Pare che le Banche Centrali asiatiche stiano accumulano oro in grande quantità da tempo a questa parte e, secondo le stime del World Gold Council, oltre l’80% della massa di acquisti è giunta da parte di Russia, Turchia e Cina. Perché assistiamo a grandi acquisti di oro in Asia?
Intanto partiamo dal fatto che l’oro non sta stornando più di tanto nonostante il buon momento delle Borse e nonostante la finestra statisticamente favorevole sia passata. Con le Borse in piena ripresa, le quotazioni dell’oro continuano a sostare un po’ sotto i 1.500 USD/oncia dollari, in arretramento rispetto ai massimi di settembre ma non troppo lontane. Segno che qualche grosso investitore sta accumulando e certamente si tratta di un soggetto istituzionale.
Negli anni passati si era assistito alla dismissione delle riserve auree da parte si molti Paesi, ora invece pare che le Banche Centrali siano tornate a comprare oro, ma non tutte. Dalla fine degli anni Ottanta le Banche Centrali sono state venditrici nette di 400 tonnellate di oro all’anno, mentre oggi risulterebbero acquisti netti per oltre 600 tonnellate all’anno. La cosa singolare però è che il grosso del flusso di acquisti arriva solo da tre Banche Centrali asiatiche: Russia, Turchia e Cina. Stando ai dati diffusi dal World Gold Council, nel terzo trimestre risultano aver acquistato un totale di oltre 128 tonnellate sul totale di 156 di tutte le Banche Centrali, di fatto l’82%.
Perché questa nuova Gold Rush nello specifico in questi tre Paesi? Le possibili ragioni di questa apparentemente bizzarra situazione hanno, da un lato, origine storica, e dall’altro invece sono calate pesantemente nell’attualità delle mai davvero sopite “guerre” commerciali. Com’è noto, da sempre, per le Banche Centrali l’oro funge da garanzia essendo percepito sui mercati come bene rifugio per i casi di tensione.
L’ipotesi che abbiamo letto su alcuna stampa specializzata in merito al fatto che siano Russia, Turchia e Cina a fare la parte del leone è quella secondo cui questi Paesi hanno esigenza di mostrarsi quanto più solidi possibile sul piano finanziario, al fine di preparare le condizioni di base per sganciarsi dalla dipendenza verso il dollaro USA, cioè in modo da garantire autonomamente le rispettive monete nazionali facendo venir meno la necessità di detenere quantità elevate di valuta americana a riserva.
Ragionandoci a fondo ha senso, e questo – soprattutto in questo momento storico – vale in modo particolare per la Cina e il suo Yuan, che Pechino punta a internazionalizzare e a rendere un riferimento per gli scambi in Asia. Progetto molto ambizioso e certamente sottilmente legato alle scaramucce sui dazi con gli USA che ormai sono un siparietto costante sui mercati finanziari. La Cina sta quindi lavorando sodo in termini di accumulare oro posto che ad oggi ne possiede appena un 20% di quanto ne abbia invece la FED.
Poi, vero è che la Cina può in tutta tranquillità proseguire a rimpinguare le sue riserve auree, grazie ai consistenti surplus commerciali. La Russia, ad esempio dal canto suo, accede invece ai dollari per aumentare le sue riserve di oro, naturalmente attraverso le esportazioni di petrolio. Progetto invece un po’ più complicato per la Turchia, posto che la sua economia è cronicamente affetta da deficit sia commerciali sia correnti, solo in lieve miglioramento dopo la maxi-stretta monetaria dello scorso anno.
Ci sta quindi che questi tre Paesi stiano puntando a casse di oro pingui, ed è anche questa nuova Gold Rush in salsa asiatica a tenere in alto le quotazioni del metallo giallo, in un contesto di mercati apparentemente non favorevole visto il buon momento dell’azionario e le prospettive macro migliori delle previsioni di molti analisti.
Tornando al nostro portafoglio, prosegue il consolidamento nei pressi dell’ultimo massimo storico, con un lieve rialzo rispetto alla settimana scorsa. Il nostro NAV infatti vale oggi, ai prezzi correnti di mercato, 117,54 contro i 117,45 della scorsa settimana. Il progresso ad oggi incassato è quindi ben saldo ed è sempre sopra il 6,00% da inizio anno e sempre ben piantato in area 8% dai minimi di novembre 2018. La performance cumulata si mantiene stabile sempre molto vicina al 9%, considerando che a febbraio del 2016 il NAV iniziale del portafoglio valeva 107,99 e che contro i 117,54 attuali porta ad un risultato complessivo dell’8,84%.
Portafoglio come di consueto aggiornato nell’apposita sezione.