Immaginiamo di esserci qualificati, come nazione, alla finale di un torneo di calcio importantissimo, che ci vede avversari di una formazione chiamata "Resto del Mondo", pertanto finale del torneo, Italia - Resto del Mondo.
Giunge la sera della finale e dopo esserci accomodati al nostro posto, dei gracchianti altoparlanti da stadio, informano il pubblico presente, in merito ad una modifica del regolamento di gioco.
Si giocherà senza cambiare campo per tutta la partita.
Beh fin qui, risulterà un pò strano, ma nessun problema sostanziale.
Sbirciando il campo di gioco, però, ci accorgiamo che il campo è inclinato vistosamente, e chi giocherà alla sinistra della nostra visuale del campo, giocherà in salita.
La scelta del campo non avverrà con il classico lancio della monetina ma con una scelta d'arbitrio, e, indovinate un pò, l'Italia giocherà in salita, quindi difendendo quella porticina in basso, alla vostra sinistra!
E' esattamente quello che sta accadendo al mercato finanziario italiano sin dall'entrata in vigore della legge 228 del 24 dicembre 2012, che regolamenta l'applicazione della Tobin Tax sulle aziende quotate nel listino italiano.
La Tobin tax, si è rivelata sin dall’inizio un flop totale, con un gettito di poche centinaia di milioni fino ad un massimo attualmente conosciuto di 400 milioni di euro, rispetto al miliardo di euro annuo messo a preventivo.
La distorsione più grave, però, a fronte dell’incasso ridicolo, è stata quella di ridurre i volumi scambiati, di aver reso meno competitivo il mercato finanziario italiano e di aver colpito, più i piccoli risparmiatori dei “grandi speculatori”, nonchè di aver azzoppato gli intermediari italiani.
La riduzione degli scambi ha prodotto consequenzialmente, un minor introito da capital gain tanto da far diventare la Tobin Tax , come ampiamente previsto, un imposta a gettito negativo.
Una menzione particolare va fatta di dovere, alla distorsione del meccanismo di formazione dei prezzi.
Quanti più partecipanti ci sono in un mercato, tanto più il prezzo che ne uscirà fuori rappresenterà una quota veritiera e più conforme alla realtà aziendale.
In questo ventennio in cui ho potuto, giornalmente, cibare la mia mente degli scambi che si susseguivano su tutto il listino italiano, solo in pochissime rare eccezioni avevo visto titoli con percentuali di guadagno o di perdita giornaliera che superassero la percentuale del 20%.
Negli ultimi tempi pare diventata una consuetudine che si verifica settimanalmente.
Secondo la mia analisi, ciò accade in grandissima parte a causa del basso numero di attori presenti nel mercato. Capita allora che con poche centinaia di migliaia di euro di controvalore scambiato, un titolo sia scaraventato violentemente al -20%, come di converso, accade col verso positivo, ma più raramente.
Può sembrare una situazione eccitante, ma a mio modo di vedere non lo è affatto, perchè il prezzo non ha più un meccanismo di formazione equilibrato, in cui una pluralità di attori è in possesso delle informazioni corrette e la battaglia nella formazione del prezzo avviene a colpi di acquisti e vendite con uno spread tra bid e ask ragionevolmente stretto.
La distorsione nel meccanismo di formazione dei prezzi è forse il più grande difetto diretto imputabile alla Tobin Tax.
La Francia, altra piazza finanziaria che ha sperimentato la Tobin Tax, ha avuto gli stessi imbarazzanti risultati italiani tanto da ipotizzare di sfilarsi dal gruppo di paesi che ne supportano una estensione europea, aprendo il passo ad una rottamazione della stessa.
In Europa, nel frattempo, con il più ironico "vai avanti tu che a me vien da ridere" si continua a far melina su una applicazione della stessa Tobin Tax estesa a livello europeo, che se non altro, qualora applicata a tutti i paesi membri, appianerebbe le diseguaglianze e ci renderebbe più competitivi.
E non si può di certo dire che non ci fossero già stati esperimenti di “Tobin tax in un solo paese” a suggerire come sarebbe andata a finire.
Vediamo, infatti, cosa accadde in Svezia.
Le entrate furono assolutamente deludenti; gli introiti dall’imposta sui titoli a reddito fisso erano previsti in 1.500 milioni di corone svedesi all’anno. In realtà non ammontarono a più di 80 milioni di corone svedesi in tutti gli anni soggetti ad imposizione, con una media prossima ai 50 milioni di corone. in aggiunta, come sta accadendo in Italia, vi fù una netta diminuzione dei volumi di negoziazione.
Il giorno in cui fù annunciata l’introduzione dell’imposta, i prezzi delle azioni diminuirono del 2,2% e, si verificò un calo del 5,35% dei prezzi nei 30 giorni precedenti l’annuncio. Quando l’imposta fù addirittura raddoppiata, i prezzi diminuirono ulteriormente dell' 1%.
Durante la prima settimana dell’imposta, il volume delle negoziazioni obbligazionarie diminuì dell’85%.
Il volume degli scambi di futures diminuì del 98% e il mercato delle opzioni trading , semplicemente, scomparve.
Certo, il meccanismo della Tobin Tax italiana ha prodotto meno disastri proprio grazie ad una linea più morbida, ma sempre di disastro si può parlare.
Se, poi vogliamo analizzare tutto il contesto, al 2012, l'imposta sul capital gain era fissata nella misura del 12,5%, il mercato era sommerso da ordini di vendita: l'unica cosa che si potesse fare, per aiutare il mercato finanziario e con esso le aziende quotate che già soffrivano per la stretta al credito messa in atto dal settore bancario (Le aziende quotate, infatti, si quotano per reperire fondi dal mercato necessari allo sviluppo aziendale), era quella di mantenere il livello di tassazione, per aumentare o perlomeno mantenere l'appetibilità del nostro mercato nei confronti di quelli esteri.
Sfortunatamente, la scelta del legislatore, anche in quel caso, fù quella di raddoppiare l'imposta.
Conclusioni: Era noto, ma si è voluto ignorarlo, il fatto che la Tobin Tax applicata ad un solo paese, rendesse , la piazza finanziaria che la soffre, meno appetibile. Applicata ad un solo paese, infatti, è come fare una gara di velocità, con la zavorra di una palla al piede, rispetto ai rivali.
E' noto, ma si è voluto ignorarlo, che, uno stimolo in più per un risparmiatore, sia rappresentato, visto il rischio implicito nell'investimento azionario, da una invitante aliquota impositiva.
I nostri rappresentanti politici hanno, quindi, coscientemente scelto di voler colpire i risparmiatori italiani e quei pochi esteri rimasti e le aziende quotate nel nostro caro paese.
D'altronde, dove pensate si diriga la freccia del mouse di un investiotore, al momento della scelta tra un prodotto che paga un'imposta ideologica e sconta una tassazione sul capital gain pari agli altri, e uno che ne è esentato?
Troppo facile la risposta, vero?
(L'autore del presente articolo non è iscritto all'ordine dei giornalisti e potrebbe detenere i titoli oggetto dei suoi articoli)