Seguendo la strada intrapresa dai professionisti dell’asset management, si possono ottenere maggiori rendimenti, con rischi minori. Purché si seguano certe regole.
Cedole & dividendi
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Chi capisce poco di obbligazioni continua a sostenere che è un asset scarsamente interessante, dati i rendimenti marginali. In realtà la situazione è differente e anzi quasi migliore rispetto al passato. Una gestione attiva infatti di un portafoglio di bond – piccolo o grande che sia – può fruttare tanto, purché si sposti l’obiettivo verso altre destinazioni e diversi modi di pilotare. E’ evidente che tenere Btp o “corporate” a tasso fisso in euro fino alla scadenza garantisce oggi yield molto bassi, salvo che non si abbia la fortuna di aver acquistato in passato a basso prezzo obbligazioni a cedola elevata e di poter andare a fine vita. Nel caso però delle “corporate” la maggior parte di queste ultime è già arrivata a rimborso e sostituita da altre con rendimenti nominali ridicoli.
Da gestione passiva a gestione attiva
Ci sono alternative? Sì e capaci di garantire performance interessanti. Per farlo occorre però davvero gestire il portafoglio e specializzarsi su alcuni titoli, seguirli settimana per settimana o – in certe situazioni – giorno per giorno, nonché infine entrare e uscire come si fa con le azioni. Pensereste mai di acquistare Brembo, Leonardo o Telecom e di tenerle in portafoglio come si è attuato per lungo tempo con i Btp? La risposta è evidente: no. Lo stesso deve avvenire con due categorie di bond che possono garantire alti rendimenti se si investe non con l’approccio delle convinzioni ma con quello dei numeri. Si tratta di Etf riferiti agli “high yield” e di singole emissioni di organizzazioni sovranazionali espresse in valute emergenti. Qualcuno starà lanciando strali: ma come? Investire su quanto di più rischioso c’è, come dimostra la casistica? Proprio così, ma per farlo bisogna muoversi appunto da una gestione passiva a una attiva, cioè cambiare completamente modalità nel proporsi sui mercati.
La cedola è importante ma non decisiva
Il passaggio deve tenere conto di un elemento chiave: puntare sui bond solo per incassare cedole è un modo vecchio (sebbene rispettabilissimo) di gestire un portafoglio. Andava bene quando Btp e compagni staccavano oltre il 5% annuo. Ora va diversamente. Il cassettista perde infatti redditività se resta investito a lungo termine sia sul fronte azionario sia su quello obbligazionario, salvo che non sia così abile da riuscire a entrare su livelli irripetibili di prezzo. Andiamo allora ad analizzare le modalità operative per giustificare un posizionamento su “high yield” e bond in valute emergenti.
Sono spazzatura: è chi se ne frega?
Per anni li hanno chiamati “junk”. Loro – gli “high yield” – hanno però fatto la fortuna dei gestori di fondi negli ultimi due anni, dando quelle performance grazie alle quali sono riusciti a garantire significativi segni più. Risultano “junk” se si comprano senza conoscere i sottostanti economici degli emittenti, ma non lo sono se si sceglie l’alternativa degli Etf specifici, forse fra i più interessanti in assoluto nell’obbligazionario: ce ne sono che staccano cedole mensili (e rilevanti), che investono solo sulla parte corta della curva e che prevedono copertura del cambio. Governati in maniera attiva possono garantire risultati di tutto rilievo, perfino superiori a quelli di chi puntasse su singoli titoli, fra l’altro quasi sempre quotati sull’“Otc”. Le possibilità di diversificare risultano ampie (ben 17 i replicanti presenti su Borsa Italiana, riferiti a 7 diversi emittenti). Altro che Btp e “corporate” in euro! La rischiosità è minore, le “duration” adattabili e la liquidità soddisfacente. Infine la difficoltà di gestire un portafoglio specifico è accettabile. Sarà un tema che affronteremo nelle prossime settimane.
Con quei rendimenti!
Stesso discorso per le obbligazioni in valute emergenti. Messe spesso in portafoglio in maniera disordinata, dovuta solo alla ricerca di rendimenti nominali elevati, hanno portato a risultati talvolta disastrosi. L’errore di base risulta evidente: ci si è fatti prendere dall’approccio delle convinzioni e non da quello dei numeri. Le “emerging currencies” sono oggi uno strumento decisivo per migliorare il rendimento dei portafogli, ma vanno dosate, con precisi punti di entrata e uscita, anche perché i trend si manifestano in maniera abbastanza precisa, più di quanto non avvenga per esempio per il cambio euro/dollaro, condizionato da troppi fattori. Il 2016 è stato eccezionale per chi si è applicato in maniera strutturata nel gestire un portafoglio di bond di tale tipo. Dove l’andamento delle quotazioni sommato alle performance delle divise e all’incasso delle cedole (comunemente superiori al 6-7%) costituisce un moltiplicatore di tutto rispetto. Anche questo sarà un tema che esamineremo nelle prossime settimane.
Maggiore impegno: è inevitabile
Non si deve pensare che un diverso e attivo modo di gestire un portafoglio obbligazionario sia semplice. Non lo è, ma può garantire segni più di tutto rilievo, anche perché “high yield” ed “emerging currencies” si caratterizzano per un’elevata volatilità, proprio quello che manca sugli altri fronti obbligazionari, pur con un livello di rischiosità - in termini di qualità del credito - nettamente inferiore. Il gioco vale quindi la candela adottando i classici strumenti di protezione utilizzati sul fronte azionario, magari con periodicità di analisi meno veloci. Pure di questo scriveremo nelle prossime settimane.