In attesa del referendum, domenica prossima, che sappiamo essere un evento market mover per il nostro mercato del reddito fisso, notiamo che a prescindere, sotto traccia, i player emittenti stanno facendo sostanziosi aggiustamenti alla loro curva del debito.
Ma andiamo con ordine e parliamo del referendum.
Già di per sé, a me personalmente, fa abbastanza sorridere la connotazione economico-finanziaria che i media sono riusciti a dare a questo appuntamento referendario, facendo perdere completamente di vista la vera natura del quesito. Di fatto, l’arte della manipolazione dell’informazione è riuscita far passare la seguente equazione: esito referendum = conseguenze sul nostro debito pubblico.
Ora, chi ha un minimo di conoscenza del diritto, e in particolare del diritto Costituzionale (perché attenzione è di questo che si parla e non di altro), sa perfettamente che una modifica alla Costituzione ha conseguenze esclusivamente sul funzionamento degli organi dello Stato, e non certamente sulle scelte politiche dei partiti.
Ne consegue che, nella mia piccola mente, per quanto mi sforzi non riesco proprio a trovare un nesso tra un esito “SI” e lo spread ITA/GER a 80 bps oppure un esito “NO” con lo spread ITA/GER a 350 bps…
Fatto sta che i mercati hanno stabilito che il “SI” sarà il benvenuto e il “NO” sarà la tragedia immane che porterà epidemie, carestie e caos per le prossime sette generazioni.
E così, con i sondaggi (ma li fanno ancora?...) che danno in vantaggio il “NO” gli spread si allargano, e si badi bene non solo il nostro ma ance quelli degli altri periferici e finanche alla Francia causa le politiche espansive sull’allargamento del deficit di Filon. E’ pertanto evidente, almeno a me, che l’Europa non conforme ai diktat è presa di mira con la leva della speculazione delle mani forti, guidate ad arte da chi vuole Stati supini e rinunciatari alla loro sovranità nazionale. Ma tant’è, e ci dobbiamo fare i conti.
Intanto, con un tempismo perfetto gli emittenti (non solo governativi ma anche corporate) si attrezzano per trarre vantaggio dalla situazione generale, con i tassi impliciti che hanno appena iniziato la loro corsa al rialzo. Leggete sempre su queste colonne il bellissimo articolo del collega Raffo, che mette nero su bianco come l’emissione di titoli a 100 anni (che tra qualche anno varranno il 40% o il 50% in meno del prezzo di collocamento) stia solleticando le fantasie di molti Paesi.
Non di meno, in queste ultime settimane dell’anno fioccano i buy-back di emissioni corporate: una su tutte Autostrade (o Atlantia che dir si voglia), la quale a fronte di un buy-bak di tre emissioni per 500 Mln Euro con cedole dal 3,375% al 4,50% e scadenze dal 2017 al 2020, emetterà un bond 2027 con cedola 1,75%; anche Acea non è da meno e lancia un’offerta di acquisto per due bond scadenza 2019 e 2021 con cedole rispettivamente al 4,50% e 4,375%, e seppur in assenza al momento di un annuncio ufficiale (a meno che io non l’abbia visto) non è peregrino credere che avremo una nuova emissione molto più lunga e decisamente meno generosa come cedola.
A ben guardare ce n’è per aspettarsene delle belle sul mercato obbligazionario nei prossimi mesi. E se da un lato mi aspetto per il 2017 un mercato piuttosto nervoso e frammentato, sono del parere che finalmente potrebbero aprirsi spazi per cogliere delle opportunità, in netta contrapposizione alla noia che ci ha accompagnati su questi mercati per lungo tempo.
Ma per ora, attendiamo l’esito del referendum e soprattutto attendiamo di vedere come si muoveranno i mercati un base a quanto uscirà dalle urne.