L’insuccesso, in realtà atteso, del Btp Italia, nella sua emissione autunnale, non deve portare a interpretazioni errate, ovvero a non preoccuparsi dell’inflazione, che è un fattore sempre pericoloso per qualsiasi portafoglio. Lo dimostra l’andamento dei relativi Etf quotati su Borsa Italiana: è vero che parte della performance dipende dall’ operato del Q.E. e dalla politica dei tassi a zero, che spingono insù le quotazioni dei bond “inflation”, ma è evidente come i migliori siano positivamente condizionati da quanto avviene fuori dall’Europa.
I movimenti (riferiti al periodo 1° gennaio/21 ottobre 2016) agli Etf dicono questo:
Amundi Euro Inflation Etf (Isin FR0010754127): +4,4%
Db X-Tra Ii Ibx Gl Inf-Link Etf 1c (Isin LU0290357929): +11,8%
Db X-Tra Ii Ibx Gl Inf-Link Etf 5c (Isin LU0908508814): +7,1%
Db X-Trac Ii Ibx Euro Inf-Link Etf (Isin LU0290358224): +4,7%
Ishares $ Tips Etf (Isin IE00B1FZSC47): +8,2%
Ishares Eu Infl Link Govt Bond Etf (Isin IE00B0M62X26): +4,4%
Lyxor Ucits Eumts Infl Linked Etf (Isin FR0010174292): +4,7%
Sono lampanti variazioni al rialzo differenti, che dipendono dai diversi fattori inflattivi e dall’andamento dei cambi sull’euro. In sostanza a spingere il rialzo degli “inflation linked” influiscono in parte gli Usa e in parte altri Paesi extra euro, fra cui la Gran Bretagna, dove però l’effetto negativo della sterlina non risulta marginale.
Se l’area euro si colloca - come rincaro del costo della vita - allo 0,40%, gli Usa si piazzano attualmente all’1,50%, il Canada all’1,30%, la Gran Bretagna all’1%, l’Australia allo 0,95% e la Svezia allo 0,90%. D’altra parte anche da noi si osservano difformità sostanziali: la Germania è già allo 0,65%, battuta dall’Austria allo 0,90%.
Questi dati non devono invitare a investire sull’inflazione italiana o comunque europea ma speigano come fuori dai confini Ue la situazione sia diversa e come si debba puntare parte – seppur marginale (al massimo 5-8%) – del portafoglio sul rialzo del costo della vita di terre lontane. Dove fra l’altro spesso i tassi di interesse risultano più elevati e quindi i rendimenti delle obbligazioni più significativi.
Come farlo? Con strumenti differenti, che tengano conto delle tante variabili in gioco. Questo report non ha nessuna simpatia per i fondi di investimento e ancor meno per quelli a distribuzione di cedole (ne parleremo in futuro!), ma sul fronte dell’inflazione il ricorso anche a questo tipologia di prodotti è decisivo, perché molti “inflation linked” non sono acquistabili direttamente dalle piattaforme di trading e richiedono una specifica conoscenza delle logiche di adattamento dei prezzi a fattori quali cambi, tassi e altro ancora. Ecco perché nel portafoglio indicato inseriamo anche due fondi specifici, che per le loro caratteristiche si adattano bene a chi voglia diversificare senza troppi ostacoli all’interno del variegato mondo dei bond inflattivi.
1°) Fondo Axa World Funds Global Inflation Short Duration Bonds (Isin LU1353950725 nella versione euro hedgiata, che consigliamo): punta sulle obbligazioni dell’area Ocse con una “duration” breve (0-5 anni). Storicamente, la performance dei bond di tale tipo a livello globale è vicina all'andamento dell'inflazione e, dunque, adottando una “duration” più breve si cerca di mantenere un'elevata correlazione tra il rendimento complessivo e l'inflazione realizzata in un contesto di tassi bassi. Un prodotto quindi specialistico adatto alla realtà attuale dei mercati. I dividendi vengono capitalizzati e il profilo di rischio è basso.
2°) Fondo Julius Baer Multibond - Emerging Markets Inflation Linked Bond Fund Eur EM (Isin LU0564979515 nella versione a distribuzione di cedole con periodicità mensile): investe almeno i 2/3 del patrimonio in una gamma ampiamente diversificata di obbligazioni emesse o garantite da debitori dei mercati emergenti di tipo “inflation linked” , con qualsiasi scadenza, valuta e rating. Il profilo di rischio è medio alto.
3°) Etf iShares Usd Tips (Isin IE00B1FZSC47): replica l'andamento di un indice composto da obbligazioni governative indicizzate all'inflazione degli Stati Uniti, conosciute appunto con la sigla Tips. La valuta di riferimento è il dollaro Usa e non è prevista copertura di cambio. La volatilità si colloca sul 10,4% e negli ultimi mesi la sua “performance” è stata rilevante (circa 8% in un anno), grazie alla ripresa dell’inflazione statunitense e alla conseguente rincorsa dei bond specifici. Un rialzo dei tassi potrebbe incidere negativamente sul settore, che resta comunque determinante per chi vuole investire sul debito d’oltre Oceano.
4°) Etf db x-trackers iBoxx Global Inflation-Linked 1C (Eur hedged): replica i principali titoli di Stato indicizzati all’inflazione, con copertura valutaria in euro, a rating investment grade. La performance a un anno è stata del 9,9%, con una volatilità del 5,7%.
Se nel caso dei fondi si può prendere posizione con l’intera cifra resa disponibile, per gli Etf consigliamo un piano di accumulo nel tempo, poiché sono possibili correzioni future, dopo le rilevanti “performance” degli ultimi mesi.
Rischiosità della strategia: dipende soprattutto dalla variazione delle quotazioni degli Etf, che – in presenza di un rialzo dei tassi negli Usa e di un futuro “tapering” in Europa – potrebbero correggere pesantemente. Occorre tuttavia considerare che si tratta di una protezione inflattiva che va vista nel lungo termine e che risente inevitabilmente di ribassi di breve periodo nelle fasi di maggiori tensioni sul fronte delle politiche monetarie. La diversificazione degli strumenti è destinata comunque a ridurre tale impatto.