Cedole & dividendi
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I mercati sono sicuri: mercoledì la Fed aumenterà i tassi di 25 punti base. Se non lo facesse sarebbero davvero guai. I mercati sono altrettanto convinti che nel 2017 il processo di rialzo proseguirà. Chi prevede due scatti (in primavera e in autunno) e chi tre o quattro. Questo è quanto vuole la dialettica delle congetture, troppo semplice però per trasformarsi in realtà. La finanza ci ha ormai abituati a fregarsene degli eventi che vanno in direzione opposta a quanto pronosticato. La stessa cosa potrebbe accadere con la normalizzazione dei tassi negli Usa e con il “tapering” della Bce.
Oggi affrontiamo il primo aspetto. Il ragionamento che si fa è ineccepibile. Il piano di investimenti pubblici previsto da Trump e le misure protezionistiche negli Usa alimenteranno inflazione. Inevitabile l’effetto sui tassi che continueranno a crescere negli anni. C’è chi prevede un tetto fra il 4 e il 5%. In realtà le cose potrebbero andare diversamente. Il debito pubblico d’oltre Oceano continua a crescere. E’ una trendline perfetta: sale con una progressività mai inficiata. Washington lo può sopportare? No. Ormai ha rotto la resistenza 100 nel rapporto debt/Pil, mentre nel 2006 si fermava a quota 64. L’insostenibilità è evidente e lo è ancor più in presenza di un piano di interventi pubblici destinati a gravare sulla spesa statale proprio quando si pensa a una sostanziale riduzione delle tasse.
C’è allora un’alternativa nelle segrete stanze della Fed. Un po’ di aumento dei tassi si deve attuare, anche per ragioni di convenienza nei confronti del sistema del risparmio privato, ma oltre un certo livello (3%?) non si può andare. Non resta che un’altra opzione: allungare sempre di più la scadenza media del debito, che oggi si aggira sui 70 mesi, contro i 50 del 2008. Dal post Lehman il movimento è stato continuo e ci si può attendere che il trend proseguirà nei prossimi anni. Già si parla così di possibili emissioni di Treasuries a 50 e 100 anni, sebbene in ambienti esterni al Tesoro statunitense.
L’obiettivo è chiaro: protrarre la scadenza di molte nuove emissioni, per riuscire a stabilizzare i tassi e a limitarne la crescita nel tempo. Non è un compito semplice, poiché sulla stessa strada si stanno muovendo altri Governi, invischiati nello stesso problema. Ma Washington dispone di un’arma in più: il sistema pensionistico comincia a chiedere Treasuries lunghissimi, da gestire con articolate strategie. Inoltre – così facendo – si eviterebbe una rincorsa esasperata del dollaro sulle altre valute forti.
Illudersi quindi in una volata dei tassi Usa, come molti media fanno credere negli ultimi tempi, è sterile. La Fed seguirà la strada dei piccoli passi, sia con la Yellen sia con chi – eventualmente – le succederà. D’altra parte l’obiettivo di un tasso di inflazione al 2% non è lontano da essere raggiunto. Inoltre Trump si sta dimostrando molto più pragmatico di quanto si pensasse e forse si è reso conto che una rincorsa all’aumento del costo del denaro, cui ha accennato varie volte nella sua campagna elettorale, sarebbe solo dannosa per l’economia. Meglio quindi non prendere abbagli, il che vale anche per noi piccoli investitori europei. Con l’effetto che sperare in un dollaro super robusto (per esempio a 0,80 contro euro) rischia di rivelarsi un errore ingiustificabile.