Piano Bar di Virginio Frigieri: una settimana di ossigeno prima della terza


…tranquilli il bear market è lungi dalla fine e questa euforia per l'avanzata della coalizione anglo americana, durerà fino a lunedi/mercoledì prossimo, per andare a completare l'onda 2 della 1 di a ciclica.

Bisogna approfittare delle giornate di venerdi e lunedì prossimo per aprire posizioni ribassiste e godersi una grassa terza ribassista.

Quindi Sell-opportunity non Buy-opportunity come ci vorrebbero far credere i soliti incurabili ottimisti.

Allego di sotto un gran bell'articolo di Alexander Weber pubblicato stamattina sulla Stampa di cui condivido molti punti, caso mai a qualcuno fosse sfuggito.

 

Sciocco l´ottimismo di chi vede la ripresa dopo Saddam

QUANDO vedo gli economisti europei scambiarsi pacche sulle spalle reciprocamente perchè la guerra in Iraq in questo momento sembra prendere la strada auspicata della rapida conclusione, faccio fatica a pensare che quegli individui possano davvero essere consulenti, grassamente remunerati, dei maggiori gestori di patrimoni del continente. Quando poi li sento consolarsi l'uno con l'altro, scambiarsi l'occhiolino, allora comincio a preoccuparmi sul serio. Penso che anche la Banca centrale europea – che come avevamo previsto non ha toccato i tassi – sia incline a ottimismo privo di senso. La semplice idea che la conclusione della guerra apra una nuova era di certezze, un nuovo ordine mondiale sotto la pax americana, è stupida. Il rischio geopolitico continua ad esistere, il terrorismo non sarà debellato con Saddam, i dati sul commercio globale – che hanno comunque cambiato ritmo dal '97, cioè dalla crisi asiatica – lo testimoniano, i problemi di comunicazione tra aree geografiche non diminuiscono, anzi aumentano. In tutto ciò l'Europa resta un'area debole: non ha influenzato le decisioni americane sulla guerra, semmai le ha ostacolate senza esito, non ha trovato unità nella sua contrapposizione, non ha quindi guadagnato alcunchè come player geopolitico (in futuro un fattore determinante nelle scelte degli investimenti globali), nè ha in alcun modo affrontato il tema di come cambiare se stessa per assumere un ruolo alternativo – se così ambisce – al motore economico americano. Nell'«eccezionale periodo» tra il '96 e il 2002, gli Stati Uniti sono cresciuti in media del 3,1% annuo. In fondo un risultato buono, ma tutt'altro che spettacolare. Quest'anno faticheranno a raggiungere il 2-2,5%. L'effetto di fiducia garantito da Wall Street si è spento da un pezzo, si può calcolare che una Borsa normale, cioè con incrementi annui pari ai soli aumenti nominali della produttività dei fattori totali, tolga quasi un punto alla media del periodo '98-2000, il triennio magico dell'economia Usa. Finiti i miracoli anche l'economia americana tornerà a livelli ragionevoli. Quando gli investitori istituzionali si renderanno conto di essere entrati in una nuova era di moderazione, cioè con rendimenti a una cifra, sposteranno i portafogli dalle azioni alle obbligazioni dove i rischi restano sensibilmente inferiori a quelli azionari. In parte qualcosa di simile è già avvenuto in Europa nei mesi scorsi, con lo svanire della giovane cultura diffusa dell'investimento azionario. La frenata americana peserà sull'Europa, il meccanismo dell'altalena infatti non funziona da dieci anni, da quando la Germania non è più in grado di dare il cambio agli Usa come motore della crescita globale. Ci sarà competizione sui rendimenti, che quindi non andranno più al ribasso e ciò induce il Fondo monetario internazionale a prevedere un periodo di mercato difficile per chi ha puntato sugli immobili. Se dopo la bolla azionaria scoppierà anche quella immobiliare, non sarà una tragedia, anzi l'Europa dovrebbe augurarselo: si avrà un anno di choc a cui seguirebbe però un salutare ritorno del capitale alle attività produttive e non alle rendite immobiliari. Su tutto questo pesano ovviamente le prospettive del dollaro. Se gli Stati Uniti vogliono continuare a finanziare un deficit di partite correnti annuo di 400 miliardi di dollari, senza poter contare su Wall Street, dovranno accettare una rapida diminuzione del dollaro da compensare poi con tassi d'interesse crescenti. Questo è il quadro con cui si confronterà l'Europa: ostilità politica, rischi di terrorismo, economia americana in frenata, tassi d'interesse in aumento, dollaro in picchiata. Di suo l'Europa ci sta mettendo il più rapido aumento della disoccupazione dal 1993. Negli ultimi dieci anni non erano mai stati registrati aumenti destagionalizzati del 3-4% nella zona euro, la maggior facilità di licenziamento contribuisce ad adattare i bilanci aziendali a condizioni che così possono essere superate, ma sul breve termine condiziona i redditi, i consumi e quindi la crescita. Almeno il segnale sui tassi della Bce sarebbe dovuto venire. Il taglio servirà più tardi, quando il dollaro calerà? Ricordo che a metà degli anni Novanta, la Banca del Giappone ragionava allo stesso modo: quando poi decise di ridurre il costo del denaro, i bilanci delle banche giapponesi erano così mal ridotti da non poter sfruttare il minor costo del finanziamento per far credito all'economia. Se succederà anche in Europa avremo almeno una consolazione: le banche licenzieranno i loro grassi economisti.

Alexander Weber

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