Borse stordite dall’incertezza. E’ possibile capire qualcosa? Ci proviamo con un’analisi di vari “ingredienti” che contribuiscono almeno a definire un quadro più preciso della situazione.
Cedole & dividendi
Il report della domenica è “free”: Quelli degli altri giorni disponibili solo per gli abbonati.
Visioni sospese, che tendono però a non esasperare i toni, in presenza di un’incertezza che si diffonde: è quanto si evidenzia dalle parole dei guru delle Borse mondiali. I numeri macroeconomici delle ultime settimane sono stati certamente negativi e il quadro europeo peggiora. Questa un’analisi di mercati, numeri, scenari e opinioni utili a interpretare la situazione.
► Il test della media mobile a 200 sedute
Iniziamo dai mercati e dal responso assodato dell’indicatore tecnico più inconfutabile e utilizzato, ovvero la media mobile a 200 sedute (i riferimenti riguardano il posizionamento dei vari indici alla chiusura di venerdì).
S&P 500 |
Sotto (-1,3%) |
Lo slancio delle prime settimane dell’anno si è fermato proprio sulla 200, sfiorata martedì e mercoledì |
Nasdaq |
Sotto (-1,9%) |
Identica situazione con trend quasi equivalenti a quelli dell’S&P 500 |
Dax |
Sotto (-8,9%) |
Qui il gap si allarga e si avvicina al 10%, considerato decisivo per identificare un Super Orso |
EuroStoxx 50 |
Sotto (-5,4%) |
Vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno? Dal 2 gennaio 16 sedute in verde e 11 in rosso, ma le prime presentano candele ben più corpose |
Ftse Mib |
Sotto (-6,5%) |
Il quadro è meno pessimistico di quanto si dice; tuttavia la media a 200 è inclinata al ribasso ormai da tempo e non sembra volersi appiattire |
In sintesi – E’ l’Europa la grande ammalata e in Europa la Germania soffre di più, con uno spread inverso sull’Italia in confronto a quanto avviene in ambito obbligazionario.
► Il verdetto dei numeri macroeconomici
Il vero problema viene da questo fronte. Dei tantissimi parametri disponibili abbiamo selezionato quelli più significativi.
Unione europea |
Tagliate nettamente al ribasso (-0,6%) le prospettive per il Pil dell'Eurozona nel 2019, con un +1,3% rispetto all'1,9% indicato nelle previsioni dello scorso autunno |
Germania e Olanda |
La crescita del Pil tedesco viene vista in calo all'1,1% dall'1,8% precedente, mentre quella olandese all'1,7% dal 2,4%, con un taglio per entrambi i Paesi dello 0,7% |
Italia |
Si contrae allo 0,2 per cento la stima di crescita del Pil per il 2019. È quanto emerge dalle previsioni della Commissione europea, contro la stima a novembre dell’1,2 per cento. E saremo l’ultimo Paese nell'Ue per crescita sia nel 2019 sia nel 2020 |
Usa |
Un po’ di debolezza (+3,4% contro +4,2% del trimestre precedente) ma era scontata, viste le tensioni internazionali |
Cina |
L'economia di Pechino ha frenato nel quarto trimestre 2018, in parte a causa dello scontro commerciale con gli Usa, segnando una crescita congiunturale dell'1,5%. Nell'intero 2018, secondo i dati dell'Ufficio nazionale di statistica, il Pil si è attestato a +6,6%, contro il +6,8% del 2017 e il +6,7% del 2017. Ma c’è chi pensa che la realtà sia ben più sfavorevole |
Us Citigroup Economic Surprise Index |
Torna positivo (dato comunicato l’8/2/2019), il che significa che i dati macro negli Usa hanno battuto il consensus degli operatori economici |
Economic Policy Uncertainty Index |
A fine 2018 questo indicatore, che misura l'incertezza della politica economica a livello mondiale, è salito a 304 punti, il livello più alto dal 1996, quando è stato creato |
Baltic Dry Index |
L’indice dell'andamento dei costi nel trasporto marittimo e dei noli riferiti alle principali categorie di navi dry bulk cargo sta letteralmente crollando verso i minimi storici (venerdì a 610 $, con un -3% in una sola seduta) |
S&P 500 Vix (volatilità) |
E’ in un trend discendente da settimane e torna ampiamente sotto il livello di guardia dei 20 |
5Year 5-Year Forward Inflation Expectation Rate |
L’indice relativo alle aspettative di inflazione negli Usa è sì calato ma resta su quota 2%, allontanando il rischio di un crollo dell’aumento del costo della vita |
Indice Pmi zona euro |
Dai massimi a 60 di inizio 2018 è sceso a 50,5: la contrazione è forte ma con un movimento progressivo |
In sintesi – Il quadro generale non è certamente esaltante e anche qui è l’Europa a preoccupare, sebbene la Cina sia pure in frenata, forse più di quanto i numeri ufficiali affermino.
► Gli scenari possibili nella visione dei commentatori finanziari
Due le ipotesi:
La crescita mondiale è finita |
Gli effetti sarebbero devastanti per le Borse, anche perché gli utili societari svolterebbero al ribasso |
La pausa della crescita è solo momentanea |
Possibile rimbalzo dei mercati nella seconda parte dell’anno |
In questo contesto è l’Europa, come già si nota da mesi, a essere messa sotto osservazione, con visuali per le Borse in parte correlate anche all’esito delle elezioni di maggio. Si possono così immaginare quattro possibilità in ordine di maggiori opinioni favorevoli:
Netto rialzo nella seconda parte dell’anno |
E’ la probabilità che raccoglie maggiori adesioni sul mercato, sebbene si limiti a un 30-40% di consensi |
Tendenza ribassista prolungata |
Piace a circa un 30% degli operatori, che credono in un’economia stanca ancora per molti mesi e addirittura in un’inversione di politica monetaria da parte della Fed |
Rialzo ma contenuto nella seconda parte dell’anno |
Di fatto si tratterebbe di quello che si può definire un “trading range” minimamente rialzista: lo condivide il 25% degli analisti |
Crollo dopo le elezioni europee o in presenza di non accordo sulla Brexit oppure di rottura fra Cina e Usa |
Dal 5% al 15% dei pareri teme che il quadro peggiorerà nettamente nei prossimi mesi, complici i troppi fattori di crisi irrisolti/irrisolvibili sullo scenario internazionale. E’ l’Europa a fare maggiore paura |
In sintesi – L’incertezza continuerà a essere regina almeno fino alle elezioni europee, ma – come accaduto per le presidenziali Usa e per la Brexit – un eventuale esito imprevisto potrebbe non essere un fattore decelerativo per le Borse, perché in parte le correzioni in corso scontano già un parziale successo dei nazionalisti in Italia, Francia, Spagna e alcuni Paesi dell’est. Il vero problema è economico ma forse si sta esagerando nella sua valutazione, sebbene non vada minimizzato.
E infine le opinioni delle big del risparmio gestito
Da ultimo un po’ di pareri dell’industria finanziaria.
Per JP Morgan “i mercati azionari europei, a dispetto del peso che in essi occupano beni strumentali e settore auto, hanno sottoperformato rispetto a quello mondiale a gennaio, in parte a causa dell'indebolimento delle varie statistiche nazionali di crescita. Mentre i mercati rimbalzavano, le stime sulla crescita dei profitti societari europei sono state riviste al ribasso tanto per il 2018 che per il 2019. E così dopo questa riduzione, la previsione di progresso del 9% degli utili per azione relativamente all’Eurostoxx 50 non pare raggiungibile”.
Per Goldman Sachs “la preferenza va ora ai mercati emergenti rispetto agli sviluppati, poiché la crescita dei primi è in ripresa dopo l’inatteso rallentamento dello scorso anno e le valutazioni restano interessanti in confronto ai secondi”. C’è dell’altro? Due opzioni prese in considerazione sono anche il Giappone, dove si stanno attuando interessanti riforme strutturali, e l’azionario “small cap” Usa, poiché meno esposto a eventuali inasprimenti delle guerre commerciali.
Per Pictet “sebbene il 2019 sia condizionato dall’amarezza del passato, mai più di oggi serve avere un atteggiamento positivo e ottimista per il futuro. Le delusioni del 2018 devono infatti servire da insegnamento per irrobustire la struttura del portafoglio. Le tradizionali asset class difensive possono non bastare e avere comportamenti erratici, dovuti per larga parte alle straordinarie misure di politica monetaria e fiscale delle banche centrali negli anni passati. Trovare strumenti finanziari difensivi alternativi all’obbligazionario tradizionale risulta ancora essere la priorità per i portafogli. La normalizzazione delle politiche monetarie impone un livello di rischio più elevato nei portafogli degli investitori italiani, da sempre amanti del debito pubblico domestico e degli attivi obbligazionari. Per questa ragione è fondamentale una maggiore disponibilità a tollerare i possibili scossoni che le incognite di natura macroeconomica e geopolitica potrebbero portare nei prossimi mesi. La ricerca di rendimento passa dunque attraverso l’assunzione di rischio e l’allungamento dell’orizzonte di investimento, sopportando le possibili fiammate di volatilità, tornata prepotentemente alla ribalta”.
Per Ubs “occorre guardare oltre il rumore di breve termine (decelerazione non significa recessione) e rimanere investiti. In genere, vendere nelle fasi di elevata illiquidità e volatilità non è una buona idea. Gli investimenti sostenibili possono aiutare a promuovere una visione di lungo periodo, poiché permettono di concentrarsi su criteri diversi dalla performance finanziaria a breve termine, senza però danneggiare i rendimenti del portafoglio. A dicembre e a gennaio le azioni sostenibili (espresse dall’indice MSCI KLD 400 Social) hanno perso lo 0,7%, contro la flessione dell’1,7% dell’S&P 500. Poi occorre diversificare. Il quarto trimestre del 2018 ha insegnato che anche le asset class più brillanti, come le azioni statunitensi, non sono immuni dai ribassi. Infine occorre operare con selettività. Ad esempio la dispersione delle valutazioni ai massimi da diversi anni dovrebbe generare opportunità di selezione dei titoli”. In termini più concreti attenzione al cash, che ormai rappresenta un problema, mentre gli asset visti meglio sono: 1°) azionario globale (riferito alle 1200 corporate con attività a livello mondiale); 2°) azionario emergente; 3°) mega trend; 4°) posizioni anticicliche rispetto alla volatilità, soprattutto con alcune valute forti.
In sintesi – L’ esitazione è sovrana ed emerge anche dalle parole di alcuni dei leader del gestito, una selezione fra le tante dette nelle ultime settimane. L’esperienza dimostra che quando le indicazioni sono vaghe i mercati prendono poi degli indirizzi imprevisti. Perché ciò avvenga saranno però necessari almeno alcuni mesi, dato l’approssimarsi di appuntamenti politico/economici decisivi in un senso o nell’altro.