisa, anziché in quella americana. Ed è naturale che questa operazione avrebbe ripercussioni inevitabili sull’Euro, accentuandone l’apprezzamento contro lo Yuan. E fondamentalmente, il rischio paventato è che un Euro più forte (e soprattutto il ritmo con cui si rafforzerà sui mercati), determinerà la sostenibilità per le economie dell’area, in particolar modo per le più deboli e dipendenti dalle esportazioni come l’Italia. Di per sé già l’accordo USA-Cina metterà a dura prova il comparto agroalimentare europeo: se a questo si dovesse anche aggiungere un Euro superstar contro Yuan e Dollaro USA, allora si potrebbe arrestare o rallentare decisamente la crescita economica dei 19 stati membri.
Come sempre, staremo a vedere, e nel frattempo occupiamoci del nostro portafoglio, che come detto in apertura dell’articolo è di nuovo su un massimo storico e sul quale siamo pronti a sparare delle nuove cartucce disponendo di una abbondante liquidità in cassa. Nei prossimi giorni saranno infatti inviati dei nuovi segnali operativi, per cui occhio alla penna.
Intanto, tocchiamo un nuovo massimo storico – il secondo consecutivo – a distanza di una settimana dal precedente. Infatti, il nostro NAV vale oggi, ai prezzi correnti di mercato, 118,35 contro i 118,28 del precedente massimo del 15 gennaio scorso. La performance cumulata è ormai sempre più vicina al 10%, considerando che a febbraio del 2016 il NAV iniziale del portafoglio valeva 107,99 e che contro i 118,35 attuali porta ad un risultato complessivo del 9,59%.
Portafoglio come di consueto aggiornato nell’apposita sezione.