Ebbene con la riunione di ieri della FED si è concluso il ciclo delle tre “sorelle” che dovevano parlare in successione: BCE, BOJ e FED. Tralasciando la BOJ, di minore impatto sui mercati, le altre due hanno saputo stupire a modo loro.
A nostro modo di vedere, è quanto meno imbarazzante – ancora una volta – la pletora di motivazioni trovate dalla Yellen a giustificazione del caos totale nel quale versa la FED.
Come sappiamo, la FED ha lasciato invariati i tassi di interesse che aveva deciso di alzare a Dicembre scorso, preannunciando un ciclo di ben quattro rialzi per il 2016: se va bene, rebus sic stantibus, saranno solamente due. I tassi rimarranno pertanto invariati al momento nella fascia compresa tra lo 0,25% e lo 0,50% cioè il FOMC ha deciso di non decidere ufficialmente nell’attesa segnali più “chiari” sull’andamento dell’economia.
La FED ha tagliato le stime sulla crescita dell’anno in corso prevedendo un PIL del 2,2% contro un 2,4% previsto solamente a Dicembre scorso; previsto al ribasso anche il tasso di inflazione che dovrebbe attestarsi a 1,2% nel 2016 contro l’1,6% previsto a dicembre.
“Una serie di recenti indicatori segnalano un rafforzamento del mercato del lavoro e l’inflazione è risalita negli ultimi mesi. Tuttavia gli sviluppi economici e finanziari a livello globale continuano a rappresentare dei rischi e l’inflazione resterà bassa nel breve periodo”
Queste le affermazioni del board, che suonano come giustificazioni per nascondere l’incapacità dei centri studi, i quali evidentemente non sono in grado di vedere oltre al proprio naso, essendo incapaci di avere un outlook a 3 mesi corretto. L’impressione è che questo ritornare sui propri passi (ricordiamoci che Dicembre non è poi così lontano, e a quel tempo il tenore dei discorsi della FED era ben differente…) sia una sorta di “resa” silente alle mosse della BCE.
Infatti, con il nuovo QE di Draghi i disequilibri tra le politiche monetarie delle due principali Banche Centrali rischiava di ampliarsi troppo e, guarda caso, proprio a sfavore degli USA. E per forza, un nuovo aumento dei tassi USA avrebbe favorito la valuta statunitense, rafforzandola nei confronti dell’Euro e questo – ovviamente – non avrebbe certo aiutato una crescita non proprio brillante e per altro rivista al ribasso.
I mercati, in qualche modo, festeggiano: l’Oro vola, e si riporta con forza sopra in area 1.260 USD, il WTI è nuovamente sopra 39 USD, e ovviamente il cambio EUR/USD è salito sopra 1,13. Il bund è tornato sopra quota 162 e ovviamente anche l’S&P500 ha chiuso al rialzo la seduta di ieri chiudendo con un +0,56%. Le borse europee, dopo l’apertura in gap-up, ci stanno ripensando rimangiandosi tutto l’utile.
Con questi numeri sotto mano il rialzo partito dai minimi di metà febbraio è ancora né più e ne meno che un rimbalzo, e la ripresa del ribasso dei mercati mondiali non è per nulla scongiurato, con buona pace di BCE e FED. Se guardiamo ad esempio il grafico dell’Eurostoxx50 su barre settimanali, osserviamo che non esprime certo una gran spinta rialzista: la scorsa settimana ha disegnato una brutta barra di inversione e questa settimana si sta configurando una barra inside rispetto alla precedente.
Ben lungi quindi dal poter archiviare il ribassone di dicembre-febbraio, continuiamo a valutare con prudenza cosa suggeriscono i mercati.