Ancora incertezza sul fronte finanziario, mentre migliora decisamente il quadro economico mondiale. Tanti numeri per capire le evoluzioni in corso.
Cedole & dividendi
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Situazione contraddittoria, che si può riassumere in questo modo:
Il fronte politico mondiale conferma muri che potrebbero pesare sugli equilibri futuri dei mercati.
L’economia globale sta dando segnali di concreta ripresa.
Il fronte finanziario registra incertezza.
Questa la sintesi. Tralasciando l’aspetto della politica, che è sulle prime pagine di tutti i media, iniziamo dagli indicatori riferiti alla finanza.
Il Vix sull’S&P 500 ha dimostrato instabilità, con due successivi rimbalzi, nell’arco di poco più di un mese. Il secondo – la settimana scorsa – l’ha visto salire a 16, per poi ridiscendere a 9,8. Gli indicatori dicono di vendere volatilità ma siccome sullo specifico tema sono del tutto inaffidabili meglio restare all’erta. Il Vix sul Dax, dopo un rialzo a metà aprile si è ristabilizzato su quota 13, tornando verso i minimi dal 2008, il che non è un buon segnale. In sintesi quindi il quadro dice “risk on” ma nasconde un po’ di “risk off”. Sente nell’aria qualcosa che potrebbe anche essere tensioni in ambito Bce per la politica futura dei tassi. Il viso ingrugnato di Draghi al G7 dei ministri delle Finanze di Bari non è stato un bel segnale, sebbene i suoi uomini dicano che sono solo fantasie.
E in effetti il rendimento del Bund a 10 anni da qualche giorno continua a scendere, seguendo un po’ quanto ha fatto il Treasury Usa. Dopo le elezioni di Macron si scontava un rialzo del governativo tedesco ad almeno lo 0,45% di “yield”. Invece sta tornando indietro! Dallo 0,40% è sceso allo 0,328%, proprio quando l’inflazione di Berlino è riapparsa ad aprile al 2% dopo il ribasso all’1,6% di marzo. Qui non è più questione di petrolio e di fattori climatici. E’ un movimento palese di rientro sulle medie degli ultimi dieci anni. Il Bund pertanto indica un contenuto “risk off”. Nel frattempo il recupero di quotazione del relativo future si scontra con una possibile resistenza nell’area dei 162 punti, contro i 161,8 della chiusura di venerdì. Cosa succederà quindi lunedì e martedì sarà decisivo per captare possibili mutazioni in corso.
Dagli Usa arrivano frattanto preoccupazioni sui possibili movimenti dell’obbligazionario in previsione della prossima riunione del Fomc/Fed di metà giugno. Sono però solo parole di grandi gestori, per cui il rialzo dei tassi è scontato ma non lo è la sua estensione (0,25 o 0,50%?), perché il future sul Treasury decennale continua a restare ai massimi del 2017. Alcuni analisti lo vedono però inserito in un canale ribassista di lungo periodo, iniziato nell’autunno del 2016 e che troverà un’area di consolidamento sui 122,4, contro gli attuali 126,2. Il recente recupero non smentirebbe quindi la prossima fine dell’epoca dei bassi tassi almeno negli Usa. Il “risk off” perciò sarebbe tattico: i mercati avrebbero comprato Treasuries solo in attesa di evoluzioni future, incentrate su quel “pazzariello” di Trump e sulle sue decisioni in tema fiscale.
Le valute forti indicano ancora qualcosa? Si direbbe di no; comunque il franco svizzero ha sofferto un po’ ma non troppo per la rinnovata forza dell’euro, salito non oltre l’1,10 vs Chf, e ancor meno l’hanno fatto la corona danese e la corona norvegese, sebbene quest’ultima sia penalizzata un po’ dal petrolio. La forza della nostra moneta sul dollaro non sarebbe quindi da mettere in relazione né a “risk off” né a “risk on”.
Potremmo proseguire con tante altre analisi, ma alla fine il risultato porterebbe alla stessa conclusione: c’è incertezza, che si manifesta ora qui ora là. I motivi sono sempre gli stessi: 1°) Bce e Fed, che dovranno esprimersi a metà giugno; 2°) quanto ha a che vedere con i provvedimenti della Presidenza Usa.
Passiamo all’economia. In quest’ambito ci sono notizie veramente positive. Su tutte una riferita a un tema significativo per comprendere l’evoluzione dei flussi commerciali internazionali: le tariffe per i contratti di lungo termine riferite al trasporto marittimo Asia-Europa sono aumentate del 120% (e non è un refuso!) nei primi tre mesi dell’anno rispetto allo stesso periodo del 2016. Il valore medio è salito a 1.396 $ per un container da 40 piedi. E’ l’effetto di una crescita della domanda di carichi. In questo caso il trend va letto come un “up” economico di forte valore. Stesso segno per le esportazioni dal Giappone, su del 7,5%, grazie soprattutto a semiconduttori e acciaio. Sul fronte Usa la debolezza del dollaro potrebbe avere un effetto doping per le multinazionali impegnate sui mercati mondiali, compensando le incertezze politiche di Washington. Intanto in Germania la crescita del Pil nel primo trimestre ha fatto registrare un +1,7%, che porterebbe la crescita su base annua all’1,8%.
E in Italia? Anche da noi ci sono buone notizie, con la fiducia delle imprese cresciuta di oltre due punti in percentuale, arrivando a quota 107,4, livello più alto dall’ottobre del 2007. Bene in particolare l’export verso Cina e Russia, il che è dovuto solo in parte alla debolezza dell’euro.
Un motivo di incertezza tuttavia esiste sul fronte economico: riguarda proprio l’andamento dell’euro. Un po’ di forza sul dollaro era scontata, ma se il “cross” passasse stabilmente sopra quota 1,14 sarebbero guai. Lo auspica la Germania, che spera così di perdere un po’ di competitività nell’area dollaro: intanto le sue esportazioni di qualità ne risentiranno poco. Lo desidera Trump, ma forse solo come slogan per migliorare la propria immagine nei confronti di Wall Street.
Il quadro complessivo appare meno problematico rispetto a due settimane fa e ciò è dovuto proprio a un barometro economico che tende verso il bello. In tutto questo c’è una notizia che sorprende ma fa anche piacere. L’Irlanda, ex appartenente ai “Piigs”, è al primo posto mondiale nella classifica della crescita del Pil su base annuale: con un +7,2% precede India e Cina. Poche parole, tanti fatti.