Mercati piuttosto contradditori sulle sue evoluzioni future. E su come contrastarla. L’utilità o meno degli asset maggiormente adatti a tale scopo.
Cedole & dividendi
Il report della domenica è “free”. Quelli degli altri giorni disponibili solo per gli abbonati.
E’ il tema che contrappone in maniera netta le visioni future degli operatori istituzionali. Da una parte c’è chi la dà (per motivi articolati che non stiamo a spiegare) ormai strutturalmente impedita in termini di forti rialzi e chi invece la vede scontata nei prossimi mesi e anni, anche oltre il target delle Banche centrali al 2%. Il confronto appare complesso ma occorre comunque delineare le aspettative dei mercati per il 2018. Sono queste.
Area Ue |
Dall’1,2 all’1,7% |
Usa |
Dal 2,5 al 2,8% |
Worldwide |
Dal 3,2 al 3,8% |
Probabilmente si registrerà una certa variabilità nel corso dei mesi. Occorre comunque agire per proteggere qualunque portafoglio da un rischio primario. Come? La risposta è articolata poiché prevede tanti strumenti diversi fra loro.
Utilità |
Perché |
|
Bond “inflation linked”: Btp Italia |
Elevata ma… |
Attenzione, perché coprono solo sul breve periodo in quanto riconoscono, con lo stacco cedola, l’inflazione accumulata in Italia ogni sei mesi. La funzione quindi di protezione di lungo periodo si minimizza, mentre è perfetto il ruolo di rapido recupero del costo della vita. Nella fase attuale hanno quotazioni un po’ elevate |
Bond “inflation linked”: Btp€i |
Elevata |
Come struttura si adattano bene alla copertura del rischio inflazione di lungo periodo poiché il capitale viene rivalutato in base a quella europea, fra l’altro tendenzialmente più alta rispetto alla nazionale. Sono però cari e vanno visti in un’ottica di anni |
Bond “inflation linked”: Oat€i e Bund€i |
Elevata |
I titoli francesi e tedeschi appaiono ideali per il ruolo cui sono destinati, rapportandolo al basso rischio di credito. Le quotazioni risultano però esageratamente elevate e le cedole base spesso modestissime |
Bond “inflation linked”: Tips |
Media |
I titoli “inflation linked” Usa riconoscono un’inflazione più alta rispetto a quella europea ma c’è la variabile cambio a condizionarne il rendimento. Si adattano di più a chi fa trading, operatività molto redditizia in certe condizioni dei mercati, pur con strumenti il cui ruolo è assolutamente conservativo |
Bond “inflation linked”: emergenti |
Elevata |
Sono una scappatoia per investire su inflazioni nettamente più alte rispetto a quella europea. I relativi titoli sono però trattati solo sui mercati “Otc” ed espressi nelle diverse valute locali. Meglio allora dei fondi specializzati, per esempio a distribuzione e perfino con cedola mensile e ottimi yield |
Etf e fondi “inflation linked” |
Media |
Meglio il gestito del passivo, poiché gli Etf risentono dell’effetto “duration”, che caratterizza comunque tutte le obbligazioni di cui si è appena scritto, le quali sul secondario si comportano in parte come se fossero delle tasso fisso e per di più con rendimenti facciali molto bassi. Fra i fondi è consigliabile puntare su quelli worldwide, meno esposti appunto a una variabile tassi concentrata |
Bond a tasso variabile |
Bassa |
Per svolgere questo ruolo occorre che si verifichi un deciso rialzo dell’inflazione e quindi dei tassi di interesse, il che spesso avviene con tempi distanziati per proteggere dall’inflazione. E’ un’operatività valida solo se si punta a uno scudo di lungo periodo |
Oro |
Bassa |
La correlazione con l’inflazione si è attenuata negli ultimi anni, complici le politiche monetarie delle Banche centrali. La variabile del dollaro si fa poi sentire in alcune condizioni dei mercati. Eppure il suo appeal non tramonta |
Conti deposito |
Molto bassa |
Il ruolo tipico di questo tipo di strumenti è di parcheggio della liquidità, proprio l’opposto di quanto bisogna fare in presenza di un’inflazione che rialza la testa. Inoltre c’è il rischio “bail in” per depositi oltre i 100.000 euro, sebbene recenti interpretazioni della Bce potrebbero estendere la non copertura – in casi specifici – anche per importi minori |
Fondi monetari |
Molto bassa |
Hanno una remunerazione con il segno meno ma restano un asset assai utilizzata dagli investitori istituzionali e dalle aziende |
Polizze assicurative |
Media |
Dipende dalla tipologia di prodotto. Le Ramo 1 stentano ad adeguarsi immediatamente all’inflazione, mentre le Ramo 1/3 sono più veloci, ma tutto dipenda dall’abilità del gestore. Lo scenario è troppo complesso per consentire un giudizio generalizzato |
Azioni ad alto dividendo |
Medio bassa |
Solo alcuni settori traggono vantaggio da un aumento dell’inflazione: per esempio il bancario. La relazione comunque fra aumento del costo della vita, fatturati in crescita, maggiori utili e quindi più dividendi è alquanto tortuosa |
Specifiche strategie di asset management |
Alta |
Alcuni gestori hanno realizzato e propongono sul mercato prodotti specifici – con diversi asset sottostanti – finalizzati a combattere l’inflazione in crescita: per ora sono poco conosciuti ma potenzialmente hanno buone capacità di una risposta efficace |
In sintesi: la protezione dall’inflazione non è semplice e richiede vari strumenti con coperture temporali in parte disassate. I bond “inflation linked” sono ancora i più utilizzati pur con alcuni limiti. Nei prossimi giorni proporremo (nell’ambito del servizio a pagamento) un’analisi approfondita di alcuni di essi. Allo scopo di ipotizzare un mini portafoglio adeguato a quello che resta l’obiettivo principale di ogni investitore.