Colgo l’occasione, quella che fa l’uomo trader e non ladro, per rispondere ad alcuni amici e conoscenti che di tanto in tanto pongono degli interrogativi semplici e azzeccati, al limite quasi dello scontato, ma che poi, come tutte le cose della vita, sono quegli interrogativi attraverso ai quali si sviluppano domande e concetti abbastanza basilari nella vita: ma io, di solito, le cose, le faccio perché ci credo o le faccio perché le fanno gli altri?
Ed è qui che casca l’asino, anzi, è qui che casca la domanda che mi è stata posta sui webinar: servono davvero o sono solo tempo perso?
Dato per scontato, che avere il grande piacere di poter ascoltare il prossimo con attenzione e rispetto sia una prerogativa di uno sparuto numero di individui, e che tra il non ascoltare un insegnamento ed ascoltarlo per vie traverse vince quest’ultima situazione sempre e ovunque, avrei da chiarire un paio di idee personali, attraverso le quali passa poi la risposta al quesito di base.
Innanzitutto non bisogna mai prendere in considerazione il webinar come sacro luogo di verità, bensì come il mezzo attraverso al quale, un’idea, un pensiero, una esperienza lavorativa o di vita viene condivisa con un enorme numero di esseri umani, essendo la portata di tale strumento, priva di un confine geografico reale. Pertanto, nello stesso istante, chi vive a Berlino, a Londra, a Boston o ad Isola di capo Rizzuto, è in grado di poter apprendere le stesse nozioni, idee o notizie, nonostante fusi orari differenti e variegati.
Piuttosto, si potrebbe evidenziare che, probabilmente, ad un abitante di Berlino, a meno che non sia un emigrato del Belpaese, del villaggio naturista sulla costa calabrese e delle sue vicissitudini o della difficoltà di produrre nduja di un certo livello visto il raccolto stagionale di peperoncino, possa interessare una benemerita fava, mentre, viceversa, ad un abitante della cittadina calabrese, probabilmente, degli eventuali problemi di lubrificazione della porta di Brandeburgo, per il principio di reciprocità, non può che interessare lo stesso tipo di vegetale…
Qui casca di nuovo l’asino. E che botta!
Difatti il vero meaning del discorso verte sempre sul “cosa si dica” nel webinar stesso, e non sul come lo si dica, e tutto ciò sotto il profilo prettamente tecnico.
Il moltiplicarsi dell’uso di questa tipologia di mezzi di comunicazione, ha portato in alcuni casi ad incentrare l’attenzione su tematiche di blando interesse o, per contro, su tematiche di livello troppo elevato, motivo per il quale, non sempre, lo strumento webinar ha colto nel segno.
Ciò accade quando il parco utenti è molto disparato e disomogeneo, non per volontà di chi crea l’evento ma per l’effettiva presenza di una utenza molto differente, aggregata da un sistema e non da una mente pensante.
A mio parere il webinar ha un senso solo quando riesce a creare delle motivazioni e serve da “aperitivo” per un evento, nel quale, poi, l’effettiva presenza umana possa concretizzare domande e risposte puntuali e,soprattutto, a vista. Il resto ha poca valenza in quanto, un cattivo segnale, una interruzione di trasmissione
o un banale black out elettrico, potrebbe portare alla interruzione dello speech, con relativa caduta del filo che lega un argomento al proprio cervello.
E quando si perde il filo, se il Teseo di turno non porge il proprio aiuto, nemmeno se fossimo tutti Arianna potremmo avere scampo.
Dove ero rimasto? Boh, ho perso il filo… ma voi mi raccomando… non perdiate il webinar!!!
Quale? Non era questa mica la domanda…Meditate gente, mediate.
A bientôt
Giuseppe Minnicelli