I fattori di incertezza sono tanti. Aspettando i tre giorni del 14,15 e 16 dicembre, che di solito assettano il rally di fine anno, un po’ di ragionamenti su cosa potrebbe succedere dopo.
Cedole & dividendi
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Uno (Tronchetti Provera) che parla di piano Marshall per ridare sviluppo all’Europa. Un altro (Draghi) che pensa di prolungare il Qe, giapponesizzando l’Europa. Grandi gestori che confabulano nemmeno sommessamente di crisi strutturale dell’Unione europea. Alla faccia dell’ottimismo! In un simile quadro cosa può pensare l’uomo della strada, soprattutto se piccolo o medio investitore? Niente di buono e in effetti assiste a mercati in crisi di smarrimento. Vale allora la pena fare il punto sulle prospettive di breve e medio termine. Con un confronto a distanza di opinioni.
Rally natalizio?
Molti ci sperano puntando su un possibile accordo relativo ai dazi fra Usa e Cina. Trump lascia intendere che è Pechino a chiederlo e Pechino fa credere che sia l’opposto. Poco importa. Vediamo se i principali indici mondiali intravedono l’aperura di questa porta.
Borsa |
Ultima quotazione |
Trend da 1/11/18 |
Analisi |
S&P 500 |
2.736,3 |
Laterale |
E’ poco sotto la m.m. 200. Inversione rialzista sopra i 2.787 |
Nasdaq |
6.867,0 |
Laterale |
Situazione simile. Forza sopra i 7.200 |
Shanghai |
2.679,1 |
Laterale |
Ritroverebbe vigore sopra i 2.820 |
Dax |
11.341,0 |
Ribassista |
Inserito in un canale ribassista iniziato ad agosto. Importante resistenza a 11.805. La m.m. 200 è per ora irraggiungibile |
Cac |
5.025,2 |
Ribassista |
Si vedono solo candele rosse e tutte le medie mobili sono inclinate all’ingiù |
I numeri per ora non lasciano intravedere – almeno in Europa – un’inversione rialzista- Ma l’ipotesi rally piace. Per motivi più di statistica che di convinzione. Spesso si è manifestato, soprattutto nei giorni 14, 15 e 16 dicembre, in concomitanza con l’avvio dell’effetto consumi di Natale ma soprattutto del bilanciamento dei portafogli per i fondi prima di fine anno. Per il 2018, viste le prevalenti performance negative, anch’essi ne hanno proprio bisogno.
In proposito Olivier de Berranger – Chief Investment Officer de La Financiére de L'Echiquier afferma: "Per gli appassionati di cifre, rimangono le statistiche lusinghiere relative ai mercati all’indomani delle elezioni di MidTerm. Dal 1950, negli anni in cui si sono svolte le elezioni di metà mandato, l’S&P 500 è cresciuto in media del 10,7% rispetto al punto più basso registrato tra ottobre e fine anno. A oggi, ha già riconquistato il 6% rispetto al minimo toccato il 29 ottobre. E’ quindi lecito domandarsi se vi è margine per un rally da qui a fine anno".
Inizia l’epoca delle incertezze
In realtà gli occhi sono tutti rivolti al quadro generale e alle prospettive di più lungo termine. Cosa presagisce il mercato? Abbiamo raccolto un po’ di voci per consentire un confronto di posizioni sulle tante incertezze che caratterizzano la fase attuale.
Fabio Alberto Deponti, portfolio advisor di Fineco, spiega: “I segnali di rallentamento sono evidenti, sia in termini di fondamentali sia di fattori tecnici e suggeriscono di abbassare il profilo di rischio dei portafogli in ottica 2019. L’unica variabile capace di posticipare tale proposito sarebbe un accordo definitivo sui dazi tra Cina e Usa, che a oggi sembra improbabile. Nei fondamentali si stanno manifestando debolezze sia nei dati macro sia negli utili delle società: pure quelle tecnologiche (per esempio Infineon, Apple e Nvidia) hanno iniziato a evidenziare forme di rallentamento. Inoltre il global PMI per la prima volta sta crescendo sotto il suo potenziale, la Cina fatica a riaccelerare anche con gli stimoli, nonché Giappone e Germania hanno visto un dato negativo di Pil nel terzo trimestre (seppur accentuato da fattori straordinari). In questo momento, tuttavia, l’elemento “valutazione sui fondamentali” è oscurato da fattori di positioning, flussi e livelli tecnici degli indici. I segnali preoccupanti per il mercato arrivano dalla volatilità crescente e dal comportamento di alcuni settori. Più in dettaglio:
1°) Ogni volta che il settore finanziario ha segnato nuovi minimi a 12 mesi con l’indice S&P a 10% dai massimi, si è avuto un indicatore bearish (ciò è accaduto nel 2000 e nel 2007).
2°) Ogni volta che l’S&P è stato in uptrend (definito come sopra la media a 12 mesi) ed è caduto oltre il 9% più di 2 volte in un anno, ciò ha portato un bear market (1980, 1990 e 2000).
I vari asset finanziari (azioni, obbligazioni, private equity ecc.) sono stati “gonfiati” dall’ingente immissione di liquidità da parte delle Banche centrali, ma ora il fenomeno sta iniziando a calare, in particolare per l’area in $, la più rilevante anche per gli effetti sui mercati emergenti. Quindi in teoria potremmo assistere al processo inverso, ossia allo sgonfiarsi. Ed è proprio l’indicatore della liquidità in $ a fornire un messaggio preoccupante, avvicinandosi ai livelli critici di rischio recessione. Lo stesso campanello di allarme è stato suonato anche da alcune case di brokeraggio piuttosto note, quali Goldman, Morgan Stanley e Ned Davis con i propri indici proprietari”.
Per i gestori di T. Rowe Price, specialista Usa dell’asset managemnt, “si vede una decelerazione per la parte finale del 2018 e per il 2019, cosa che darà senza dubbio un po' da pensare, ma che al contempo fornirà qualche opportunità nell'azionario, visto che agli investitori non piace il concetto di decelerazione. Nel concreto la crescita economica è ancora accettabile. ‘Vendi ora, ricompra più avanti’ è spesso la regola da tenere presente in questi casi; non bisogna però dimenticare che può risultare valida solo se si è concentrati su quali aziende siano ipervendute e sottovalutate secondo un'attenta valutazione delle prospettive di utili nel lungo periodo. Le valutazioni dei mercati azionari e i fondamentali relativi agli utili lasciano ancora spazio di manovra al fine di generare rendimenti interessanti, seppur il contesto di investimento sia più complicato di quanto non fosse per esempio nel 2017. Questo è ancora un mercato nel quale si può operare come stock-picker che agiscono in funzione di una prosecuzione dell'attuale trend di crescita".
Ma c’è un rischio spesso trascurato. Lo analizzano i gestori di Schroders, che sostengono: “Alla luce degli squilibri generali potrebbe valere la pena focalizzarsi sull’Eurozona, che al momento presenta una combinazione tra un surplus delle partite correnti e una valuta debole solo grazie a una politica monetaria straordinariamente accomodante. In un mondo perfetto la ripresa dell’Eurozona sarebbe accompagnata da tassi di interesse più elevati e da una valuta stabile. Nella pratica però ciò potrebbe dimostrarsi una sfida complessa. La Bce sta infatti cercando di lasciare la presa senza un apprezzamento significativo dell’euro e il rischio è di far deragliare l’attività nella regione. Come avvenuto in Giappone (altra economia con un surplus delle partite correnti che fatica a creare inflazione), l’Eurozona corre il rischio di trovarsi bloccata con una politica monetaria molto accomodante per un periodo indefinito”.
Andreas Wosol, che è Head of Multi Cap Value in Amundi, afferma: “Nelle nostre prospettive per il 2019 noi continuiamo a essere positivi per le azioni Usa. Occorrerà tuttavia accordare importanza alla selezione dei titoli rispetto a un ciclo economico e finanziario che si muove verso la fine. I settori che ci interessano di più sono quelli dei beni industriali, dei beni di consumo, delle materie prime e della chimica ma anche il settore bancario europeo, perché gli “stress test” hanno fornito informazioni importanti. Fra questi comparti guardiamo molto ai cosiddetti “consumer staples”, cioè i beni di consumo non ciclici, settore di attività che presenta prospettive significative per investitori orientati al lungo termine, a condizioni di entrare al momento giusto”.
Per i gestori di M&G Investments, una delle società leader dell’asset management, ci sono tre rischi da valutare: 1°) si nota un rallentamento della crescita economica mondiale e questo fattore potrebbe raffreddare gli entusiasmi degli investitori; 2°) l’aumento dei tassi sulla parte corta della curva obbligazionaria Usa è un segnale forse di qualche problema per l’economia a stelle e strisce; 3°) l’effetto dollaro sulle performance dei mercati emergenti: si è visto nei confronti di Argentina e Turchia e va tenuto in debita considerazione.
Infine, nella sua analisi quotidiana sui mercati, Jean Frédéric Nussbaumer di Vontobel torna sul tema caldo delle prossime settimane: “Abbiamo visto volumi degli scambi in crescita e i rialzisti rimettono il naso alla finestra dopo che si sono diffuse notizie sugli sforzi in corso per giungere a un accordo fra Usa e Cina in merito alla guerra dei dazi. Una conferma in tal senso verrebbe dalle parole di Robert Lighthizer, rappresentante commerciale dell’amministrazione statunitense, che avrebbe indicato ad alcuni importanti capi di impresa la momentanea sospensione della prossima ‘tranche’ di tariffe”.
Questa potrebbe essere la svolta che alimenterebbe un più robusto rally di Natale. Tenetevi quindi pronti per il 14,15 e 16 dicembre. Niente appuntamenti, solo quello con il vostro desk.