Europa ad un passo dal baratro?


Non si parla d’altro. Da più parti iniziano a comparire commenti, analisi, illazioni e chi più ne ha più ne metta sul momento critico come non mai per l’Europa e per l’Euro. A ciò aggiungiamo la fremente attesa dei mercati in merito alla decisione della Commissione Europea sulla procedura d’infrazione da comminare all’Italia.

Mercati ovviamente allo sbando e quando anche le pepite iniziano a diventare opache, allora c’è qualcosa che non va. Almeno potenzialmente. Leggiamo in questi giorni su diversi media finanziari di un Draghi che pare pronto a rimangiarsi la fine del QE pur di salvare l’Euro che pare sul punto di implodere sotto l’arroganza e l’ottusità di Francia e Germania.

Molto lucida un’analisi che vado a citare in queste righe, a cura di Giuseppe Timpone. Analisi lucida e al tempo stesso “terribile” che ha il pregio, finalmente, di dire le cose come stanno. Il primo punto su cui Timpone ci porta a riflettere (era ora che qualcuno lo scrivesse…) è la probabilissima apertura di procedura d’infrazione nei nostri confronti per deficit eccessivo.

Tuttavia, osserva Timpone, “il disavanzo fissato dal governo Conte per il 2019 è del 2,4% del PIL, ben al di sotto del limite massimo del 3% consentito dal Patto di stabilità. Se domani sarà questa la risposta di Bruxelles, come da attese, saremmo a una situazione inedita per l’Eurozona: uno stato membro rischia di vedersi comminata una sanzione fino allo 0,2% del PIL [...], senza avere nemmeno infranto il tetto del deficit, pur essendo vero che non abbia adempiuto alle previsioni del Fiscal Compact, ma in questo caso in ottima compagnia, tra cui di stati come Francia e Spagna.

Pertanto, il passo è breve per comprendere come già “dalla presentazione della manovra di bilancio da parte di Roma a Bruxelles, è stato evidente l’atteggiamento pregiudizialmente ostile dei commissari, i quali non possono accettare che venga loro mossa alcuna sfida da parte di un governo euro-scettico e in più alla guida di uno Stato, che da decenni viene considerato un subordinato all’asse franco-tedesco.

Lucidissimo questo passaggio: “Nell’ingaggiare la “guerra” contro i commissari, Paolo Savona, ministro delle Politiche europee e vero ispiratore delle mosse del governo giallo-verde nel confronto muscolare con la UE, aveva messo interamente in conto le conseguenze, tanto da avere avvertito che sarebbe stata molto dura”.

Quasi a dire che fosse tutto calcolato dall’origine. Attenzione, numeri alla mano che non abbiamo verificato ma che prendiamo per buoni, è illuminante questo dato: “Davvero crediamo che gli investitori di tutto il mondo si stiano agitando così tanto per il 2,4% di deficit, quando nel 2017 il governo europeista di Paolo Gentiloni chiuse il bilancio pubblico con un disavanzo al 2,3%? A preoccupare è quasi con ogni evidenza non lo stato dei conti pubblici italiani in sé, quanto quello che si celerebbe dietro alla battaglia sull’innalzamento del target sul deficit, ossia il tentativo forse ormai palese di Roma di creare il clima ideale per rendere il ritorno alla lira una scelta non più detestabile da larga parte dell’elettorato, compreso quello euro-scettico che ha votato il 4 marzo scorso per Lega e 5 Stelle”.

E ancora, lucidissima l’affermazione che l’Euro è a rischio come mai prima d’ora. Certo, perché si badi bene che l’Italia non è la Grecia e se “davvero il piano B di Savona fosse nei fatti quello A” cioè uscita dell’Italia dall’Euro le conseguenze sarebbero irrimediabilmente devastanti per tutta la UE.

Infatti, come ben mette in evidenza Timpone, “Germania e Francia sono consapevoli che a rischio vi sia il loro castello di carta costruito in decenni di monopolizzazione della politica continentale e culminato con la nascita dell’euro. Per questo, faranno di tutto per non consentirci di fare di testa nostra sul deficit, non perché temano realmente l’esplosione del debito pubblico italiano, quanto per l’impossibilità di accettare che un alleato di seconda fascia decida di alzare la testa e di confrontarsi alla pari con loro. Non è questo il ruolo che spetta all’Italia dentro questa UE. L’Euro non sarà mai una costruzione monetaria completa, ossia con la previsione di meccanismi di trasferimento della ricchezza verso le economie più deboli o in difficoltà, perché non è nato con lo scopo di far convergere gli stati membri, semmai questo è stato il racconto propinato alle opinioni pubbliche del Sud Europa come specchietto per le allodole. La moneta unica nasce per impedire che le continue svalutazioni delle monete come la Lira colpissero l’economia tedesca dal marco forte, rendendola meno competitiva, specie dopo la riunificazione, quando la ex Germania Ovest dovette accollarsi i costi della ricostruzione della vecchia DDR.

Ecco, questo è l’Euro e questa è l’Europa, nata solo con lo scopo di depredare i Paesi c.d. periferici ad esclusivo vantaggio di Germania (in primis) e Francia, scaricando sugli altri i debiti “ereditati”. Ecco quindi che il titolo dell’articolo di Timpone “E se il piano (A) del governo Conte fosse davvero l’uscita dell’Italia dall’euro?” merita quanto meno un ragionamento a maggior ragione se consideriamo che (e anche questi sono dati oggettivi e non ipotesi) “i sondaggi dell’Eurobarometro segnalano che gli italiani sarebbero divenuti il popolo meno europeista della UE. Se si votasse oggi per restare nelle istituzioni comunitarie – badate bene, non solo nell’euro – appena il 44% si esprimerebbe certamente a favore, il 22% in meno rispetto alla media continentale. E un altro sondaggio, realizzato da Ixè per Coldiretti, ha trovato che il 60% degli italiani ritiene che l’Italia venga maltrattata dalla UE. Interessante le percentuali di risposte sul sostegno a quest’ultima nel caso di referendum e suddivise per fasce di età: tra gli over 45, voterebbero per restare il 68%; sotto i 45 anni, ben il 51% voterebbe per uscirsene, il doppio del 26% tra i primi. In pratica, i giovani non credono più alla UE e questa sarebbe la molla su cui farebbero leva i due partiti al governo in una prospettiva di lungo periodo”.

La risposta a questo stato di cose la danno “i numeri disastrosi dell’economia: tra i 15 e i 24 anni, uno su tre è disoccupato e solo poco più di uno su dieci lavora, quando in Germania si sfiora l’uno su due. E la proverbiale ricchezza privata delle famiglie, in relazione al PIL praticamente doppia che in Germania, riguarda i loro genitori e nonni, visto che per un under 40 è divenuto quasi impossibile accantonare parte del reddito per risparmiare in favore del futuro. In molti casi, un reddito i più giovani nemmeno lo posseggono e se sì, non è sufficiente nemmeno spesso a coprire le esigenze quotidiane. Colpa dei commissari? Opinabile, perlopiù dovremmo ammettere di no, ma è chiaro a tutti che a Bruxelles non si rendano più conto di quanto grave sia diventato il disagio sociale e generazionale nel Sud Europa e se l’unica risposta che riescono a fornire i commissari è quella di sanzionare un governo che, a tentoni, cerca di soddisfare alcune richieste elementari di sussistenza, la reazione non può che essere quella denotata dai sondaggi e che si capisce benissimo sorseggiando un caffè al bancone di un qualsiasi bar italiano”.

Fanta-economia? Fanta-finanza? Lo scopriremo. Di certo alcune distorsioni sono sotto gli occhi di tutti ed è pacifico che oltre certi limiti vi siano potenziali elementi di rottura senza ritorno. Draghi basterà, da solo, a salvare questo Euro e quest’Europa moribonda? Molto probabilmente questa volta in assenza di sostegno popolare e politico, non basterà più un nuovo “whatever it takes” della BCE. Tutto sta a vedere se a Francoforte abbiano ancora voglia di impedire il worst case scenario.

Ultima nota di colore: si vocifera che al governo USA interessi far esplodere la UE. E non va quindi dimenticato che l’ostilità palese di Trump nei confronti di Merkel possa portare USA (ma anche Russia) a sostenere con vigore un’Italia fuori dall’Euro. Sicuramente sono fantasie, per alcuni probabilmente incubi, ma ci siamo fatti l’idea che ciò che stiamo vedendo noi in superfice sia solo una minuscola e parzialissima evidenza di quanto ci sia in gioco a livello geopolitico globale.

Come sempre, staremo a vedere e l’unica cosa che nel nostro piccolo possiamo fare è tentare di proteggerci a livello di portafoglio. E come dicevamo in apertura di articolo, quando nessun asset tiene le vie sono davvero poche. E infatti abbiamo di fronte a noi due possibili strade, percorribili anche contemporaneamente. La prima, puntare sulla liquidità, cioè liquidare buona parte degli investimenti e attendere che vi sia chiarezza; la seconda, sobbarcarsi un rischio di cambio e “convertire” una parte degli investimenti in valute forti antagoniste all’Euro.

Per cui acquistare asset in USD, AUD, CHF e marginalmente in GBP. Onestamente ci stiamo pensando. Con questo non vogliamo dire che sposiamo ad occhi chiusi la tesi dell’articolo di Timpone ma la questione non può essere sottovalutata a prescindere. Né tantomeno vuol dire che ci aspettiamo (o auguriamo) che il piano anti-Euro (se esiste) diventi operativo. Semplicemente cerchiamo di considerare tutto il considerabile umanamente e se come dicevano gli antichi “in medio stat virtus” ponendo in essere una strategia “mediana” per lo meno ci saremo messi in condizione di provare a limitare gli eventuali danni e di provare a beneficiare di eventi più che straordinari.

Portafoglio aggiornato nell’apposita sezione.

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