“Fake news”, il boom delle piccole capitalizzazioni aumenterà il pericolo di costruttori di falsità. Anche in Italia.
Cedole & dividendi
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Qualche giorno fa il Lupo di Wall Street era a Zurigo. Jordan Belfort, ex trader e promotore di una vera e propria truffa incentrata sulle “penny stock”, poi condannato a 22 mesi di prigione, dove ha cominciato a scrivere il suo libro “The Wolf of Wall Street”, in seguito trasformato in un film di grandissimo successo diretto da Martin Scorsese e interpretato dal bravo Leonardo DiCaprio, ha parlato davanti ad alcune migliaia di persone. Che hanno pagato dai 799 ai 2999 franchi per ascoltarlo. E’ stato molto abile e applauditissimo.
Perché oggi riferiamo questa notizia? Perché il tema delle “penny stock”, o meglio - in una concezione allargata - delle azioni a bassa capitalizzazione, è tutt’altro che inopportuno nell’attuale situazione italiana. Nei giorni scorsi da più parti si sono sollevati proclami di un potenziale universo di decine di migliaia di micro aziende della Penisola interessate in qualche modo a raccogliere capitali attraverso vari canali, fra cui la Borsa. Complice il successo dei Pir (Piani individuali di risparmio), starebbe emergendo un enorme potenziale di realtà quasi del tutto sconosciute, pronte a proporsi agli investitori.
Guai a pensare che la maggioranza possa in qualche modo essere collegata all’abile meccanismo di Jordan Belfort, specializzatosi appunto nel creare processi di sopravalutazione di società a piccola capitalizzazione più o meno inesistenti, ma qualche dubbio sul “modus operandi” di chi comincia a proporre “small caps” all’italiana va segnalato. Per ora – sia chiaro – sono solo perplessità, sebbene – come si dice – “a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”, come sosteneva il più gattopardesco dei politici italiani, Giulio Andreotti.
Per questo motivo abbiamo cercato di capire come la macchina delle “penny”/small stock o giù di lì venga costruita ad arte. E la conclusione – l’anticipiamo – è sintetizzata nel titolo. Stiamo così tutti all’erta, perché dagli hackers ci possiamo proteggere, mentre ai costruttori di “fake news” – false notizie diffuse per scopi precisi - crediamo, in quanto il desiderio innato di chi investe è di arricchirci su indiscrezioni, costruite magari in modo che trovino anche riscontri in vari meccanismi di convalida. Il problema in realtà non è solo italiano, ma europeo, forse mondiale.
Perfino il Financial Times ha denunciato questo specifico rischio, prevedendo un esponenziale aumento di “fake news” fatte circolare ad arte su Internet e soprattutto sui forum finanziari. Il meccanismo funzionerebbe così: chi cerca capitali si rivolge ad agenzie specializzate nel costruire false notizie, con prospettive mirabolanti di business che si dovrebbero tradurre in profitti fantastici. Ed è un po’ come se Silicon Valley si trasferisse improvvisamente alle porte di casa nostra! La dimostrazione giunge proprio dal successo di eventi in cui tranquilli cittadini svizzeri hanno pagato dai 799 ai 2999 franchi per ascoltare un ex guru di Wall Street, sebbene debitamente autocritico del proprio operato. Non c’è nulla da fare: siamo maledettamente attratti dal sapere quel qualcosa in più grazie a cui l’investimento di 1.000 euro si potrebbe trasformare in poco tempo in 10.000 o 100.000 euro. Cioè lusingati dalle panzane!
Tante “penny stock” o piccole capitalizzazioni sono il frutto di fantastici imprenditori che hanno sudato sette camicie per conquistare un po’ di successo. A loro deve andare il nostro rispetto. Agli imbroglioni no. Ecco perché occorre molta prudenza.