Oggi con una chiave di lettura un po’ diversa, che evidenzia inflazione e andamento dei tassi, le due vere variabili impazzite dei mercati.
Cedole & dividendi
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A oltre un mese dalla prima identificazione dei rischi avvertiti dai mercati, rientriamo sul tema per verificare l’evoluzione dello stato di salute della finanza. Iniziando questa volta da variabili diverse.
Inflazione euro: torna nettamente indietro e conferma la sua stretta relazione con l’andamento del petrolio. Domanda: ma che ci sta a fare la Bce, visto che la “driving force” resta un fattore su cui noi europei non possiamo fare nulla? La ridiscesa all’1,4% a maggio è un brutto colpo, anche perché evidenzia un riavvio di trend ribassista, pur con alta volatilità. Le chiavi di lettura possono essere molte ma la prevalente va nella direzione del risk-off, cioè del pessimismo. Abbiamo perso anni con un QE che è costato tanto ai cittadini europei e siamo di nuovo in una fase di lenta disinflazione!
Inflazione Usa: stesso fenomeno oltre Oceano. Sta scendendo dal 2,7% di gennaio all’1,9% di maggio e ciò potrebbe rimettere in discussione la politica monetaria annunciata dalla Fed. L’economia ne trarrebbe vantaggio ma il rischio è che i mercati comincino a non credere più nelle azioni della Banca Centrale. Anche qui è risk-off, sebbene moderato, in attesa di evoluzioni.
Inflazione Cina: tema scottante. A gennaio si attestava al 2,5%, ma a febbraio è crollata allo 0,8%, per poi risalire all’1,5% di maggio. Se anche a Pechino e dintorni è tempo di disinflazione c’è da preoccuparsi. Bisogna attendere il passare dell’estate, per definire meglio se si è trattato di un picco al ribasso anomalo, sempre che i dati siano attendibili. In questo caso è risk-off chiaro.
Bund yield: fermo fra lo 0,25 e lo 0,26%, in attesa di evoluzioni della politica monetaria europea. Capire cosa succede alla Bce è impossibile e quindi il decennale tedesco sta a guardare. Né risk-off né risk-on. Un ritorno sotto 0,15% sarebbe il segnale vero di risk-off e sopra 0,40% di risk-on.
Treasury yield: la valutazione richiederebbe pagine e pagine. Comunque il decennale Usa continua a scendere in rendimento e tocca addirittura il 2,11%. Ogni congettura passata potete buttarla nel cestino, poiché una simile inversione era imprevedibile (sebbene – in realtà – prevista da qualche contrarian di turno). Di fatto i mercati scontano un sentiment deflazionistico e questo non è un bel segnale. Almeno con i Treasuries si nota un po’ di chiarezza: è risk-off.
Spread 10 years-2 years Us Yield: gli studiosi lo vedono come uno dei termometri dell’andamento dell’economia. Più lo “yield” scende e maggiori sono le preoccupazioni di un prossimo rallentamento, con la curva dei tassi che si muove verso una linea più appiattita. Il valore attuale dello spread è di pochissimo sotto lo 0,80%, ancora accettabile, sebbene ci sia da segnalare che rispetto alla precedente analisi si è verificato un significativo calo. Adesso si ragiona sulle possibili evoluzioni: c’è chi teme che si tratti di una fase di assestamento e chi invece lo vede come un segnale di progressiva debolezza futura per l’economia. Per ora è un risk-on, con tante riserve.
Eur vs Chf: se si analizza su periodicità settimanale, il cambio non dà particolari segnali, nel senso che si muove sul valore medio dal 2016 in poi. Attenzione tuttavia a un “gap” apertosi ad aprile e che finora non è stato chiuso. Gli 1,10 visti a inizio maggio si stanno allontanando. Gli indicatori di analisi tecnica confermano un quadro un po’ confuso, con alcuni favorevoli a un “buy” sull’euro e altri neutrali. Valori da seguire: 1,08 e poi a 1,077, quando potrebbe avviarsi la chiusura del “gap”. Né risk-off né risk-on.
Dollar Index: l’indice del valore del biglietto verde confrontato con un paniere di valute occidentali “nobili” (euro – yen – sterlina- dollaro canadese – corona svedese – franco svizzero) è tornato sotto 97, ma i “Forex specialist” segnalano che si è notato un calo dei volumi negli scambi del suo future, da mettere parzialmente in relazione all’urto di ritorno nelle ultime ore delle quotazioni del petrolio. La situazione non è chiara, anche perché vari livelli di riferimento grafico sono vicini. E’ possibile una stabilizzazione proprio sui 96/97. Né risk-off né risk-on.
S&P inflation adjusted: l’indice Usa per eccellenza rapportato ai prezzi reali, quindi al netto dell’inflazione, ha fatto un altro passo avanti rispetto a un mese fa, collocandosi a 2.439 punti. Il problema – come già segnalato – è che si nota una serie di massimi ascendenti di lungo periodo, di cui due corrispondono al Black Tuesday del 1929 e un altro al Black Monday del 1987. E’ vero: erano altri tempi, ma o si crede nei riferimenti grafici o si chiude tutto. Sembrerebbe che chi siano margini di un’ulteriore crescita verso i 2.500 punti, sempre riferiti a questo parametro. La situazione è però un po’ tirata. Risk-off ma attenzione.
I Vix: poco o nulla come segnali. Quello riferito all’S&P 500 è “flat” da fine maggio; quello sul Dax tedesco è inserito in un canale ribassista da inizio 2016, pur con improvvisi “spikes” che non sconfessano il trend primario; quello sull’Eurostoxx piatto. Nessun richiamo quindi dagli indicatori di volatilità, che – occorre ricordarlo – sono pure rilevatori di rischio. Sostanzialmente risk-on.
Le due variabili impazzite dei mercati appaiono inflazione (evidente l’impatto decisivo del fattore petrolio) e tassi negli Usa e in Europa. Cosa faranno le banche centrali nei prossimi mesi? Si può prevedere uno scontro di posizioni al loro interno e quindi i veri fattori che portano al risk-off o al risk-on dipendono in buona parte dalla lettura delle relative vicende e da come le interpreteranno i players della finanza mondiale.