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“Risk on” o “risk off”: il barometro dei mercati segnala che…(3/9/2017)


Diminuisce la propensione al rischio, per vari motivi. Quello primario è che chiaramente la ripresa dell’economia si basa sui bassi tassi. Congelando le strategie delle Banche centrali.

Cedole & dividendi

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L’economia mondiale è in netta ripresa, le Borse crescono, macinando profitti, e molti indicatori danno segnali ultra positivi, ma qualcosa non va…

Oggi la verifica dei fattori di rischio segue una strada diversa rispetto alle puntate precedenti. Perché il quadro generale è differente.

Sul fronte politico si segnala un avvio di guerre fredde e nazionalismi preoccupanti, sebbene forse solo di facciata. Le Banche centrali si dimostrano invece incapaci di ristabilire ordine sui mercati monetari. E così si avverte una strana avversione al rischio, per ora velata ma pronta a manifestarsi con maggiore impeto. Due segnali lo confermano, uno internazionale e uno nazionale. Sul primo fronte riappare prepotente la propensione all’oro. Sul secondo si evidenzia – secondo quanto riferiscono molti consulenti finanziari – un desiderio degli investitori di aumentare la liquidità, cioè di vendere gli asset a più elevato rischio. Se quest’ultima indicazione preoccupa meno – perché inevitabile dopo un periodo esageratamente positivo – la tendenza a riesporsi sull’oro va presa in seria considerazione. Lo confermano tre notizie.

1°) Gli insiders statunitensi stanno vendendo azioni delle banche d’oltre Oceano e investono in certificati auriferi.

2°) La tedesca Bundesbank ha annunciato di aver rimpatriato 674 tonnellate di oro, stoccate in precedenza all’estero e in particolare negli Usa, decisione presa in passato nel timore di invasioni da parte dell’ex Urss comunista.

3°) In Asia gli allarmi delle follie atomiche nord coreane tornano spingono cinesi e giapponesi a comprare oro.

E così le medie mobili, espresse su periodicità settimanale o mensile, riferite al Future sul gold, sostengono un convinto “buy” e molti indicatori lo confermano, sebbene quelli specifici indichino ipercomprato. C’è già chi parla di possibile prezzo obiettivo a 1500 $, ma lo scopo del report di oggi non sta nell’analizzare i movimenti di questo metallo prezioso quanto nel mostrare come l’“ipotizzato defunto” dia segnali di risveglio, per il timore soprattutto di tensioni geopolitiche. E’ pur vero che, nel frattempo, il franco svizzero si è indebolito molto sull’euro e che lo yen giapponese sta pure evidenziando fiacchezza, ma si ha la sensazione che le valute nobili non svolgano più il ruolo di airbag dimostrato in passato per un motivo molto semplice: rappresentano delle economie e quindi delle politiche monetarie di cui nessuno si fida più.

Non si pensi tuttavia che la mini corsa all’oro sia un segnale di inversione: per ora non lo è. Semplicemente registra uno switch – forse temporaneo – sul bene rifugio per eccellenza, in una fase in cui l’incertezza sulle politiche monetarie va alle stelle. E’ un “risk off” momentaneo e un po’ precario, adottato dalle categorie di investitori più esposte al rischio, almeno fino al momento in cui le quotazioni del Future dovessero salire nell’area dei 1.370-1390 $. In presenza di un “breakout” deciso allora la situazione cambierebbe.

Si è detto di politica e di Banche centrali: in effetti è chiaro che molte incertezze nascono da questo connubio. La ripresa c’è ed è sostanziale, ma si appoggia su due elementi fittizi: i bassi tassi e le riforme del lavoro, che ne hanno ridotto il costo, limitando la capacità di spesa delle famiglie e quindi l’inflazione. La gente si è così esposta al debito, sfruttando l’occasione di un denaro mai altrettanto conveniente. Il boom dell’immobiliare negli Usa e in parte in Europa nasce da qui, così come la ripresa delle vendite di auto e di altri settori di largo consumo. Ecco perché Fed e Bce si sono messe la corda al collo e non riescono a sfilarsi il cappio.

Questo è l’altro vero motivo di “risk off”” che tormenta gli investitori, insicuri fra quanto si paventa e quanto l’economia segnala. La contraddittorietà è dimostrata da pochi numeri e motivi:

Cosa porta a sperare in un convinto “tapering” della Bce?

Pil Spagna a +3,1%                           

Pil Germania a +2,1% e possibile sprint nel terzo trimestre, malgrado euro forte

Pil Francia a +1,7%

Commodities che crescono e porteranno un po’ di rincaro dei prezzi

Inflazione area euro a +1,5%

Cosa porta a non credere in un convinto “tapering” della Bce?

Il debito privato europeo è salito troppo, complici i tassi a zero

Il debito pubblico italiano (ma non solo), su cui si fa poco

La voglia di Draghi di dimostrare a tutti i costi che il QE è servito

Possibili fattori macroeconomici o forse anche geopolitici che l’opinione pubblica non conosce.

L’assenza di una valida comunicazione da parte di Fed e Bce, assiderate in quelle ormai inutili conferenze stampa con domande e risposte in parte preconcordate, aumenta la sensazione che dietro ai discorsi ci sia ben poco. O meglio che ci sia l’incapacità di agire, una specie di superpolitica applicata all’economia. E lo dimostra un fatto: per Yellen e Draghi si ipotizza un futuro negli affari di governo. Allora sì che per il rischio scatterebbe un “off” di dimensioni sconfinate.

Per ora un po’ di prudenza si impone: settembre e ottobre potrebbero essere volatili e all’origine del tutto ci sono sempre le stesse cause: una politica mondiale nelle mani dei nuovi fanatici (religiosi o autoreferenziali o isolazionisti o totalitari che siano) e la dilagante convinzione che le Banche centrali, dopo aver gonfiato a dismisura i mercati e prodotto un’economia dopata, non riescano più a staccare la spina dalle loro esasperate strategie espansionistiche.

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