In periodi di magra di rendimenti, come quello che caratterizza il mercato obbligazionario da lungo tempo, la tentazione di andare a cercare il rendimento anche negli angoli più reconditi è molto forte. Comprensibilissimo, e ci mancherebbe, ma c’è un problema.
E il problema è che i risparmiatori che operano autonomamente le scelte d’investimento, seguendo talvolta le tabelle dei quotidiani – o dei siti internet – oppure ancora talvolta mal consigliati, rischiano di sottovalutare il Credit Risk degli emittenti che si mettono in portafoglio e il peso da assegnare ai titoli che, se da un lato prospettano laute cedole, dall’altra hanno un rischio per nulla trascurabile.
Uno degli ultimi default che si è abbattuto su alcuni portafogli è quello di Abengoa, multinazionale spagnola attiva nel campo delle energie rinnovabili. L’emittente è saltato gambe all’aria alla fine del 2015 e per evitare la bancarotta ha raggiunto un “accordo” con i detentori delle obbligazioni.
E’ di oggi la notizia che Abengoa ha annunciato uno scambio dei bond e la ristrutturazione del debito. In estrema sintesi, il 70% del nominale dei bond sarà convertito in azioni e il restante 30% sarà rifinanziato con nuove obbligazioni (durata tra i 5 e i 6 anni) che matureranno interessi dell’1,50% su base annua, ma dei quali solo una piccola parte – pare lo 0,25% – sarà pagato cash senza condizioni, mentre la restante parte sarà pagata solo a certe condizioni. L’offerta di scambio terminerà il 25 ottobre 2016 e, se non sarà approvata dai creditori, non sarà valida.
Ora, poiché ho avuto il dispiacere di vedere in alcuni portafogli un’emissione Abengoa (per altro con lotto minimo 100.000 Euro, e quindi assolutamente sproporzionata al patrimonio…), comprata poco sotto la pari (!), mi viene naturale domandarmi come sia potuta finire nei portafogli di risparmiatori che tutto hanno meno la vocazione dello speculatore accanito.
Infatti, già in tempi di gran lunga precedenti al botto, il Credit Risk dell’emittente quotava (CDS a 5 anni) a valori molto elevati, che qualche cosa potevano far intuire. Sul finire del 2013 i CDS viaggiavano alla bellezza di oltre 900 bps, per poi ridiscendere nel corso del 2014 in area 500, con qualche puntata a livelli inferiori, ma mai molto lontani dal range 400/500 bps. Poi, già a novembre 2014 i CDS sono schizzati in area 1.000 bps. Il bond, salvo una veloce caduta e ripresa in area 76 ha poi veleggiato tra 90 e 95 per buona parte del 2015…
Da fine 2015 i bond non valgono più nulla, hanno sospeso il pagamento delle cedole e ora si prospetta questo accordo capestro che è più di facciata che di sostanza.
Resta, ancora una volta, il disgusto per vicende che a vario titolo e ragione non dovrebbero più coinvolgere i risparmiatori privati (salvo che siano competenti e sappiano quello che fanno anche in rapporto al loro patrimonio), i quali hanno sempre meno strumenti decenti su cui investire, poiché anche a livello di nuove emissioni, la maggior parte dei bond è collocato sul primario ai soli istituzionali per poi finire sul mercato (in genere OTC) a prezzi meno convenienti della sottoscrizione e soprattutto con tagli proibitivi da 100.000 Euro…
Ma di questo inizieremo a parlare tra breve.