Cedole & dividendi
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La settimana scorsa vi abbiamo detto della Cina. Oggi analizziamo le prospettive relative agli States, dove l’aria di cambiamento sta aumentando di velocità.
Ragioniamo allora in termini di quelle che sono le domande più diffuse su Wall Street e dintorni.
Qual è l’elemento di traino decisivo?
Risposta scontata: il tasso di crescita del Pil. Che nel quarto trimestre – in termini annualizzati - è notevolmente calato! Dal +3,5% di agosto/settembre al +1,9% di ottobre/dicembre. Come media annuale l’espansione è stata dell’1,6%, in frenata rispetto al +2,6% del 2015. La colpa è tutta della bilancia commerciale, che sprofonda nel rosso, a causa del dollaro forte.
Quindi il dollaro è l’imputato numero uno?
Sì e le probabilità di interventi, che favoriscano una debolezza strutturale del biglietto verde, aumentano. Perché il dollaro energico influisce sulle cosiddette “large cap”, quelle con fatturati globalizzati.
Fra “large” e “mid” meglio allora le seconde?
In termini di Borsa è quasi scontato che i margini di crescita di “small” e “mid” sono maggiori, soprattutto se Trump – per spingere il Pil – incentiverà investimenti atti a sviluppare l’espansione economica.
Quali strumenti utilizzare per seguire questo trend, se verrà confermato?
Senz’altro gli Etf riferiti all’indice Russell 2000, quotati anche in Italia, sebbene poco conosciuti dagli investitori di casa nostra. Sono cinque:
Tutti però espressi in dollari, il che contrasta con quanto sostenuto prima?
Purtroppo è così, il che rende più difficile investire oggi sugli States, davanti all’incertezza su come si muoverà la valuta. L’analisi tecnica dice una cosa (rafforzamento), gli esperti si dividono su due fronti (chi per il su e chi per il giù) ma la logica economica propende per un indebolimento pilotato e strutturale del biglietto verde. Un modo per proteggersi ci sarebbe, ma non è semplice. Consiste nell’hedgiarsi da soli, per esempio con un Etn valutario, quale l’Etfs Short Usd Long Eur (Isin JE00B3SBYQ91), quotato anche a Borsa Italiana. Logicamente ci sono poi le tecniche più sofisticate, quelle da gestori professionali.
Quali indicazioni dà questo Etn?
Cominciamo dai volumi, che da novembre stanno crescendo sia come contratti sia come controvalori. Graficamente è inserito in un canale rialzista da inizio anno, ma è presto per dire se si tratta di una svolta. Ora quota sui 37,7 euro. Se superasse i 39,8 partirebbe una fase realmente all’insù, ma non è ancora possibile capire quali saranno le evoluzioni.
A cosa corrisponde in termini di euro/dollaro?
A 1,115, livello da cui è partito a novembre l’ultimo assalto del dollaro sull’euro.
Torniamo indietro, ovvero agli Etf sul Russell. Innanzi tutto cos’è quest’ultimo?
L’indice Russell 2000 rappresenta un paniere di imprese di medie e piccole dimensioni degli Stati Uniti. Le società, che vi entrano a far parte, hanno, in media, una capitalizzazione di mercato di 500 milioni di dollari e al massimo di 1,4 miliardi. Se Trump introdurrà realmente la riforma fiscale promessa, saranno le cosiddette “smid” (“small” e “mid”) ad avvantaggiarsene. Dei cinque Etf ne analizziamo tre. L’Amundi Russell (Isin FR0011636190) è ormai sui massimi storici da quasi due anni e conferma un’estrema sensibilità alle notizie sia sull’economia sia sui tassi di interesse. Il Source Russell (Isin IE00B60SX402) ha un andamento inevitabilmente simile e può essere gestito facilmente con semplici strumenti di analisi tecnica. L’Etfs Russell 2000 “small” (Isin IE00B3CNHJ55) si riferisce alle piccole capitalizzazioni, quelle meno conosciute. Non dimentichiamo che è proprio il Russell a registrare azioni che si muovono talvolta del +/-30 in un giorno, ma l’indice nel suo insieme ammortizza inevitabilmente movimenti così esasperati.
C’è un sito Internet in cui si possono seguire queste azioni?
Sono vari. Ne segnaliamo uno molto sintetico riferito al Russell 1000, l’indice con le capitalizzazioni più grandi dell’intero settore: è https://www.marketvolume.com/indexes_exchanges/r1000_components.asp, da cui si possono trarre notizie sui profili delle aziende e sull’analisi tecnica dei relativi titoli.
In campo obbligazionario su cosa si può puntare nella fase attuale?
Sempre sugli “high yield” Usa, che rendono davvero tanto. Il modo più semplice è logicamente quello di operare attraverso gli Etf (ne abbiamo scritto varie volte in questa rubrica in passato), puntando magari su uno senza copertura e su uno con copertura valutaria. E’ indubbio che i rendimenti sono ormai sotto pressione, ma se i tassi saliranno gli emittenti saranno costretti a proporre nuovi bond con cedole più elevate.
Comprarli direttamente sull’“Otc” è possibile?
Sì, ma tutto dipende dall’intermediario che si utilizza. Solo quelli più “smart” lo rendono fattibile. Effettivamente ci sono occasioni d’oro, con rendimenti anche del 10%. Nel 2016 si è assistito al crollo di quotazione dei bond dell’industria petrolifera, che nell’arco di pochi mesi hanno poi rimbalzato quasi del 50%. Ma attenzione, non tutto è oro quello che luccica. Ci sono due problemi: il primo è che la liquidità di questi titoli è ridotta, il che non vuol dire che non si comprino o non si vendano, ma che il “gioco” è più complesso; il secondo riguarda i “default”. Si sono avuti e si continueranno a registrare, soprattutto nei comparti più esasperati, sebbene le percentuali siano basse.
Qualche titolo su cui confidare?
Inutile far venire l’acquolina in bocca a chi legge se poi non riesce a trattarli. Il primo passo è di essere consapevoli della maggiore rischiosità degli high yield e il secondo di scegliere un intermediario – magari una Sim – più scafato.
In estrema sintesi: l’America è ancora un bel boccone, ma con una rischiosità in crescita?
Esatto. Ecco perché bisogna operare con strumenti che abbassino l’esposizione al rischio.