EurUsd (PC: 1,0587)
Discesa e risalita dell'euro, all'interno di un contesto più ampio ancora laterale. Dal minimo del 3 gennaio a 1,0340 si è avviata una fase di rimbalzo per l'euro/dollaro che ha riportato il cambio a toccare un picco a ridosso di 1,0830 il 2 febbraio, al test della resistenza in area 1,0800/0875. Nelle sedute seguenti le quotazioni sono arretrate, fino a toccare un minimo a 1,0521 mercoledì 15 febbraio; il rimbalzo seguente è rimasto al di sotto di 1,0680, seguito da una ridiscesa nel corso dell'ultima settimana al test del supporto a ridosso di 1,0500 (min 1,0494 il 22 febbraio). La tenuta di 1,0500 ha poi consentito sul finire d'ottava un rimbalzo rimasto sinora al di sotto di 1,0620.
Non si segnalano variazioni del quadro tecnico: il cambio sta attraversando una fase di consolidamento dopo il forte ribasso dell'euro avviatosi dal picco a quota 1,1300 registrato nelle prime ore successive all'esito delle elezioni presidenziali Usa dell'8 novembre.
Il dollaro si trova poco al di sotto dei massimi del 2003 e mancano segnali chiari di definitivo esaurimento della cavalcata post-elettorale. Sembra probabile, tuttavia, che la fase di assestamento sui livelli correnti, poco al di sopra o poco al di sotto, possa proseguire ancora. La pausa di assestamento in atto appare del tutto fisiologica: un segnale di forza per l'euro si avrebbe solo al superamento di 1,0800/0875 (prematuro) e non dovrebbe comunque estendersi al di sopra della resistenza critica a 1,1000.
Una conferma dell'indebolimento dell'euro in essere da inizio febbraio si avrebbe alla violazione del forte supporto a ridosso di 1,0500. Il trend dominante, che rimane impostato al ribasso, riprenderebbe comunque solo alla violazione dei minimi di inizio gennaio a ridosso di 1,0340/0350 (al momento poco probabile), con obiettivo 1,0250 ed estensioni verso la parità. Nuovi acquisti scatterebbero solo al superamento della valida resistenza in area 1,0800/0875 (al momento poco probabile).
Strategicamente il dollaro USA rimane forte, con possibili movimenti nel corso dell'anno verso il grande obiettivo, anche psicologico, del macro movimento ribassista di EurUsd, sviluppatosi a partire dallo scoppio della crisi finanziaria nell'estate 2008: la parità; senza escludere livelli anche inferiori.
La divergenza tra le politiche monetarie della Fed, da un lato, e della Bce, dell'altro, rimane un fattore a favore del dollaro. La Fed ha ipotizzato di proseguire con altri 3 rialzi nel corso del 2017, anche se è pur vero che un anno orsono aveva prospettato 4 rialzi per il 2016 e poi si è limitata a farne uno soltanto, lo scorso 14 dicembre per un misero 0,25%. Se pensiamo poi che negli ultimi 10 anni il rialzo complessivo è stato dello 0,50%, partendo da tassi a zero (la cosiddetta ZIRP, zero interest rate policy) e che il Bilancio Fed rimane stabile da due anni sui picchi a ridosso di 4500 miliardi di dollari, si comprende bene come il contesto della politica monetaria Usa rimanga decisamente espansivo. I timidi rialzi che la Fed sta ipotizzando servirebbero solo a ridurre in parte una situazione che rimane strutturalmente squilibrata, ma come del resto capita anche nel resto dei Paesi sviluppati, a partire dai tassi negativi del Giappone ai tassi schiacciati verso lo zero nell'area euro. E la modalità con cui le Banche Centrali, in tutto il mondo, hanno deciso di gestire l'enorme mole dei debiti pubblici fuori controllo in un contesto economico stagnante: tassi bassi ed inflazione, negli auspici, in risalita verso il 2%, in modo che rendimenti reali negativi abbattano il valore reale dei debiti. In tale contesto generalizzato di tassi bassi, la Bce risulta comunque tendenzialmente più espansiva della Fed e questo aspetto gioca a favore del biglietto verde contro euro.
Da aprile, tuttavia, le iniezioni di liquidità della Bce scenderanno da 80 a 60 miliardi di euro al mese, per poi terminare, se il programma non sarà ulteriormente prolungato, a fine 2017: in prospettiva ciò potrebbe portare ad una stabilizzazione dell'euro su orizzonti strategici.
La forza strutturale del dollaro, al di là delle prese di beneficio del mese di gennaio, è confermata anche dal notevole recupero post-elettorale contro lo yen (balzo da 101 a 118,65 verso fine 2016, seguito poi da un ritracciamento verso 111,60 e da un consolidamento al di sotto di 115 nelle ultime due settimane), oltre al fatto che il dollaro si è rafforzato contestualmente al buon andamento del mercato azionario (il Dow Jones si è spinto ben oltre la soglia psicologica dei 20000, spingendosi verso 20850 nelle ultime sedute).
OPERATIVAMENTE: è opportuno mantenere posizioni lunghe strategiche sul Dollaro
(L'autore del presente articolo non è iscritto all'ordine dei giornalisti e potrebbe detenere i titoli oggetto dei suoi articoli)