A chi chiede il perché della nostra continua sollecitazione a operare con tale protezione proponiamo alcuni dei tanti vantaggi che questa alternativa comporta.
Cedole & dividendi
Per chi punta sui bond la diversificazione delle valute è e sarà anche in futuro la fonte principale di rendimento, salvo che l’inflazione aumenti pure in area euro, svolta auspicabile per l’investitore abile ma non certo per il cittadino consumatore. Le divise però comportano rischi e soprattutto una prevalente alta volatilità. Perché operare allora con un conto in valuta? Per tanti motivi. Vediamoli.
1°) Niente spread – Tutte le volte che si compra in altre monete si paga all’intermediario uno “spread” rispetto al cambio ufficiale (su questo tema potremmo tenere un corso, ma non vogliamo tediarvi!) per ogni operazione in buy o in sell. Mediamente si tratta dello 0,50-0,70%, ma se la controparte è esosa può portare via anche di più. Sono tutti soldi persi. Con il conto in valuta ciò non avviene - se non quando si investe in entrata o si disinveste in uscita - e alla lunga il vantaggio è rilevante, per esempio nel caso un’obbligazione scada o si effettui uno “switch” fra emissioni diverse oppure si vogliano reinvestire cedole percepite.
2°) Maggiori performance – Chi investe in bond solitamente ha traguardi temporali medio/lunghi o lunghi. Quindi può scegliere cross di entrata e di uscita più favorevoli possibili per la propria operatività. Mettiamo il caso che dal 2012 al 2014 si sia deciso di acquistare obbligazioni in dollari, puntando su un suo rafforzamento. I cambi di allora si aggiravano fra 1,30 e 1,40 contro euro. Con un conto in valuta, ipotizzando un mini portafoglio di emissioni acquistate a un valore medio di 1,35 da quegli anni in poi si è continuato a incassare cedole ed eventualmente a riacquistare bond, dopo eventuali rimborsi, sempre allo stesso cambio appunto di 1,35. Nel frattempo però il biglietto verde si è rafforzato fino all’inizio del 2017: senza un conto in valuta le cedole si sarebbero progressivamente incassate a quotazioni del cross valutario diverse, ma non ottimizzando il cambio, poiché quelle versate per esempio nel 2014 o nel 2015 non avrebbero goduto del successivo consolidamento del dollaro. Con il conto in valuta si sarebbe continuato invece a incassare e a operare a 1,35, con la possibilità di un accumulo di profitti ben maggiori, che su movimenti rilevanti si traducono anche in sovraperformance di parecchie decine di punti in percentuale.
3°) Minori perdite – Se invece si fosse acquistato nel 2017 con un cambio per esempio a 1,10, puntando a un ulteriore rafforzamento del dollaro, poi non concretizzatosi, oggi quell’errore vorrebbe dire una penalizzazione delle cedole incassate, di fronte a un cambio indebolitosi. Con un conto in valuta la situazione risulterebbe invece più favorevole, poiché si percepirebbero a 1,10 invece che agli attuali 1,22.
4°) Volatilità addio – Il rischio maggiore, come si diceva all’inizio, sta nella variabilità dei cambi, quasi sempre incessante. Con un conto in valuta, ciò non avviene, poiché si fissa un valore di acquisto e su questo si continua a operare nel tempo, il che è per esempio fondamentale per alcune valute emergenti.
5°) Switch facili – Temete un rialzo del costo del denaro? E siete esposti su tassi fissi? Con un conto in valuta questa situazione è più facile da gestire. Si può per esempio trasferire il capitale su un tasso variabile mantenendo il cambio originario per poi – a bufera passata – rientrare su dei fissi a quotazioni più convenienti. Stesso discorso fra bond e azioni, con il vantaggio che anche i relativi dividendi continueranno a non subire impatti dal cambio valutario, il che talvolta modifica sostanzialmente i rendimenti.
6) Effetto tassi – Le valute risentono anche delle politiche monetarie. In presenza, per esempio, di tassi in discesa le quotazioni dei fissi salgono ma tendenzialmente la divisa di riferimento si indebolisce. Il conto in valuta protegge invece dal secondo punto di vista.
7) Le occasioni – Negli ultimi anni si sono determinate inefficienze di prezzi su diverse obbligazioni di pari o quasi scadenza espresse in valute emergenti. Che significa? Improvvisi disallineamenti dovuti a vari motivi. Sono occasioni che si aprono e si chiudono magari nell’arco di ore o di sedute. Un conto in valuta semplifica la relativa operatività, annullando l’impatto da “spread”, penalizzante per margini magari non rilevanti.
8) E altro ancora – Potremmo proseguire con tanti altri motivi che rendono il conto in valuta insostituibile. Sono magari più tecnici, ma comunque tutti assieme incrementano i vantaggi di una scelta semplice, utile per l’obbligazionista così come per l’investitore in azioni, con possibili effetti positivi anche sotto il profilo fiscale.
I costi – Il conto in valuta non deve comportare alcun costo aggiuntivo, salvo l’inevitabile bollo sui c/c per le persone fisiche (34,2 euro) che il nostro “socio mica tanto occulto”, lo Stato, preleva ogni anno.
Su quali valute – Le banche online prevedono di solito l’opzione conto in valuta per le divise più tradizionali (dollaro Usa – sterlina – franco svizzero e qualche altra) ma non pochi “private” li consentono su tutte le monete, comprese quelle emergenti, salvo – di solito – il rublo russo, a causa di specifiche normative fiscali.
Quando aprirli e quanto chiuderli – Più che aprire e chiudere il problema sta nel quando cambiare da euro nella divisa che interessa o viceversa. Ciò va fatto logicamente – sempre che se ne abbia la necessità oppure si intenda portare a casa plusvalenze realizzate – su picchi dei cambi. Quando cioè, con il supporto dell’analisi tecnica, si definisce un massimo (per entrare) o un minimo (per uscire) dell’euro rispetto alla divisa su cui si è puntato.
L’aspetto fiscale - Secondo quanto stabilito dalla legge (Dpr 22/12/1986 n° 917 art 67, comma 1 lett. c-ter e comma 1-ter), la tassazione delle plusvalenze realizzate a fronte di operazioni sul conto in valuta è dovuta solo (in ambito di dichiarazione dei redditi) a condizione che, nell’anno solare, la giacenza complessiva di tutti i c/c di tale tipo intrattenuti sia superiore a 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi continui, utilizzando per il calcolo della giacenza il cambio vigente all'inizio del periodo di riferimento, cioè il 1° gennaio (circolare ministeriale n° 165 del 24/6/1998). Per il calcolo della giacenza complessiva devono essere sommati tutti i controvalori dei depositi e conti intrattenuti anche di valute diverse. Per esempio: una posizione in sterline per un controvalore di 25.000 euro e una posizione in dollari per un controvalore di 45.000 euro formano una posizione complessiva di 70.000 euro. L’importo, superiore alla soglia stabilita di 51.645,69 euro di controvalore, se tenuto in giacenza per almeno 7 giorni lavorativi consecutivi, attiva la condizione prevista dalla legge. Nel calcolo della giacenza complessiva bisogna considerare tutti i rapporti in divisa accesi dallo stesso intestatario in essere anche su diversi intermediari.