Il rafforzamento del dollaro sull’euro nelle ultime sedute è stato inequivocabile, con la rottura di un esitante canale ribassista iniziato a gennaio e che lo aveva ingabbiato fra gli 1,1 e gli 1,35, pur in un quadro di non precisa direzionalità. Lo causava l’incertezza non solo dei tassi ma anche delle elezioni presidenziali statunitensi. Ora che entrambi i temi trovano apparenti risposte, con un possibile nuovo rialzo da parte della Fed nel breve periodo e un probabile successo della Clinton, il mercato sembra respirare, sebbene non sia molto vivace, con scambi sotto la media. Ci si avvicina al supporto degli 1,083, ma poi…
Sperare nell’obiettivo tanto atteso degli 1,0545 (in altre parole degli 1,05) è legittimo e forse possibile, malgrado gli entusiasmi del passato sembrino oggi affievolirsi. Qualche mese fa si confidava nel pareggio con l’euro e addirittura non pochi imprudenti “sognavano” gli 0,80. Oggi simili obiettivi appaiono impensabili e alcuni analisti ritengono che con la Clinton – dopo qualche scintilla post risultato dell’8 novembre – il dollaro arretrerà.
Fatta questa inevitabile premessa e ricordando che la politica della Fed è molto nebulosa, quale strada può seguire l’investitore obbligazionario che:
● sia già ampiamente esposto sul dollaro
● sia attratto dai rendimenti interessanti dei bond in $, così come dal prevalere di lotti minimi “umani” (in prevalenza 2.000 Usd)
● punti a sfruttare il rialzo dei tassi da parte della Fed.
Se gli obiettivi che ci si pone sono di medio e lungo termine il consiglio più opportuno si suddivide in due avvertenze:
1°) operare solo con un conto in valuta, scelta imprescindibile al 100%;
2°) reinvestire le cedole incassate nel tempo puntando su nuove emissioni, probabilmente a rendimenti più alti se la Fed aumentasse i tassi almeno due volte nel 2017 e forse tre nel 2018, come si sostiene. Siccome nessuno può in realtà prevederlo, occorre grande pragmatismo e indirizzarsi su una strategia inattaccabile nel tempo. Con cui le variazioni di cross e di yield incideranno sempre meno, perché il portafoglio crescerà adeguandosi automaticamente.
In sintesi occorre ragionare come se si fosse degli investitori “made in Usa”. Dimenticare cioè le proprie origini “eurocentriche” e puntare solo a ricollocare bene le cedole incassate in $, salvo (evidentemente) nel caso servano per vivere, situazione diversa e che richiede ben maggiore prudenza nel puntare su altre divise e in particolare sul dollaro in uno scenario di forza relativa, quale l’attuale.
Il problema di fondo sta naturalmente nelle dimensioni del portafoglio di partenza. Con 10.000 o 20.000 $ questa strategia ha poco senso, ma è comunque applicabile, sebbene in tal caso sia consigliabile reinvestire quanto incassato su un Etf riferito a un indice in tale divisa e che distribuisca buoni dividendi: riferito per esempio a bond high yield o corporate. Con 50.000 o 100.000 $ tutto diventa più semplice, anche se per il ricollocamento è meglio – in presenza di un portafoglio iniziale composto in parte da bond acquistati sul mercato “Otc” – preferire titoli quotati sul Mot o Tlx, per comprimere le commissioni, salvo che si presentino occasioni tali da giustificare il permanere nell’ambito del non regolamentato.
Ovviamente un’identica strategia può essere ipotizzata pure per delle azioni “high dividend” in dollari, sebbene in questo caso la volatilità del portafoglio sia ben maggiore. Ne scriveremo in un prossimo report specifico.
Ecco ora alcuni consigli importanti:
1°) nel reinvestimento delle cedole si deve sempre prendere in considerazione i Treasuries, ovvero i titoli di Stato statunitensi, per godere del vantaggio di una fiscalità agevolata al 12,5% e di una loro maggiore liquidità in presenza di situazioni di stress o di esigenze di vendita di parte del portafoglio. Inoltre la relativa volatilità è nettamente maggiore, il che in certe condizioni si rivela un fattore positivo.
2°) importante diversificare gli emittenti, per ridurre il rischio di credito. Il mercato Usa è talmente ampio che la scelta non pone problemi.
3°) è consigliabile pianificare le scadenze nel tempo: per esempio a 2 anni, a 3 anni, a 4 anni e così via, in modo di ricalibrare più facilmente il portafoglio a ogni rimborso.
4°) conviene prepararsi ai rimborsi, per non detenere inutilmente liquidità sul conto in valuta. Nel senso di esaminare quale titolo acquistare in sostituzione di quello che va a fine vita.
5°) il conto in valuta comporta solo vantaggi e implica generalmente l’unico costo del bollo annuo di 34,2 euro, un’inezia rispetto ai vantaggi che ne derivano.
6°) attenzione però a una norma fiscale da rispettare scupolosamente: la tassazione delle plusvalenze realizzate a fronte di operazioni in valuta è dovuta unicamente a condizione che, nell’anno solare, la giacenza complessiva di tutti i depositi e conti correnti in divisa intrattenuti - con riferimento al singolo codice fiscale - sia superiore a 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi continui, utilizzando per il calcolo della giacenza il cambio vigente all'inizio del periodo di riferimento, cioè il 1° gennaio.
7°) infine è meglio non esporsi su bond troppo rischiosi, anche se ben più redditizi: al massimo si prenda in considerazione emissioni con rating BB.
Nei prossimi giorni inizieremo ad analizzare dei singoli bond in dollari utili per questa strategia.