Previsioni e opinioni di grandi gestori. Oggi prospettiamo un miscuglio di numeri, supposizioni e convinzioni in uno dei momenti più isterici della storia finanziaria.
Cedole & dividendi
Oltre 15.000 miliardi di debito governativo con rendimenti negativi. E ora – secondo Pimco – perfino i Treasuries Usa potrebbero scendere sotto lo zero se lo scontro Usa-Cina degenerasse. Il Bund dal -0,57% è visto da qualcuno in discesa al -1% (e addirittura c’è chi ipotizza a un -2%!!). La guerra dei dazi, la guerra delle valute e la guerra dei tassi scombussolano tutto. In questo quadro che fare? Siamo andati a sentire molte voci dell’industria finanziaria per tracciare ipotesi di evoluzioni future. Ci sia consentito solo di iniziare con una tabella riferita ad alcuni yield di decennali dei Paesi emergenti, unico ambito in cui c’è ancora polpa nell’obbligazionario.
Brasile |
7,1% |
Messico |
7,2% |
Russia |
7,3% |
Sud Africa |
8,4% |
Turchia |
14,6% |
Naturalmente ciò comporta rischi di cambio e di volatilità. Si possono gestire ma il tutto richiede una competenza specifica. Meglio astenersi da parte di chi non l’ha.
► L’anonimo: “Io compro bond turchi e masi in montagna”
Iniziamo da un gestore svizzero, che chiede l’anonimato. Afferma: “Non possiamo dirlo ma questa è una vera guerra per il dominio del mondo fra un fanatico nazionalista come Trump e dei figli del comunismo come i cinesi. Il consiglio di investimento in una fase così folle è di puntare strutturalmente sui real asset. Il mio patrimonio (ed è per questo che chiedo che non sia citato il nome) si sta impostando a favore di bond turchi – per il rendimento – e di piccoli masi con un po’ di terra in montagna, dove i prezzi da anni salgono per la mancanza di offerta. Poi oro e argento e qualche puntata sull’azionario tecnologico. Naturalmente nel mio lavoro consiglio invece di acquistare fondi, perché sono loro a darmi da vivere. Non posso fare diversamente. Forse non dovrei ammetterlo ma ho venduto tutti i titoli di Stato elvetici che avevo in portafoglio. Che senso ha detenere un decennale al -0,92% e un trentennale al -0,40%?”.
Uno sfogo? Certamente. Sentiamo adesso cosa consigliano invece protagonisti con nome e cognome dell’industria finanziaria.
► Axa: in Italia ci hanno favorito queste azioni e sfavorito queste altre
Non è naturalmente un consiglio operativo ma l’opinione di Gilles Guibout, gestore del fondo Pir Axa WF Framlington Italy sul momento attuale è molto chiaro: “Le aspettative degli investitori per politiche monetarie più accomodanti hanno contribuito a una sovraperformance dei settori difensivi rispetto a quelli ciclici nell’ambito azionario. In questo contesto, il Ftse Italia All Share è salito di quasi un punto percentuale a luglio (+0,96%). Inevitabilmente, a causa dei tassi bassi, i titoli finanziari sono rimasti sotto pressione. Quello che ha maggiormente pesato in negativo sulla performance del nostro fondo è stato FinecoBank, visto anche il collocamento sul mercato delle rimanenti quote detenute da Unicredit, che ha venduto prima del previsto il resto della sua partecipazione, condizionando il prezzo delle azioni. I titoli a contribuzione positiva sull’andamento del fondo sono stati Recordati, Amplifon e Stm, mentre i maggiori ribassi sono arrivati da FinecoBank, Interpump e Banca BPM. Inwit ha messo a segno una buona performance. La società ha pubblicato ottimi risultati e dovrebbe beneficiare della fusione con le attività delle torri Vodafone in Italia. A luglio abbiamo alleggerito Ferrari ed Enel, i cui potenziali ci sembrano limitati nel breve termine”.
► Pronti a un mega sconvolgimento?
Sean Keyes è un analista di Exponential Investor: sostiene che stiamo per entrare in una fase di svolta come quella accaduta nel 1980 ma in direzione opposta. Analizzando il Cape (acronimo di Cyclically Adjusted Price Earnings), un cui alto valore indica bassi ritorni attesi e viceversa uno modesto produce in genere rendimenti sopra la media nel lungo termine, si nota che attualmente si attesta sui 29,5, il più elevato di sempre dopo il top del 2000 a quasi 45, complice allora il boom di Internet. Nel 1980 quando è iniziata la fase espansionistica delle Borse si situava a 8. Il suo valore minino fu di 4,7 nel 1920 e la media storica si colloca a 15,7. In altre parole Wall Street è terribilmente cara e c’è da prepararsi al più grande sconvolgimento degli ultimi quarant’anni.
► Ogni correzione dell’oro è un’opportunità di acquisto
Una recente ricerca di Indipendent Strategy, ripresa da Arca Fondi, affronta un tema interessante nell’attuale fase di corsa dell’oro. Vi si legge infatti che “investire nell’aurifero può essere visto come il lato lungo di un trade sulle valute. Non è un caso se stanno aumentando le allocazioni ad ampio termine temporale, sebbene puntare sul “gold” abbia sempre sollevato forte scetticismo, considerando i costi di detenzione fisica. Questo svantaggio storico ora è stato eliminato e così, dopo la corsa ancora in atto, ogni correzione del metallo giallo può essere presa come una "buy opportunity".
► Non vediamo una recessione…
Luke Richdale di J.P. Morgan AM osserva che “la guerra dei dazi ha determinato un rallentamento dell’economia asiatica ma che la crescita rispetto ai Paesi occidentali resta ben impostata e comunque maggiore. Noi comunque non prevediamo una recessione a breve termine, perché le Banche centrali hanno ancora grandi margini di manovra, Ciò vale soprattutto nel caso della Cina”.
► Dove investire? Nelle società tecnologiche dell’hardware
William de Gale di BlueBox Asset Management è uno specialista di azioni tecnologiche, tema su cui approfondisce la sua visione: “Quando si pensa a questo settore, si ragiona in termini di Gafa (Google, Apple, Facebook, Amazon) o di Faang (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google) ma conviene invece guardare ai produttori di componenti di supporto indispensabili per il funzionamento dei giganti del tech, ovvero hardware, semiconduttori ed equipaggiamenti delle telecomunicazioni. Qualche nome? Lam Research, Taiwan Semiconductor e Adobe. Poi ci piace Microsoft, poco esposta alla guerra commerciale fra Usa e Cina, ma attiva anche in un tipo di business più stabile”.
► Cinque idee per raddoppiare il capitale
Forse è questa la proposta che interessa di più! La lancia Emmanuel Ferry della svizzera Banque Pâris Bertrand e noi inevitabilmente la sintetizziamo. E’ composta da cinque diverse ipotesi destinate a garantire forti upside nei prossimi anni.
1°) I mercati azionari emergenti con una visione “value investing”, riferita cioè all’investimento su titoli che garantiscono buoni dividendi anche in fasi di recessione. Attualmente il loro P/e rapportato al ciclo economico si colloca a 7 contro per esempio i 31 delle Borse americane.
2°) Un po’ banale ma riconfermato: è l’oro, che in presenza di tassi negativi per grande parte dei governativi di tutto il mondo garantisce rendimenti nominali impliciti. In realtà il gestore propone di abbinare l’investimento diretto sul metallo prezioso vendendo contemporaneamente delle opzioni sullo stesso.
3°) Shortare le società Usa cosiddette zombie, cioè ad alto tasso di indebitamento. Il relativo valore ha raggiunto il 47% del Pil Usa e quando si concretizzano tali soglie è inevitabile che scattino dei default, come sempre accaduto in passato.
4°) Puntare sul platino. La sua quotazione è di molto sotto i massimi del 2008, mentre il ciclo di riduzione delle capacità produttive è quasi terminato. Da notare inoltre che ben il 70% del relativo potenziale si concentra in Sud Africa.
5°) Le valute emergenti ad alto rendimento. In particolare si ipotizza un paniere relativo a Brasile, Messico, India, Indonesia e Sud Africa, i cui yield obbligazionari si aggirano su circa il 7%.
Lo stesso gestore ammette che realizzare una lista di potenziali “upside” è più facile che individuare i corretti livelli di entrata. Comunque un’impronta operativa è stata individuata.
►Per l’azionario possibili moderati progressi
Ubs nel suo mensile focus sui mercati sostiene – in relazione all’azionario – che “l’allentamento monetario preventivo negli Stati Uniti è favorevole al settore che, in presenza di tassi d’interesse contenuti, appare più conveniente delle obbligazioni su base valutativa. Ci aspettiamo ancora una stabilizzazione della crescita mondiale nel 2019 ma i rischi legati ai rapporti commerciali tra Stati Uniti e Cina rimangono elevati. Nell’ipotesi che i nostri scenari di rischio non si realizzino, le azioni potrebbero compiere moderati progressi. Monitoriamo attentamente la stagione degli utili in corso per cogliere eventuali rischi di ulteriore deterioramento delle prospettive reddituali delle aziende. Deteniamo un sovrappeso sulle azioni giapponesi e statunitensi rispetto a quelle dell’Eurozona. Entrambe le aree geografiche presentano un’elevata esposizione al ciclo globale, ma le quotazioni della zona euro scontano già una ripresa macroeconomica e quelle giapponesi no. Le azioni dell’area dell’euro appaiono costose rispetto alle nipponiche. Inoltre, preferiamo le americane in confronto a quelle dell’eurozona, poiché dovrebbero registrare crescite degli utili superiori nel 2019 e 2020. Riteniamo infine che la Fed abbia più armi della Bce per combattere il rallentamento della crescita nell’eventualità di una nuova escalation delle tensioni commerciali”.
► Volatilità? Sarà per un certo tempo una costante
Esty Dwek di Natixis, uno dei maggiori gestori patrimoniali del mondo, interviene su un altro aspetto. Sostiene: “La volatilità, riaccesasi nell’ultima settimana, presumibilmente non svanirà nel breve termine, con margini per successive correzioni dei mercati. Certamente le cose potrebbero cambiare in peggio nel caso di aggiuntive escalation nella guerra commerciale e se la situazione economica e politica a livello globale dovesse deteriorarsi ancor più. D’altro canto le aspettative sui profitti aziendali sono già ridotte ai minimi e incorporate nelle quotazioni, mentre la Fed – in combinazione con le altre banche centrali – continuerà probabilmente a sostenere i mercati: per tutte queste ragioni l’andamento dell’azionario potrebbe risultare tutt’altro che regolare”.
► Rendimenti da dividendi, attenti a non cadere in trappola!
Terminiamo con Florence Chernyak-Bosson di CA Indosuez Wealth Management, che segnala come in Europa il dividendo rappresenti il 70% del rendimento totale nel settore azionario contro il 30% costituito da buyback. Alla fine del 2018 lo Stoxx Europe 600 assicurava un 3,5% di “dividend yield” contro l’1,4% da riacquisti. Ora però occorre fare attenzione a tre fattori. Il primo consiste nel non essere troppo attratti dalla componente dividendo in crescita, poiché può dipendere soprattutto da un calo delle quotazioni. Ciò impone di non concentrarsi sul “d.y” ma sul trend dei prezzi. Il secondo sta nell’evitare la cosiddetta “value trap”, ovvero di puntare su società a elevato rendimento ma attive in settori in perdita di velocità. Il terzo riguarda la forte crescita di titoli europei riferiti a gruppi con forti indebitamenti, cioè superiori a 2x. Infine Florence Chernyak-Bosson mette in guardia dal fatto che l’11% dell’azionario europeo ha registrato nell’ultimo anno una diminuzione nella distribuzione di profitti.
In sintesi – Come sempre accade il confronto è talvolta contradditorio ma serve proprio per questo. Le valutazioni complessive sono meno pessimistiche di quanto stiano forse scontando i mercati. Certamente l’acquisto esagerato di governativi di tutto il mondo si è trasformato in un’esasperazione paranoica. Attenzione, perché si potrebbero registrare improvvise prese di profitti, semplicemente agghiaccianti.