Scarsa attenzione al rialzo dei prezzi in Europa e in Italia. Gli “inflation linked” sono una risposta? Solo a certe condizioni e per questo ecco quattro emissioni che possono soddisfarle.
Cedole & dividendi
Gli ultimi dati disponibili sull’inflazione dimostrano che la situazione in Europa è molto più delicata di quanto non si dica. I poteri forti (con la Bce in primo piano) vogliono infatti tenerla il più possibile dissimulata per un semplice motivo: a loro convengono i tassi di interesse a zero o molto bassi, grazie ai quali riescono a governare il debito (a leva!) del sistema economico. Nell’area Ue l’inflazione armonizzata Hicp su base annua risulta attestarsi all’1,96%, mentre in Italia è già salita all’1,29%. Numeri consistenti rispetto al recente passato, che impattano sui piccoli e grandi patrimoni. Bisogna quindi agire ma come?
Lo strumento più classico è quello dei bond “inflation linked”, quasi solo governativi e molto utili per qualsiasi tipo di gestione, dalla più conservativa alla più aggressiva.
Gli inflation mediamente costano però cari, soprattutto in presenza di una politica monetaria espansiva, cioè con zero tassi di interesse, come avviene oggi.
Per valutare se convengono oppure no occorre valutare la cosiddetta break-even inflation rate, che consiste nella differenza tra rendimento dell’obbligazione a tasso nominale e ritorno reale dei bond linked. Se l’inflazione, durante il periodo di vita dell’obbligazione, è mediamente superiore al tasso di break-even, la performance dell’inflation-linked sarà a sua volta superiore a quella degli equivalenti titoli a tasso fisso. Per contro, con una media sotto il break-even, i rendimenti di questi ultimi saranno superiori di quelli dei linker.
Spiegata questa sempre decisiva valutazione di convenienza o meno, è opportuno ricordare che i maggiori rischi cui sono soggetti gli “inflation linked” risultano soprattutto due: 1°) rischio di credito, quindi di solidità dell’emittente; 2°) rischio tassi, poiché essendo dei quasi ibridi fra tassi fissi e tassi variabili (la cedola fissa infatti aumenta lentamente di importo in quanto rapportata a un capitale che si gonfia nel tempo di inflazione), variazioni della politica monetaria incidono sulle quotazioni. Mentre il rischio di credito non può essere gestito, quello tassi sì, ma con molto vincoli. L’opzione migliore? Acquistare sotto il prezzo di emissione e portare l’obbligazione a scadenza.
Per questo motivo abbiamo costruito un portafoglio di “inflation linked” con quotazioni attuali più vicine possibile alla parità. A scadenza essi saranno rimborsati con il capitale aumentato in base al cosiddetto fattore correttivo, che di fatto è l’indicizzazione all’inflazione, salvo per il Btp Italia, il quale riconosce semestralmente l’incremento del costo della vita, caso unico nel contesto di questa categoria di bond.
Decisive allora alcune opzioni:
1°) acquistare a prezzi più vicini possibile rispetto a quelli di emissione, che talvolta sono superiori a 100 per motivi complessi;
2°) cercare titoli con vite residue non troppo lunghe, da portare a scadenza;
3°) puntare su bond emessi da poco tempo, per non “acquistare” vecchia inflazione (che si paga), sebbene poi rimborsata al momento della vendita o del rimborso. Ciò vale naturalmente per gli “inflation” tradizionali e non per il Btp Italia, esente da questo problema.
Basandoci su tali presupporti abbiamo costruito un portafoglio in cui:
● il rischio Italia viene compensato da due obbligazioni, una tedesca e una francese;
● la durata residua è mediamente bassa per degli “inflation linked”;
● il prezzo mediato di acquisto dei quattro bond – due italiani e due stranieri – risulta inferiore a 100, considerando che l’Oati francese è comunque trattato sotto quello di emissione;
● le date di esordio sui mercati non sono troppo distanti.
In questo modo si soddisfano i requisiti prima esposti.
Si parte dal più banale degli inflation
Emittente |
Italia (BBB) |
Denominazione |
Btp Italia |
Valuta |
Euro |
Struttura |
A inflazione anticipata |
Cedola in corso |
0,55% + inflazione Italia |
Scadenza |
21/5/2026 |
Isin |
IT0005332835 |
Taglio |
1.000 euro |
Prezzo |
93,3 euro |
Liquidità |
Elevata |
Quotazione |
Mot |
Si prosegue con il più tradizionale degli inflation Ue
Emittente |
Italia (BBB) |
Denominazione |
Btp€i |
Valuta |
Euro |
Struttura |
A inflazione prorogata |
Cedola |
0,1% + inflazione Ue |
Scadenza |
15/5/2023 (emesso 2018) |
Isin |
IT0005329344 |
Taglio |
1.000 euro |
Prezzo |
95 euro |
Liquidità |
Media |
Quotazione |
Mot |
Prezzo emissione 102,76 euro
Poi il francese, che va in pareggio
Emittente |
Francia (AA) |
Denominazione |
Oat€i |
Valuta |
Euro |
Struttura |
A inflazione prorogata |
Cedola |
0,1% + inflazione Ue |
Scadenza |
1/3/2021 (emesso 2016) |
Isin |
FR0013140035 |
Taglio |
1.000 euro |
Prezzo |
104,3 euro |
Liquidità |
Media |
Quotazione |
Tlx |
Prezzo emissione 104,8 euro
Infine il tedesco, che è il più caro
Emittente |
Germania (AAA) |
Denominazione |
Bund€i |
Valuta |
Euro |
Struttura |
A inflazione prorogata |
Cedola |
0,1% + inflazione Ue |
Scadenza |
15/4/2023 (emesso 2012) |
Isin |
DE0001030542 |
Taglio |
1.000 euro |
Prezzo |
107,4 euro |
Liquidità |
Media |
Quotazione |
Tlx |
Prezzo di emissione 99,48 euro
Attenzione naturalmente nella fase attuale alle quotazioni di Btp Italia e Btp€i: continuano a scendere diventando sempre più interessanti, salvo per chi creda in un default o in una ristrutturazione del debito italiano. Tutto logicamente è possibile ma se così fosse il problema della protezione dall’inflazione diventerebbe uno degli ultimi di cui preoccuparsi. Nel caso si volesse ridurre il rischio Paese da un 50% a un 33% (il che comporterebbe però un aumento del prezzo medio di carico) si potrebbe eliminare il Btp Italia, che ha comunque il vantaggio di essere indicizzato all’inflazione di casa nostra. In finanza – come nella vita ordinaria – tutto è un compromesso! Ciò si evidenzia anche nel caso degli “inflation linked”.