Cedole & dividendi
Settimana incerta quella di apertura del 2017 per i mercati obbligazionari, condizionati da notizie minacciose sul fronte inflazione.
I prezzi al consumo - secondo i primi dati dell'Istat - sono cresciuti in Italia dello 0,5% rispetto a dicembre 2015. Si è trattato dell'aumento maggiore negli ultimi due anni e mezzo da maggio 2014 (quando l'incremento era stato pure dello 0,5%), ma si è rivelato insufficiente a risollevare il risultato dell'intero anno, chiusosi con il segno meno per la prima volta da 57 anni. L'ultima volta infatti era capitato nel 1959. Intanto in Europa si segnala un ritorno inflattivo sopra l’1%, il che non avveniva dal 2013, complice il caro greggio, con la Germania che testa quasi l’1,7% su base annuale, segnale in netta controtendenza rispetto alla politica monetaria della Bce, contro cui si risollevano le reazioni dei risparmiatori, preoccupati di un divario fra rendimenti reali e inflazione che si sta sempre più spalancando.
Contraccolpi tuttavia abbastanza incerti sul fronte dei mercati.
Il Bund future si conferma all’interno di un range laterale molto ristretto (fra 162 e 164 punti), con il fallito tentativo di rottura della media mobile a 100 sedute, ormai in calo da novembre. Il livello dei 160,4, contro i 162,8 della chiusura di venerdì, è ormai lo spartiacque per definire un’area di tenuta – quella attuale – contro una risolutivamente di debolezza. Le notizie di un ritorno alla grande dell’inflazione non hanno in realtà penalizzato più di tanto il titolo di Stato tedesco, ma gli investitori attendono conferme. Se arrivassero anche per i primi mesi del 2017 si scatenerebbe certamente una vendita su tutta la curva, con il future destinato a scendere ben sotto i 160.
Reazioni abbastanza simili per il Btp future, che si muove da tempo in un canale ribassista piuttosto ampio, la cui linea di resistenza superiore è stata testata nelle prime sedute dell’anno, senza successo. E’ evidente che il motivo di incertezza viene dalla politica monetaria a livello globale, con il timore di un rialzo definitivo dell’inflazione, che penalizza soprattutto le emissioni più lunghe.
Il termometro del Btp cedola 2,8% scadenza 2067 (Isin IT0005217390) è inesorabile da questo punto di vista, avendo ormai ben identificato dei livelli di forza e di debolezza: nel primo caso si tratta della rottura dei 90,8 euro e nel secondo della discesa sotto gli 86 euro. La chiusura di venerdì ha decretato un ritorno sotto questo supporto, ratificando una fase di stanchezza per tutto il debito a lungo termine dell’emittente italiano. Si tratta ora di capire se quota 84 – nel caso del 2067 - verrà difesa. Indicazioni altrettanto sospese da parte del Btp cedola 2,7% scadenza 2047 (Isin IT0005162828), che si avvicina a quota 90, testando in questo caso la linea di resistenza inferiore di un mini canale rialzista partito a metà novembre, ma poco persuasivo. Su un termine medio-lungo a sei anni, il Btp cedola 5,5% scadenza 2022 (Isin IT0004848831) ha rimesso in discussione il tentativo di rimbalzo di dicembre, con tutte le medie mobili tornate di nuovo ribassiste.
Tengono invece gli “inflation linked” Btpi, che hanno ritrovato smalto sull’onda delle notizie dell’incremento del tasso di inflazione a dicembre.
Quasi inaspettatamente si avverte una reazione opposta sul fronte Usa, con il future del Treasury decennale in salita dopo il picco al ribasso del 15 dicembre scorso a 122,4, due punti sotto rispetto alla chiusura di venerdì, ma molto più rispetto all’apertura della seduta.
I mercati sembrano quindi molto nervosi in un quadro globale di esitazione, ma soprattutto attendono riprove dell’inflazione in Europa e della politica monetaria oltre Oceano. Nulla infatti appare chiaro e non è improbabile che le puntate al rialzo sui due fronti trovino smentite già a breve termine. Magari i segnali fossero davvero netti su entrambe le linee di fuoco!